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Susan Milligan
Chiuso per affari: l’Energy Bill è il trionfo degli interessi particolari
11 Dicembre 2005
Articoli del 2004
I grandi centri commerciali sono un problema mondiale, e ambientale. Quanto questo sia vero, e quanto si tratti solo di una piccola parte della verità, ce lo spiega un complicato ma interessante articolo dal Boston Globe del 4 ottobre 2004 (fb)

Dato che si tratta di un testo piuttosto lungo, chi fosse interessato alla fine troverà anche (per una volta) il file PDF della traduzione scaricabile direttamente da Eddyburg, oltre al solito link con la collocazione dell'originale al sito del Boston Globe (fb)

Titolo originale: Closed for Business. Energy Bill a special-interests triumph – traduzione di Fabrizio Bottini

WASHINGTON - Robert Congel ha grandi piani, e una visione chiara per il suo complesso commerciale nel nord dello stato di New York. Etichettato come il più grande mall del mondo, l’ancora da costruire DestiNY USA ospiterà 400 negozi di varie dimensioni, migliaia di stanze d’albergo, un parco di 30 ettari chiuso in un involucro di cristallo, e poi una parete di roccia e ghiaccio da scalare, o un teatro in grado di ospitare gli spettacoli di Broadway.

E se i suoi sostenitori nel Congresso troveranno il modo, il mega-mall sarà parzialmente finanziato dall’Energy Bill federale, che fornirà 100 milioni di dollari di denaro pubblico. La febbrile campagna di lobbying condotta da Congel paga i suoi dividendi a Capitol Hill. Quando i membri dell’assemblea legislativa lo scorso inverno hanno votato l’aumento dei prezzi della produzione di petrolio interna, hanno anche votato per aiutare Congel a costruire il suo mall gigante, attraverso le “obbligazioni verdi” - greenbonds - esentasse.

L’iniziativa dei greenbonds – chiamati così perché i progetti che finanziano dovrebbero essere energeticamente efficienti – è stata una delle numerose aggiunte cacciate dentro all’ energy bill da legislatori che si incontravano a porte chiuse. Questi provvedimenti non hanno sostenitori ufficiali, e non facevano parte della documentazione originale approvata da camera e Senato, ma sono state aggiunti più tardi da mani sconosciute, quando le 816 pagine del documento sono state redatte in riunione segreta.

Pensato per delineare un apolitica energetica nazionale per la prima volta in più di dieci anni, lo energy bill è diventato una cuccagna di finanziamenti per gli interessi legati alle imprese, dentro e fuori il campo energetico. Il progetto, fermo per una serie di manovre al Senato ma ancora in cima alle priorità legislative del Presidente Bush, prevede iniziative per incoraggiare la produzione di energia da fonti esistenti e nuove. Ma è anche diventato un simbolo, spesso quanto un elenco telefonico, del modo attuale di fare le leggi a Washington, dove la politica è indirizzata da chi ha soldi, potere, e accesso ad un gruppo relativamente ristetto di decisori.

Un’analisi condotta dal Boston Globe su migliaia di pagine delle pratiche di lobbying mostra che i vari soggetti con interessi consolidati nelle politiche energetiche hanno speso in attività di lobbying 387.830.286 dollari a Washington lo scorso anno. Hanno anche pagato decine di migliaia di dollari in contributi elettorali agli incaricati che hanno costruito il documento tra la Casa Bianca e Capitol Hill.

L’analisi del Globe dimostra che le grandi corporations e altri, comprese alcune Università, sono stati premiati dal progetto di legge attraverso riduzioni fiscali, progetti di costruzione, deroghe ai regolamenti che risparmieranno loro molto più di quanto non abbiano speso per rendere note al governo le proprie esigenze.

In alcuni casi, i beneficiari sono specifiche compagnie come Home Depot, che ha speso 240.000 dollari in lobbying nella speranza di guadagnarne decine di milioni in risparmi. Home Depot – il cui PAC ha contribuito il massimo di 5.000 dollari alla campagna di Bush del 2004, e i cui dipendenti ne hanno versati 226.400 a Bush e al Republican National Committee – è beneficiata da una sezione in due paragrafi del progetto di legge, che elimina le tariffe sui ventilatori da soffitto cinesi. Questa modifica farà risparmiare a Home Depot a ad altre compagnie un totale di 48 milioni, secondo i calcoli del bipartisan Joint Committee on Taxation.

Detto in altre parole, gruppi di imprese hanno investito milioni di dollari in poressioni per ottenere miliardi in finanziamenti governativi e in deregulation.

L’industria nucleare, che ha speso ben 71.405.955 in lobbying a Capitol Hill, avrà 7,37 miliardi fra tasse e progetti, compresi finanziamenti federali per costruire un impianto nucleare da un miliardo in Idaho. Questo impianto, che sarà il primo commissionato in decenni, avrà anche ripercussioni benefiche sull’industria dei carburanti all’idrogeno, dato che l’installazione nucleare dovrà produrli.

Parecchie grandi compagnie in campo energetico, che hanno speso decine di milioni in lobbying, hanno ottenuto una storica deregulation nel proprio campo, che toglierà di mezzo controlli che risalgono all’epoca della Depressione, su come spendono i propri soldi, e consentirà loro di diventare conglomerate – con poche possibilità di recupero per i piccoli investitori se gli investimenti speculativi delle compagnie andranno male.

I principali sostenitori di Bush guadagneranno profumatamente dall’ energy bill. Sessanta dei 400 cosiddetti Pioneers e Rangers – quelli che si sono impegnati a raccogliere rispettivamente almeno 100.000 o 200.dollari per sostenere la rielezione di Bush-Cheney – saranno beneficiati dalle riduzioni fiscali, dai sussidi, dal ridimensionamento di regole e controlli, secondo un calcolo del Sierra Club.

La Massey Energy del West Virginia – il cui direttore, James H. “Buck” Harless, è uno dei principali raccoglitori di fondi per Bush – avrà centinaia di milioni di dollari in prestiti garantiti per un impianto di gasificazione del carbone. Harless ha lavorato nella squadra per la trasformazione energetica del Presidente Bush, che ha preceduto la Energy Task Force del Vice President Dick Cheney, la quale a sua volta ha sviluppato il progetto centrale del progetto di legge a Capitol Hill.

”Il problema è che tutto si sta trasformando in un progetto di interessi particolari”, dice Charlie Coon, esperto in questioni energetiche alla Heritage Foundation, think tank conservatore. “Il problema di base, è che non risolverà il problema di fornire l’energia necessaria alle attività economiche, o perché la gente possa accendere la luce. Si sta trasformando tutto in una farsa”.

Dietro le porte chiuse

La costruzione del progetto di legge riflette il modo in cui sono condotti gli affari a Washington nel 2004. Coi Repubblicani che godono del controllo di entrambe le Camere, più la Casa Bianca, i leaders del Grand Old Party mettono insieme enormi programmi dietro porte chiuse, escludendo il partito di minoranza e schiacciando il dissenso da parte di Repubblicani moderati e lobbisti i cui programmi non coincidono con gli scopi del partito, a parere di membri di entrambi gli schieramenti e ex parlamentari.

E anche se altri progetti hanno avuto la loro parte di programmi privilegiati e distribuzione di risorse a varie imprese o gruppi di interesse, lo energy bill è considerato dai gruppi ambientalisti e dalle associazioni dei consumatori uno degli esempi più estremi di eccesso nella distribuzione ai privati.

”La cosa davvero sorprendente è come una combinazione di persone dell’industria energetica, del gas e petrolio, dei grandi servizi pubblici, del carbone, attraverso un’ampio raggio di decisioni politiche (che siano la Environmental Protection Agency o l’energy bill) ottengano letteralmente miliardi di dollari come pagamento in cambio di milioni di dollari” in contributi e spese di lobbying, afferma Mark Longabaugh, vice presidente anziano per le questioni pubbliche della League of ConservationVoters.

Il progetto di legge ha iniziato a definirsi dapprima come prodotto collaterale della task force sull’energia di Cheney, un comitato di funzionari di Washington che si incontrava in provato per redigere un documento di politica energetica nazionale, poco dopo che Bush era stato eletto.

Uno studio dello scorso anno dell’indipendente General Accounting Office ha rilevato che la task force sull’energia era informata da “interessi energetici” di tipo privato, principalmente imprese legate al petrolio, carbone, nucleare, gas naturale, industrie elettriche. Il rapporto afferma che non si è stati in grado di determinare l’estensione dell’influenza di queste imprese sulle decisioni politiche, a causa delle limitate informazioni messe a disposizione del General Accounting Office.

Ma altri documenti, forniti dietro ordine di un tribunale, mostrano come quindici soggetti connessi al campo energetico abbiano avuto contatti con la task force, contatti che si sono risolti in provvedimenti di politica energetica a proprio favore.

Lo Edison Electric Institute, che aveva avuto contatti con la task force 14 volte, spendendo 12 milioni in lobbying a Washington lo scorso anno, si è assicurata una storica deregulation riguardo all’impresa energetica che gli analisti calcolano di un valore di miliardi di dollari.

Il Nuclear Energy Institute, che ha ottenuto miliardi in riduzioni fiscali e progetti, aveva avuto 19 contatti con la task force, e sborsato1.280.000 dollari in azioni di lobbying nel 2003. Anche l’industria nucleare trarrà beneficio dall’estensione e ampliamento, nello energy bill, del Price Anderson Act, che blocca la solvibilità finanziaria di un impianto di energia nucleare in caso di incidente. Anche se non è stato commissionato alcun nuovo impianto nucleare in decenni, il progetto prospetta una rinascita di questa discussa fonte di energia.

La Southern Company, impresa elettrica che ha speso 990.000 dollari in lobbying, trarrà beneficio da regole più lasche sull’emissione di mercurio, sostanza tossica rilasciata dagli impianti energetici. Il vice presidente della Southern e un lobbista si sono incontrati con la task force, secondo documenti messi a disposizione a seguito di una citazione in giudizio del Natural Resources Defense Council. La Environmental Protection Agency, che deve emanare i regolamenti definitivi il prossimo anno, stima che la deregulation sulle emissioni di mercurio farà risparmiare agli impianti energetici degli USA un totale di 2,7 miliardi.

L’American Petroleum Institute, che ha avuto contatti con la task force sei volte, e ha speso 3.140.000 in lobbying lo scorso anno, avrà miliardi di riduzioni fiscali e sussidi per incoraggiare la produzione interna.

Gli ambientalisti, esclusi dalla task force, hanno ottenuto poco nel pacchetto definitivo, dopo aver speso una piccolissima parte di quanto speso dall’industria energetica in lobbying. La League of Conservation Voters, per esempio, ha speso 46.516 dollari in lobbying l’anno scorso; il Natural Resources Defense Council 920.000, e la Union of Concerned Scientists 150.000, come emerge dai rapporti sulle attività di lobbying.

Le imprese che avevano contatti con la task force di Cheney ottenevano vantaggi strategici, afferma Larry Noble, analista del Center for Responsive Politics, perché potevano sostenere le proprie ragioni già dalle prime fasi di sviluppo delle politiche energetiche.

”Hanno ottenuto quello che volevano sin dal primo giorno” dice Noble. “Tutti i lobbisti sanno quanto sia importante essere presenti quando si preparano i documenti, prima che si scrivano le leggi. Quando il progetto di legge è pronto, è tardi. Si gioca solo in difesa”.

Il comitato congiunto

Dopo che la task force di Cheney aveva redatto le sue raccomandazioni, il compito di stendere il progetto di legge passò a camera e Senato, dove i membri della maggioranza Repubblicana mantennero immutate molte delle proposte. Poi, nella speranza di realizzare un accordo fra Camera e Senato, i leaders nominarono un comitato congiunto.

Ma questo comitato cominciò ad aggiungere parti che non erano mai comparse in nessuna versione del progetto. E i lobbisti subissavano i membri di richieste per includere qualcosa o qualcuno, compreso il mall di Congel, nella legge.

L’aggiunta di progetti del genere fa rizzare particolarmente il pelo dei cani da guardia degli sprechi governativi. Anche se DestiNY USA prometteva di essere un modello di efficienza energetica, i critici si chiedevano cosa avesse a che fare un centro commerciale con la definizione di una politica energetica nazionale.

L’iniziativa dei greenbonds non faceva parte dei progetti originali di camera e Senato passati attraverso udienze pubbliche e la discussione in aula. Era stata aggiunta dal comitato congiunto, un gruppo che aveva escluso i Democratici del tutto, salvo per due delle riunioni di redazione del documento. La massiccia versione definitiva fu resa pubblica un sabato, lasciando ai Democratici e a quei Repubblicani non inseririti all’interno dei gruppi di negoziazione a malapena tre giorni per studiarsela, prima che fosse chiesto di votarla in aula.

Il deputato Edward Markey, Democratico di Malden veterano dello Energy and Commerce Committee, racconta che fu obbligato a seguire gli sviluppi del documento del suo comitato parlandone coi lobbisti di Washington.

”Non potevamo stare dietro a quello che stava succedendo” dice Markey. “Tutto quello che avevamo erano fughe di notizie. Quello che hanno fatto su questo disegno di legge per l’energia non ha precedenti. Non hanno avuto rispetto per i Democratici, ma - cosa più importante – nemmeno dei gruppi ambientalisti e di consumatori del paese.

Congel è un costruttore, di successo anche se discusso, il cui valore economico è stimato dalla rivista Forbes di circa 700 milioni. Congel e la sua impresa, la Pyramid Management, sono stati citati a giudizio nel 2000 da ex soci in affari per frode, e il caso è ancora aperto. La Pyramid ha ripagato più di 800.000 dollari a un’impresa affittuaria, la Limited, che affermava come si fossero gonfiate le cifre delle bollette telefoniche. Gli organi giudiziari statali e federali non hanno ritenuto di procedere nei confronti dell’impresa.

Sia Congel che la DestiNY USA non hanno risposto a ripetute richieste di commentare questo fatto.

Altri tre progetti di centri commerciali - uno in Georgia, uno in Louisiana (patria di un ex presidente dello House Energy and Commerce Committee, il deputato Repubblicano Billy Tauzin), e uno in Colorado – trarranno benefici dalle proposte dei greenbonds, anche se ci vuole qualche capacità speciale per capirlo dal linguaggio del progetto di legge.

Chiamata “programma dimostrativo per i siti industriali inquinati, per edificazione ambientalmente qualificata e progetti a orientamento sostenibile”, la sezione greenbonds del programma non fa menzione di particolari progetti o stati. Ma le linee guida si adattano esattamente a questi, sia secondo i rappresentanti del Congresso, sia secondo i gruppi di osservatori che hanno studiato il documento.

”Non sono nominati, ma tutti sanno quali sono, basandosi sul linguaggio” dice Keith Ashdown, vice presidente per le questioni politiche al Taxpayers for Common Sense. “Un senatore Repubblicano scherzava sul fatto che il documento avrebbe potuto anche richiedere che uno dei progetti fosse collocato in un luogo il cui nomignolo è Cajun State”, a sottolineare come uno di questi casi particolari stia a Shreveport.

Congel è stato aggressivo sostenitore dei finanziamenti pubblici al suo progetto. Ha formato un comitato di azione politica, il Green Worlds Coalition Fund, che ha raccolto 82.897 dollari, la maggior parte dei quali sono andati a contributo della campagna elettorale di Bush, e dei deputati nei posti chiave riguardo allo energy bill. In più Congel, la sua famiglia, e i dipendenti di DestiNY USA e della Pyramid, hanno contribuito con altri 69.084 dollari a campagne per il Congresso e per Bush, secondo le analisi dell’indipendente Center for Responsive Politics.

I proponenti del progetto hanno fatto anche grossi investimenti in lobbying, spendendo 140.000 dollari lo scorso anno e 60.000 quest’anno per convincere il Congresso – che ha già dato a DestiNY USA 1,7 miliardi l’anno scorso per la trasformazione delle aree circostanti il sito del progetto – ad approvare la proposta dei greenbonds.

Nel frattempo, Congel lavorava per aiutare alcuni decisori chiave. Lui, la sua famiglia, i suoi soci, hanno dato molto al deputato Bob Beauprez, una matricola del Colorado che vorrebbe anche assistenza finanziaria per un progetto di costruzione nel suo distretto. Congel ha anche ospitato un’iniziativa di raccolta fondi a cui ha partecipato Cheney.

Anche se la gran parte dei contributi elettorali di Congel e di DestiNY USAsono andati ai Repubblicani, i sostenitori del progetto non hanno trascurato i senatori Democratici di New York, Hillary Rodham Clinton and Charles Schumer, i quali entrambi hanno ricevuto contributi da Green Worlds e dallo stesso Congel.

Schumer, secondo una tattica apparentemente contraddittoria piuttosto comune a Washington, ha lottato decisamente per inserire i greenbonds nello energy bill, anche se stava anche lottando per la sconfitta del progetto nel suo insieme.

”Pensavo che fosse una buona iniziativa” ha detto Schumer a proposito dei 2,2 miliardi di dollari a DestiNY USA, che i costruttori affermano porterà più di 100.000 posti di lavoro fissi legati al turismo, nell’area di crisi economica del nord New York.

Schumer afferma anche di essersi opposto allo energy bill perché liberava dalla responsabilità i produttori di un additivo della benzina che ha avvelenato le acque sotterranee a New York e in altri stati.

Sul versante dei deputati, James Walsh, Repubblicano di Syracuse, è stato un campione nel sostegno al progetto DestiNY, localizzato nel suo distretto. Walsh, che dice di essere stato compagno di scuola di Congel al liceo, difende il progetto coma valido prototipo di come si possa realizzare un mall sostenuto da energie rinnovabili come quella solare.

E aggiunge che i posti di lavoro sarebbero importanti nel suo distretto.

”È l’unica persona che bussa alla mia porta e vuole spendere due miliardi” dice Walsh.

Ma i deputati che stanno all’erta contro gli sprechi, e gli ambientalisti, si chiedono perché mai il governo federale dovrebbe aiutare un costruttore multimiliardario a realizzare un complesso commerciale e turistico.

”È evidente che l’unico verde a cui è mai stato interessato Bob Congel è quello che sta nelle sue tasche” dice Chuck Porcari, direttore per le comunicazioni alla League of Conservation Voters.

Quando lo energy bill era fermo a dicembre, Pete Domenici, Repubblicano del New Mexico a capo del Senate Energy and Natural Resources Committee, l’ha modificato per renderlo più accettabile a un Senato poco convinto. Una diversa versione, che ufficialmente non ha rimpiazzato il bill originale, non comprende l’istituto dei greenbonds.

Ma con l’aiuto di Schumer, DestiNY USA può dare un altro morso alla torta dei fondi federali. Schumer e il Senatore Zell Miller, un Democratico il cui stato – la Georgia – è in corsa per un progetto da greenbonds, hanno inserito un emendamento che accorpa i progetti a un disegno di legge per le tasse di impresa, con più alta probabilità di guadagnarsi l’approvazione. Un comitato congiunto inizierà la stesura del progetto da oggi.

”È come un’arma a testate multiple. Proviamo con il progetto di legge sull’energia, o quello sui trasporti, o quello sugli stanziamenti. Se spariamo tutte queste testate, riusciremo a colpire qualcosa” commenta David Williams, dell’indipendente Coalition Against Government Waste.Far ingrassare un documento

Il progetto di Congel non è stato l’unico a trovarsi un nuovo veicolo di finanziamento, nonostante il blocco del disegno di legge.

Il Senatore Charles Grassley, Repubblicano dello Iowa a capo del Senate Finance Committee, e il cui sostegno allo energy bill era critico per le questioni fiscali, voleva 50 milioni di dollari per una foresta pluviale artificiale nel suo stato coltivato a granturco. I sostenitori dicevano che il progetto sarebbe stato educativo, ma è stato cancellato prima che lo energy bill andasse alla discussione in aula.

Ma Grassley ha avuto quello che voleva in gennaio, quando il suo progetto è stato fatto scivolare in un decreto omnibus di spesa per il finanziamento di azioni delle agenzie federali per il 2004. “La maggior parte dei progetti straordinari, se sostenuti da politici potenti, hanno nove vite” dice Ashdown.

I sostenitori dell’ energy bill riconoscono che sia stato imbottito di programmi locali, ma dicono che queste inclusioni spesso ernao necessarie per cucire insieme una coalizione di voto. “È una delle funzioni del processo di formazione delle leggi” afferma Frank Maisano, un lobbista dell’industria energetica per il marchio Brace and Patterson.

E la battaglia sul pacchetto energetico certamente ha aspetti filosofici. Quelli che lo appoggiano sostengono che la nazione deve produrre più energia da sola per liberare il paese dalla dipendenza dal petrolio estero. Alle imprese devono essere offerte riduzioni fiscali e sussidi, affermano uomini delle imprese e alcuni politici e analisti, perché la ricerca e sviluppo di nuove fonti energetiche è una cosa costosa.

Anche se agli ambientalisti piace demonizzare i profitti dell’industria petrolifera, dice Maisano, queste imprese hanno bisogno di incentivi finanziari per cercare nuove riserve in zone inesplorate. Per esempio ci sono potenziali riserve petrolifere particolarmente costose, perché stanno ad alta profondità; senza riduzioni fiscali, la maggior parte delle imprese non si prenderà il rischio finanziario di trivellare in quei luoghi.

Ma i critici, tra cui anche parecchi Repubblicani conservatori in fatto di tasse, insieme ai Democratici, insistono nel sostenere che le riduzioni sono sfuggite di mano nel corso delle riunioni a porte chiuse, con moltissimi beneficiari ridotti di fatto a singole imprese. Una volta finita, la versione originale dell’ energy bill conteneva circa 20 miliardi fra crediti fiscali e sussidi all’industria energetica.

Ma gli analisti ritengono che il principale colpo per le aziende siano i provvedimenti di deregulation, per assicurarsi i quali le compagnie energetiche hanno speso centinaia di milioni di dollari.

Il primo punto sulla lista delle cose da fare era l’eliminazione di una vecchia regola, chiamata Public Utility Holding Company Act. Poco conosciuta al di fuori del mondo energetico e finanziario, è una questione critica per l’industria elettrica, la cui vasta squadra di lobbisti è riuscita a persuadere i negoziatori al Congresso a rimuovere quella legge. Nelle centinaia di memorie dei lobbisti inoltrate per tentare di influenzare i lavoro sullo energy bill, la necessità di togliere di mezzo le regole sull’industria elettrica compare 98 volte.

Gli interessi legati all’elettricità hanno investito milioni di dollari nel tentativo di abbattere quella legge.Lo Edison Electric Institute, che rappresenta l’industria elettrica, ha speso 12.540.000 dollari per una squadra di 35 lobbisti nei propri uffici e in dodici altre imprese per fare pressioni sul Congresso, la Casa Bianca, e le agenzie federali, contro il Public Utility Holding Company Act e su altre questioni energetiche. Singole imprese del settore, insieme ad altre contrarie a questa legge fondamentale, hanno sborsato altri 56.420.670 in lobbying lo scorso anno, secondo i documenti archiviati dagli uffici di camera e Senato.

E l’industria non è stata spilorcia nemmeno nei contributi elettorali. Dirigenti e responsabili delle industrie elettriche hanno dato un totale di 7.733.941 dollari per la tornata elettorale del 2004, facendo del settore il 19° maggior contribuente, secondo i calcoli del Center for Responsive Politics. Tauzin, potente ex presidente dello House Energy and Commerce Committee, è stato particolarmente beneficiato, ricevendo più di 150.000 dollari per la sua campagna dall’industria dell’energia nel suo complesso, compresi i circa 76.000 dal solo settore elettrico.

Lo sforzo ha avuto successo: passaggi tesi ad abbattere la legge spartiacque di regolamentazione sono inclusi in tutte le versioni dello energy bill presenti ora a Capitol Hill. Se il disegno diventerà legge, sia i favorevoli che gli oppositori prevedono un’esplosione negli investimenti nel settore energetico.

Ma là dove i finanzieri vedono opportunità di investimenti, i difensori dei consumatori vedono futuri casi Enron in via di costruzione, perché quella legge era stata approvata per isolare gli impianti di produzione dal tipo di scambi nel settore energetico che hanno causato il crollo della Enron di Houston, con la più grossa bancarotta della storia. Liberatevi delle regole che limitano gli investimenti incrociati delle compagnie, dicono i rappresentanti dei consumatori, e il paese si troverà di fronte a una crisi energetica e finanziaria molto simile a quella che ha portato all’approvazione del Public Utilities Act.

La radici di questa legge stanno nell’era della Grande Depressione e della crisi del 1929. L’allora nascente induatria elettrica era in gran parte di proprietà di un piccolo gruppo di holdings, che utilizzavano i proventi delle vendite di energia per investire in modi più rischiosi.

Quando quegli investimenti iniziarono a vacillare, le holdings implosero, e 53 imprese elettriche andarono in bancarotta; questo collasso rese più grave la Grande Depressione. Il consolidamento del settore consentì anche alle compagnie di manipolare il mercato e scaricare prezzi più alti sui consumatori.

Dopo un’indagine e una serie di audizioni, il Congresso approvò le norme del Public Utility Holding Company Act nel 1935, imponendo controlli senza precedenti sulle holdings energetiche. Ma ora, dicono i portavoce dell’impresa energetica, quella legge è superata, e così onerosa da scoraggiare gli investitori dal mettere risorse nell’elettricità.

”Si tratta di un settore capital-intensive. L’abolizione del PUHCA servirà a incoraggiare potenzialmente i capitali a tornare a scorrere verso il merecato dell’energia” afferma Pete Sheffield, portavoce della Duke Energy, impresa che aveva tra i suoi dipendenti Andrew Lundquist, direttore della task force sull’energia di Cheney, a fare lobbying per la soppressione della legge.

Le amministrazioni Clinton e Bush hanno già indebolito alcune regole, consentendo alle imprese di aggirare alcuni punti del PUHCA. Ma l’eliminazione completa della legge potebbe avere effetti catastrofici sia sui mercati finanziari che sui consumatori, osservano i critici.

”È l’unica cosa che sta tra noi e un monopolio” dice Lynn Hargis, ex avvocato della Federal Energy Regulatory Commission, che ora lavora per il gruppo di osservatori Public Citizen.

Cancellare il PUHCA dal corpo delle leggi metterà in gioco una cifra stimata in un trilione di dollari energy in titoli elettrici, continua la signora Hargis, con implicazioni enormi sia per il settore energetico in particolare che per i mercati finanziari in generale.

La deregulation, prevede, consentirà altri episodi come il caso dello scandalo Enron, dato che le compagnie potranno muovere capitali in ogni direzione, e mettere a rischio la solidità finanziaria dei fornitori di energia.

Deregulation aggiuntiva

Ma i lobbisti degli interessi energetici sono riusciti ad andare anche oltre l’allentamento delle regole finanziarie.

L’attuale progetto di legge auspica una deregulation anche delle norme che proteggono la qualità dell’aria. Una delle proposte allenterebbe i limiti sull’ozono, che produce smog. Questi passaggi, che non si trovavano in nessuno dei progetti originali usciti da camera o Senato, non solo abbasserebbero gli standards del Clean Air Act per la produzione di ozone, ma allungherebbero i tempi a disposizione dell’industria per adeguarsi. Queste modifiche, inserite in sede di comitato congiunto, andrebbero a grosso vantaggio delle raffinerie.

Sono stati inseriti nel progetto anche passaggi che esentano le imprese di prospezione per gas e petrolio da alcune regole del Clean Water Act; secondo queste modifiche, le imprese non potrebbero essere accusate di contaminare acque pubbliche. Sarebbe fornito alle compagnie del settore gas e petrolio un “ free pass” che le liberi dalle leggi sull’acqua, rendendole le uniche imprese non soggette a queste regole, come osserva Bob Filner, deputato Democratico della California.

I lobbisti energetici hanno anche convinto l’amministrazione Bush ad allentare i controlli sul mercurio, un agente tossico rilasciato nell’atmosfera dagli impianti di produzione elettrica a carbone. Le nuove regole proposte alzerebbero o limiti delle emissioni, dando anche più tempo agli impianti per adeguarsi: nell’insieme una combinazione – dicono gli ambientalisti – che non fa molto per proteggere la gente dall’inquinamento da mercurio di acque e pesci.

Il punto di vista dell’amministrazione Bush sui pericoli da mercurio è molto più tranquillo di quello dei suoi predecessori.

Quando sotto la presidenza Clinton l’EPA emanò un comunicato nel dicembre 2000 annunciando che per la prima volta sarebbero state richieste riduzioni alle emissioni di mercurio, la sostanza veniva descritta come “nociva”, che “è stata associata a danni sia neurologici che allo sviluppo degli esseri umani. Il feto in fase di crescita è il più sensibile agli effetti del mercurio, che comprendono danni alla formazione del sistema nervoso”.

Ma l’EPA della presidenza Bush ha assunto un punto di vista più rilassato, e sul suo sito web descrive il mercurio come “elemento naturale ampiamente diffuso nell’ambiente”. Anche se l’esposizione a mercurio deve essere “trattata seriamente” prosegue il sito “i problemi di salute causati dipendono da come entra nei corpi, quanto si resta esposti, quale è la risposta degli individui”.

Gli interessi energetici e i loro sostenitori al Congresso affermano che il nuovo progetto di legge emerge da questioni filosofiche, non da pressioni di lobbying; i portavoce dell’industria dicono che troppe regole mettono pastoie finanziarie alle imprese e rendono più difficile aggiornare i processi con strumenti più efficaci rispetto all’ambiente. Ma chi aveva accesso agli ambienti del Congresso è entrato molto nella formazione del pacchetto, secondo le nostre analisi dei fascicoli di lobbying, contributi elettorali, e dibattito legislativo.

A Capitol Hill, leggi complicate come l’ energy bill tendono ad essere redatte da più gruppi di lavoro, che a loro volta possono rivolgersi a persone esterne all’ambito governativo per consulenze sul linguaggio legale, ci dice un senatore Repubblicano che chiede di restare anonimo. Gli specialisti sono di solito lobbisti, dicono i rappresentanti dei consumatori, il che crea una situazione dove essi hanno un’influenza accresciuta sulla formazione delle leggi.

Gli specialisti esterni, lobbisti o meno, spesso sono dotati di valide capacità. Il prblema, dicono alcuni lobbisti e legislatori, è che il processo tende a favorire coloro che hanno già entrature alla Casa Bianca, sia perché ci hanno già avuto qualche incarico, sia perché hano raccolto denaro per la campagna elettorale Bush-Cheney.

I lobbisti dell’industria energetica dicono che non è un problema di ripagare i favori, ma solo una situazione in cui gli ambientalisti si stanno scontrando con una maggioranza democraticamente eletta che non ha particolarmente a cuore i loro interessi. Gli ambientalisti – proseguono i lobbisti – dovrebbero essere più flessibili e riconoscere di aver a che fare con un’amministrazione che desidera aumentare la produzione energetica.

”Penso che i gruppi ecologisti si siano emarginati da soli, al punto di non avere l’effetto che potrebbero invece ottenere, concentrandosi solo sugli attacchi a Bush” afferma Maisano. “Non sono interessati al tipo di politiche, sono solo contrari alla persona”.

I lobbisti ad orientamento ambientalista, da parte loro, dicono di scontrarsi con porte chiuse quando cercano di pare pressioni su Capitol Hill. Se riescono a incontrare qualche legislatore favorevole al loro punto di vista, va a finire che questa prospettiva è schiacciata dalla maggioranza Repubblicana che vuole solo vedere più ricerche e produzione nel campo del petrolio, gas, energia nucleare.

”Sul versante della Casa Bianca, la situazione è decisamente Orwelliana” ci dice Marchant Wentworth, lobbista della Union of Concerned Scientists. “I rappresentanti Repubblicani mi hanno detto in faccia che semplicemente non si confronteranno col presidente su nessun punto. Non ho mai visto niente del genere”.

Nota: qui il link alla versione originale dell'articolo di Susan Milligan, sul sito del Boston Globe. Qui il file PDF scaricabile della mia traduzione (fb).
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