Nelle aree devastate dal sisma le ruspe dovranno rimuovere le macerie e garantire l'incolumità delle popolazioni. In Irpinia, nei mesi che trascorsero tra il 23 novembre del 1980 e la seconda tremenda scossa del febbraio, le ruspe demolirono interi 'presepi'. Così venivano qualificati i paesi dell'interno e si fece giustizia sommaria di abitati che potevano essere recuperati, come scrisse un uomo saggio come Manlio Rossi Doria e molti con lui rimasti inascoltati. Per fortuna in Friuli prima, nelle Marche e in Umbria nel '97 la strategia adottata è stata radicalmente diversa, anche perché le popolazioni si mostrarono più consapevoli e attente nel difendere i loro 'presepi'. Ritardi culturali e l'affarismo spregiudicato di costruttori rapaci, in combutta con le cosche, in Irpinia andarono a braccetto. Ora le condizioni sono assai diverse e gli abruzzesi stanno mostrando di avere occhi aperti e di essere molto legati alle loro 'piccole patrie'.
L'Aquila è una città di 120 mila abitanti con un tessuto storico di grande compattezza e qualità stratificato nel corso di molti secoli dal medioevo all'Ottocento: è ricca di insigni monumenti civili e religiosi. Li abbiamo visti sventrati in foto e filmati, ma L'Aquila è anche un insieme urbano di edilizia minore, di strade e stradine, di episodi architettonici che sono la memoria e l'identità di una città. La salvezza di questo mallo urbano si deciderà nelle prossime settimane e il suo destino dipenderà dal modo in cui la regia della Protezione civile muoverà le ruspe. Lo stesso organismo su 6 mila edifici diagnosticati ha valutato che circa la metà è inagibile.
È un dato statistico ben più grave di quanto si potesse temere: vuol dire che la metà della popolazione - 40-50 mila persone - non potrà rientrare nelle case, negli uffici, nelle scuole, nell'università, negli esercizi commerciali. La fretta è cattiva consigliera e all'Aquila bisognerà che le ruspe si muovano con l'accortezza di un bisturi. Prima che esse entrino in azione, a parte casi di eccezionale urgenza, è indispensabile che si completi la diagnosi statica e geologica del tessuto urbano, così da disporre di una mappa completa e sistematica con cui operare; il ministero dei Beni storici, artistici e culturali ha mobilitato la Direzione generale, con i tecnici delle Soprintendenze, coadiuvati da esperti che hanno meritevolmente operato in Umbria e nelle Marche.
Questa doppia mappa del patrimonio edilizio e monumentale potrà consentire di rimuovere le macerie e ragionevolmente garantire un futuro alla dignità urbana abruzzese. I tempi non saranno brevi, perché non possono essere brevi e perché è meglio indugiare e salvare il salvabile. Ma perché questo avvenga - ce lo auguriamo vivamente - bisognerà potenziare gli organici sia della Protezione civile (geologi e ingegneri) che del ministero dei Beni culturali (architetti, storici dell'arte, restauratori). È dunque prioritario stanziare fondi che consentano di assumere i 400 precari dell'Istituto nazionale di Geofisica e ridare vigore con nuove assunzioni al delicato lavoro delle Soprintendenze.
I ministri Brunetta e Bondi debbono alzare la voce e chiedere che il governo stanzi le risorse necessarie perché questa force-de frappe possa entrare quanto prima in azione. Ogni edificio salvato è una risorsa e un bene economico che va valutato come tale in tutta la sua rilevanza.
È evidente che per Onna, ridotta a un cumulo di macerie, non è possibile agire con il bisturi, a parte la chiesa temo poco sia salvabile. Ma L'Aquila e altri centri meritano di essere recuperati. Il valore artistico, ambientale e urbanistico di un sistema complesso come quello abruzzese è in primo luogo una risorsa economica di incalcolabile valore umano che ridicolizza lo sciocco slogan delle new town.