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Gustavo Zagrebelsky
Chi cambia la Costituzione per sconfiggere l´avversario
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
“Un’aberrazione di sostanza” del percorso democratico: questo il giudizio dell’ilustre costituzionalista sulle riforme cstituzionali di Berlusconi. Da la Repubblica del 29 marzo 2005

Le Costituzioni sono fatte di materia, di pasta specialissima. Negli ultimi tempi questa materia è andata corrompendosi. Il problema ora, se non vogliamo il peggio, è, prima d’ogni altra cosa, restaurarla.

Invece di ricominciare immediatamente ad azzuffarsi sulle cose fatte e a rinfacciarsi colpe, cedimenti, opportunismi e contraddizioni: cose improduttive e meschine che interessano una cerchia sempre più limitata di persone, sarebbe forse bene, come si dice pedestremente, fare un passo indietro e cercare di cogliere con uno sguardo d’insieme quel che è appena accaduto. Vediamo, da una parte, una destra che, osteggiando la costituzione "vecchia", se ne fa una sua, "nuova"; dall’altra, una sinistra che, unica cosa chiara, osteggia la costituzione della destra. Per il resto, c’è chi, nella sconfitta, invoca la necessità di un proprio e diverso progetto, chi scrive nuove "bozze" e chi recupera proposte d’altri tempi, senza che si riesca nemmeno a capire, innanzitutto, qual è l’atteggiamento verso la costituzione che abbiamo, quella che viene dalla Liberazione e dall’Assemblea Costituente del 1947. C’è da stupirsi che, contro questi geniali capitani, cresca il risentimento?

Indipendentemente dall’essere di destra o di sinistra e indipendentemente dal giudizio che si dia dell’opera compiuta dal Parlamento e quindi anche nel caso che, per assurdo, la si giudichi in sé e per sé un capolavoro costituzionale; indipendentemente da tutto ciò, chiunque, con questo sguardo d’insieme, non può mancare di vedere la catastrofe costituzionale che ci sta innanzi. La materia speciale di cui sono fatte le costituzioni è l’adesione a qualcosa da costruire in comune. Azione costituente è precisamente cercare i contenuti di questa adesione e metterli per iscritto. C’è stata invece la ricerca consapevole del risultato contrario: la sconfitta dell’avversario, con un colpo di maggioranza assestato con forza costituzionale. Qui non c’è la materia; questa non è costituzione, ma lotta costituzionale.

Una Costituzione imposta così si fa bella della parola, ma si fa beffe della sostanza. Essa, invece che costituzione, dovrebbe dirsi atto di governo che si riveste di forma, e quindi di forza, costituzionale. Se volessimo trovare degli antecedenti, potremmo pensare al documento del 1653 di Oliver Cromwell, denominato propriamente non costituzione ma Instrument of government. Si trattava di organizzare un potere per realizzare la rivoluzione puritana. I documenti di questo tipo sono atti di forza del governo che vogliono essere, per così dire, massimamente forzuti o atti, per così dire, di governissimo.

Si annunciano così altri scontri, non appena (prima o poi) i rapporti di forza saranno cambiati. Come abbiamo ora una costituzione della destra, avremo – secondo la legge universale delle azioni e delle reazioni politiche che Benjamin Constant ha studiato rispetto al succedersi dei colpi costituzionali in Francia, dopo la Rivoluzione – una costituzione della sinistra? Si pensa di procedere così? Non c’è costituzione se la sua base di consenso non trascende le divisioni della politica comune, non trascende cioè, innanzitutto, la divisione maggioranza-opposizione. Una costituzione del governo non è una costituzione perché non ne ha la legittimità necessaria. Questa mancanza iniziale si rifletterà sugli atti che saranno compiuti in futuro, sulla sua base. Invece che pacificare, alimenterà il conflitto. Un bel risultato «costituzionale», non c’è che dire.

Il testo appena approvato dal Senato si è presentato così: Disegno di legge costituzionale presentato dal presidente del Consiglio dei ministri (Berlusconi), dal Vice presidente (Fini), dal ministro per le Riforme istituzionali e la Devoluzione (Bossi), e dal ministro per le Politiche comunitarie (Buttiglione), di concerto col ministro dell’Interno (Pisanu), e col ministro per gli Affari regionali (La Loggia). Un piccolo aspetto di forma? No: un’aberrazione di sostanza. Questa intestazione sarebbe naturale per una legge ordinaria, con la quale il governo, nel rispetto del quadro costituzionale, attua il suo programma; non lo è per una costituzione. L’iter parlamentare è stato conseguente. Il Senato ha votato sotto minaccia di crisi di governo (e di scioglimento anticipato) perché un ministro aveva posto una specie di questione di fiducia (vietata dall’art. 32 del testo ora approvato) e il presidente del Consiglio e gli altri l’avevano accettata, con riguardo addirittura ai tempi dell’approvazione. I senatori della maggioranza hanno assicurato presenza e voto come richiesto e, ancora una volta, si sono arresi al ricatto. Bisognerebbe avere assistito ai lavori dell’aula, per comprendere che cosa può significare prevaricazione del governo sulla sua maggioranza, insolenza della maggioranza sull’opposizione e generale umiliazione del Parlamento. Gli storici delle istituzioni ricorderanno forse solo due persone che, sottraendosi alla logica sbagliata dello scontro tra schieramenti, hanno salvato la dignità costituzionale del Senato: il senatore Andreotti e il senatore Fisichella.

Naturalmente, ciò che precede vuol solo essere una precisazione concettuale ai fini della comprensione. Chi ha agito così, sapeva certo che cosa stava facendo in quel momento e sarebbe ridicolo fargli la morale in nome di un concetto (anche se – aggiungo – i concetti e i loro nomi esigono rispetto). Hanno ragione quanti dicono che non si è trattato di improvvisazione o leggerezza. Si tratta invece di una concezione e di un programma. Anche senza arrivare a rievocare torvi precedenti, come l’identificazione del "politico" con la contraddizione radicale amico-nemico, è chiaro che qui, alla fine, si è manifestata l’insofferenza, più volte onestamente dichiarata, verso la mediazione, i compromessi, i controlli: verso quelli che, in una parola, sono detti impacci e sono invece gli equilibri della democrazia. Sotto quest’aspetto, la presente vicenda costituzionale è un segno di stanchezza democratica ed è una primizia che prefigura un futuro politico: un futuro delineato dai poteri davvero assoluti del premier e dai rapporti di dominazione che egli potrà intrattenere con un Parlamento che, a differenza di oggi, sarà nelle sue mani non solo de facto, ma anche de iure. Per chi li ha a disposizione, si tratta degli articoli 14 e 16 (formazione delle leggi), 27 (scioglimento della Camera dei deputati) e 94 (governo in Parlamento).

Si è detto e si dirà: ma anche la maggioranza di centro-sinistra, alla fine della scorsa legislatura, si è approvata da sola la "sua" riforma della Costituzione, la riforma concernente il nuovo assetto delle regioni e delle autonomie locali. Si tenga comunque conto delle differenze. Innanzitutto, non si è trattato di contraddire la costituzione precedente ma di sviluppare diversamente e ulteriormente principi preesistenti (la tutela delle autonomie, nel rispetto dell’unità della Repubblica, conformemente all’art. 5 della Costituzione). In secondo luogo, l’allora opposizione di centro-destra dissentiva non perché non volesse quelle modifiche, ma perché voleva andare oltre. Voleva di più, rispetto a ciò che era già qualcosa. Infine, le modifiche di allora sono quasi nulla rispetto alle attuali, quanto a rilevanza e incertezza per l’avvenire. Invocare questo precedente per giustificare il presente è dunque una forzatura. Come ha scritto Galli della Loggia, c’è pur sempre una gerarchia negli errori e, in ogni caso, se errore fu quello, non si vede perché lo si sia voluto ripetere, aggravato. In effetti, fu un errore, determinato anche da ingenui calcoli politici di breve periodo (chiudere la legislatura con un risultato di spicco; tagliare l’erba sotto i piedi alla Lega [!], ecc.), che ha causato poi notevoli problemi pratici di attuazione delle nuove norme, anche in quel caso approvate in fretta e furia. Onde, fatte le debite proporzioni, quest’accusa di aver smarrito, anzi di aver corrotto, la materia costituzionale si estende a quella che era la maggioranza di allora ed è l’opposizione di ora. Del resto, essa si rese conto dello strappo che si veniva compiendo, del deficit di legittimità che insidiava la riforma appena approvata. Fu la stessa maggioranza a chiedere il referendum sul nuovo testo, per trarre da lì quello che in Parlamento era mancato. E così fu compiuto un altro strappo: il referendum da oppositivo (cioè da strumento della minoranza) qual è fu trasformato in confermativo-plebiscitario (cioè in strumento della maggioranza) quale non deve essere. L’effetto plebiscitario non vi fu, data l’ostica materia e la bassa partecipazione popolare al voto; ma il precedente pericoloso fu posto e oggi c’è chi, nell’interesse della maggioranza attuale, pensa di ripeterlo.

Si tratta ora di fare opera di restauro, in previsione del referendum. Per questo è inutile, anzi perfino controproducente continuare con toni via via più accentuati, man mano che si avvicinerà la data del referendum, il confronto tra le parti politiche che stanno in Parlamento. Più si continua così, più si prosegue nella distruzione della speciale materia di cui sono fatte le costituzioni e più si rafforza l’impressione tra i cittadini che, in fondo, non si tratti che di una delle tante controversie che dividono maggioranza e opposizione. In materia costituzionale, occorre per l’appunto non dividere e approfondire le divisioni, ma unire. Il monopolio della discussione e del confronto detenuto dai soggetti politici avvelenerebbe ulteriormente il clima e non prometterebbe niente di nuovo. Pochi sono ormai quelli che, da una parte e dall’altra, sono disposti a vedere nelle parole dei propri avversari politici qualcosa di più che non la difesa interessata delle proprie posizioni di potere. C’è certamente dell’ingiustizia in ciò, ma purtroppo sembra essere così e, se è così, viene per l’appunto a mancare la materia della costituzione.

Questo è invece il momento in cui la vita politica ha bisogno di un aiuto, di un supplemento di responsabilità che non può che essere dato dalla società non direttamente implicata politicamente. Il referendum, sempre, è questo. In particolare lo è il referendum costituzionale. Occorre che i cittadini che ne hanno la possibilità, come singoli e come organizzazioni sociali, le associazioni culturali d’ogni tipo, i mezzi di comunicazione, nei mesi che ci separano dal voto, avvertano che questo è il momento del loro impegno. Occorre trovare parole nuove, discorsi diversi da quelli uditi mille volte e sempre meno ascoltati; occorre far comprendere che la posta in gioco non è il successo o la sconfitta di questa o quella parte politica ma il modo d’essere del nostro vivere insieme. L’obbiettivo prioritario non è ottenere la bocciatura o l’assoluzione di questa riforma della Costituzione. E’ la ricostruzione di un tessuto costituzionale, cioè della materia stessa di cui la Costituzione è fatta. Il giudizio sulla riforma è secondario e, presumibilmente, verrà da sé.

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