Da quando nacque Forza Italia, nel 1994, e per diversi anni, Norberto Bobbio tornò ripetutamente sul tema della natura di questo partito. Partito personale, non tanto perché creato da una persona, ma perché posseduto, «tenuto» da una persona, che nel partito aveva investito come s’investe in un’impresa. Un partito anomalo dunque. Anomalo rispetto alla forma partito politico nelle democrazie liberali, il quale partito politico è un’associazione di persone e non l’associazione di una persona.
Anomalo rispetto ai partiti liberali. Infatti, nonostante si fosse da subito presentato come la «Casa delle libertà», nella sua natura, Forza Italia e poi Pdl si dimostrò essere tutto fuorché un partito liberale classico. Il partito liberale classico ha personalità diverse, non è una massa amorfa unita nella figura di un leader che si presenta come carismatico, è un partito di diversi leader non sempre in sintonia su tutto, molto spesso litigiosi o in disaccordo tra loro.
Anomalo infine rispetto ai partiti che hanno praticato il centralismo democratico, che insistevano cioè sulla funzione coagulante del consenso, che respingevano formalmente le correnti. Il Partito comunista italiano praticava il centralismo democratico, ma la sua unità era più la faccia rivolta all’esterno che quella rivolta all’interno, dove c’erano differenze espresse e non celate fra leader e fra gruppi. La difficile, impossibile, gestione del pluralismo interno, della libertà d’espressione delle idee, infine il riconoscimento di minoranze (di ciò che con disprezzo si chiamano «correnti»), è il segno del fatto che a sedici anni dalla sua fondazione, il Pdl (ex Fi) non è riuscito a risolvere quell’anomalia messa in luce da Bobbio.
Il Pdl è forse un esempio di cesarismo democratico, un partito del demagogo per usare una espressione classica. Ma con alcuni distinguo che meritano attenzione. Il dominio cesaristico del demagogo su una collettività di associati può riuscire spontaneo e agevole nella fase costitutiva, nel processo formativo del partito. Ma il passaggio dall’eccezionalità dell’atto fondativo alla normalità dell’azione politica ordinaria, rendono il dominio cesaristico e l’unanimismo un problema, un obiettivo di difficile attuazione.
Il rischio a questo punto è che delle due categorie che compongono l’ossimoro «cesarismo-democratico», il primo si rafforzi a spese del secondo, contro il secondo. Le vicende di questi mesi, seguite alla rivendicazione del presidente della Camera di una legittima libertà di espressione del dissenso dentro il Pdl, mostrano con molta chiarezza che l’esperimento di tenere insieme cesarismo e democrazia all’interno di un partito moderno è votato al fallimento.
La democrazia, anche nella sua più illiberale accezione, anche quando insiste più sul consenso che sull’articolazione libera del dissenso, non può sopportare comunque una gestione autoritaria della vita collettiva.
L’anomalia di allora, è quindi ancora tutta qui, irrisolta.