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Francesco Piccioni
Certi giochetti riescono solo in televisione
14 Gennaio 2009
Articoli del 2009
L’Alitalia non c’è più: commento ad uno dei peggiori scempi imprenditoriali della storia d’Italia. Da il manifesto, 14 gennaio 2008 (m.p.g.)

L'unica cosa certa è che è partita. Ma una compagnia aerea, per stare in aria, ha bisogno di molte cose: una management competente, dipendenti orgogliosi di esserci, uno stato e una classe politica affidabili. Alla «nuova Alitalia» difettano tutte e tre le condizioni.

Tra gli addetti ai lavori, la previsione comune - in Italia e soprattutto all'estero - vede Colaninno e soci prendere al volo la prima occasione per cambiare lo statuto di Cai e anticipare la cessione dell'intero pacchetto ai francesi. Ne siamo convinti anche noi. Così come siamo convinti che in aprile, quando Spinetta lasciò il tavolo alla prima obiezione dei sindacati, lo fece perché giudicava quelle condizioni di vendita - 2,4 miliardi di euro, debiti compresi - più onerose di quelle che avrebbe potuto strappare qualche mese dopo, a crisi aziendale ben macerata.

La crisi globale sta colpendo tutto il trasporto aereo. Tra qualche mese «gli gnomi italiani» gli chiederanno in ginocchio di «lasciarli andar via». Tanto i loro guadagni se li attendono da Expò 2015 o dalle concessioni statali. Nel frattempo hanno distrutto la credibilità di alcuni sindacati, ridotti a dependance dell'ufficio del personale e l'agibilità politica di altri (sia «di base» che «di mestiere»). Per riuscirci non hanno guardato per il sottile. Sono state fatte leggi ad hoc, favoriti imprenditori amici (questa operazione è un salvataggio di AirOne, non dell'Alitalia), vilipesi persino gli alleati di governo (Lega, Moratti, Formigoni).

Berlusconi voleva vincere in un esperimento di «nuove relazioni industriali». Voleva creare un precedente che potesse fare da format per la revisione del «modello contrattuale» e per tutte le grandi vertenze, da ora in poi. Ha potuto contare su una stampa così monocorde da esser peggio di una «di regime». Solo dal quotidiano di Confindustria, non per paradosso, sono tracimate analisi critiche e perplessità ben documentate. Lo hanno assecondato sindacati «complici» (Sacconi dixit!) come Cisl, Uil e Ugl. Cui si è assurdamente accodata una Filt in patente distonia con il resto della Cgil.

Il prezzo dell'operazione è spaventoso. Non tanto, come ripetono tutti, per i 4 miliardi di debiti scaricati sui conti pubblici. E non solo per l'imbarbarimento delle relazioni industriali, che preannuncia anni durissimi per tutto il lavoro dipendente. E' immenso il costo in termini di capacità industriali bruciate allegramente, di competenze professionali che avevano fatto di Alitalia una compagnia di riferimento globale (settima nel mondo, a un certo punto). Un patrimonio costuito in 50 anni di attività e programmazione, distrutto in 10 anni di consapevole demolizione bipartisan.

Se ce n'era ancora bisogno, Berlusconi conferma d'essere un impresario, non un imprenditore. Come nel caso della Standa, quando mette le mani su un'azienda «fisica» è capace solo di distruggerla. «A me gli occhi, please» può riuscire solo in tv. E non per sempre.

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