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Loris Campetti
Cgil, un passo pericoloso
13 Maggio 2010
Articoli del 2010
Mentre prosegue la liquidazione del lavoro, il sindacato più antico e più forte si divide su una scelta di fondo. Il manifesto, 10 maggio 2010

L'Italia non è la Grecia, possiamo dormire sonni tranquilli. Ce lo dicono tutti, persino le società di rating si sono fatte più prudenti. Eppure c'è qualcosa che lega l'Italia alla Grecia: è la risposta alla crisi globale, un'opportunità per il capitalismo colpito al cuore da se stesso che tenta di ripartire utilizzando gli stessi meccanismi che l'hanno quasi affondato.

Il primo obiettivo è modificare i rapporti di forza cancellando regole, resistenze e contropoteri per avere mano libera sulla forza lavoro, spazzando via o inglobando i sindacati. Un processo coerente con la riduzione di spazi democratici e l'accentramento delle decisioni in pochissime mani in atto nella sfera politica e istituzionale. È il sogno di una governabilità garantita dalla cancellazione delle regole democratiche e degli anticorpi.

Il Congresso della Cgil doveva tentare di sciogliere questo nodo. Dentro la crisi, con un governo servile verso i poteri forti e aggressivo con i deboli senza potere, va in scena lo smantellamento dei diritti dei lavoratori attraverso la cancellazione di regole, garanzie e contropoteri. Il lavoro frantumato dalla globalizzazione è libero di agire senza alcun controllo politico - quello sociale ridotto al lumicino per l'inadeguatezza dei sindacati rispetto a una sfida, appunto, globale. Saltate le sicurezze e dunque le speranze di futuro, chi lavora è solo di fronte a chi lo comanda, non più classe ma numero, insieme di individui. La precarietà è una condizione che comprende l'intera vita delle persone.

Ai sindacati viene imposta una scelta: adeguarsi, rinunciare al conflitto e accettare le nuove regole «oggettive» in cambio di un lasciapassare ai luoghi del comando con un ruolo da uscieri, legittimati non più dagli «azionisti di riferimento», non dagli iscritti e dal mondo del lavoro, ma dalle controparti, governi e padroni. Uscieri a cui affidare crescenti pezzi di welfare privatizzati. Altrimenti, fuori dal gioco e dai tavoli (truccati).

Due le scelte possibili per la Cgil, dopo la controriforma dei contratti realizzata con un accordo separato imposto ai lavorati espropriati anche della parola. La prima è avanzata da una minoranza della Cgil, i metalmeccanici Fiom insieme a dirigenti e settori importanti: non basta dire no allo smantellamento delle regole, serve una risposta diversa da sostenere con un forte movimento di lotta. L'unità con Cisl e Uil, complici delle controparti, è un obiettivo da ricostruire. Chi non sa che uniti si vince e divisi si perde? Oggi però questa unità non è praticabile.

La seconda scelta è quella della maggioranza epifaniana della Cgil: non possiamo restare nell'angolo, un sindacato esiste in quanto contratta, dunque riprendiamo posto ai tavoli di trattativa. All'unità sindacale non c'è alternativa e chi lo mette in dubbio finisce fuori gioco. Non basta. Per sancire questa svolta la maggioranza ha imposto la modifica delle regole interne alla Cgil, a partire dallo statuto. E le categorie (in cui può crescere la mala erba del dissenso) perdono il diritto di parola. Proprio come l'insieme dei lavoratori.

La Cgil cambia natura? Un passo in questa direzione è stato sancito da un Congresso debole nei contenuti, fortissimo nell'esclusione del pensiero critico.

Un passo pericoloso, ma strada è ancora lunga.

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