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Valerio Berruti
Centri storici chiusi, parcheggi cari e le auto fuggono dalle grandi città
19 Luglio 2013
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Nuovi inequivocabili segnali della crisi e dei cambiamenti che induce negli stili di vita. Si riuscirà per una volta a leggerli in modo propositivo?

Nuovi inequivocabili segnali della crisi e dei cambiamenti che induce negli stili di vita. Si riuscirà per una volta a leggerli in modo propositivo? La Repubblica, 19 luglio 2013, postilla (f.b.)

A Roma, secondo gli ultimi dati dell’Aci, lo scorso anno le auto circolanti sono diminuite di circa settantamila unità (da 1.937.783 a 1.867.520), ma altrettanto è accaduto a Milano, Torino, Genova, Bologna, Napoli e Palermo. È scesa ulteriormente anche la percorrenza media degli italiani: dai 10.900 km del 2011 ai 9.500 dell’anno scorso. Prime e vistose conseguenze di una crisi dell’auto senza precedenti, che negli ultimi cinque anni in Italia ha dimezzato le vendite, passate da 2,5 milioni del 2007 a un milione e 400 mila del 2012 con una previsione di una perdita di altre 150 mila vetture per l’anno in corso.

Uno degli effetti di tutto questo è, appunto, il primo calo in assoluto del parco circolante a cui si aggiunge una diminuzione del traffico dovuta sì alla crisi, ma anche alle varie politiche comunali che sull’esempio di Parigi dove il traffico dal 2001 ad oggi è diminuito di un terzo e solo un cittadino su due possiede un’auto, si stanno moltiplicando le zone a traffico limitato, quelle pedonali e, nello stesso tempo, alzando i pedaggi dei parcheggi, delle fasce blu e il costo delle multe.

Per tornare ai numeri, secondo l’indagine annuale Inrix Traffic Scorecard (agenzia internazionale che visualizza la congestione stradale come indicatore economico del Paese) il traffico in Italia è crollato del 34%. Molto al di sopra di quanto registrato in Europa, dove il calo è stato mediamente del 18%. Non solo. I modelli di traffico di quest’anno procedono con un trend a spiraleverso il basso, con il primo trimestre che mostra un’ulteriore diminuzione di 23 punti percentuali con una conseguente riduzione delle ore passate in macchina: 27 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il che significa che, escludendo Spagna e Portogallo, il nostro Paese ha registrato la maggiore diminuzione del traffico rispetto a tutto il resto dell’Europa.

AlixPartners, altra grande agenzia di consulenza internazionale, ha spiegato il fenomeno della demotorizzazione italiana con tre fattori: la crescita dei costi di gestione di un’auto, l’aumento della pressione fiscale e la riduzione della disponibilità economica delle famiglie causata dalla recessione. «Questi tre fattori — sostiene un loro studio — hanno determinato un atteggiamento meno positivo verso l’auto che si è tradotto nel rinvio della sua sostituzione e, quindi, nel crollo delle vendite ». Ma non solo. C’è anche una crescente disaffezione nei confronti dell’automobile, soprattutto da parte dei giovani (il numero delle patenti rilasciate nel 2012 è sceso del 19,3 per cento): sono sempre meno quelli che se la possono permettere e sempre più quellipronti a sostituirla con altri beni di consumo come computer, smartphone e tecnologie che rendono più accessibile la comunicazione e inutili molti spostamenti.

Così le città si svuotano, almeno dalle automobili, e la mobilità individuale cambia pelle. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, che sta per avviare la pedonalizzazione dei Fori imperiali, ha dichiarato che proverà a togliere dalla capitale nei prossimi cinque anni il 20per cento delle auto. «Convincerò i romani a usare i mezzi pubblici rendendoli più efficienti ». Lui, intanto, preferisce girare in bicicletta, mezzo che, a proposito, sempre quest’anno in Italia ha superato nelle vendite proprio le automobili. Non accadeva dal 1953. Un altro segno della demotorizzazione?

Postilla
Probabilmente, volendo, qualche curioso che si andasse a spulciare vecchi numeri di quotidiani (all'epoca Repubblica non era stato ancora inventato) dei primi '70, troverebbe considerazioni simili, al netto di linguaggio, contesto, riferimenti sociali specifici. E cresce il vago fastidio perché ancora una volta pare non si colga l'aspetto di occasione positiva, oltre quello evidentemente negativo segnalato dal calo di consumi anche per un bene durevole e strumentale come l'auto. L'unica traccia davvero lasciata dalle lontane ere delle prime domeniche a piedi per la crisi petrolifera, è lo sdoganamento della bici elegante, di tendenza, non segno di povertà. Il resto, dalle ricerche sul risparmio energetico, agli stili di vita che oggi si chiamano sostenibili, sparito nel nulla, almeno sul versante dei mercati e della consapevolezza di massa. Ancora oggi, certi approcci alla mobilità urbana continuano tranquillamente a colpi di opere, progetti, interventi puntuali senza alcuna strategia di fondo, magari con investimenti corposi (metropolitane in sotterranea ad esempio) giusto per alleviare il traffico privato, e magari lasciar spazio a nuove auto. Non è il caso di riflettere anche sulla storia recente, e cambiar marcia? (f.b.)

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