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Censis. Questa volta un resoconto senza veli
9 Dicembre 2007
Articoli del 2007
Gugliemo Ragozzino, i.d. e Benedetto Vecchi raccontano il rapporto del Censis, si il manifesto, 8 dicembra 2007

L'élite trascina in su la poltiglia di massa

Guglielmo Ragazzino

In pochissime pagine il Censis risponde alle domande fondamentali: chi siamo, donde veniamo, dove andremo (a finire). E' fantastico il modo per cui nel racconto tutto vada a posto. Oggi siamo divisi in due: quelli del «silenzioso boom» che sono anche cresciuti di numero e di forza, rispetto a ieri; e poi gli altri, «quelli dell'afflosciato pessimismo imperante» che, come vedremo tra un attimo, se la cavano anch'essi, con qualche accorgimento. In passato abbiamo ricevuto le spiegazioni necessarie per capire la nostra storia: nel 2003 il Censis ha fatto presente che «non c'erano ragioni per innamorarsi di un'ipotesi di declino e impoverimento». L'anno dopo ha rilevato che la «patrimonializzazione di massa», soprattutto immobiliare, era divenuta il motore del paese. Nel 2005 vi erano soprattutto «schegge di ripresa», poi confermate l'anno scorso, quando il «silenzioso boom» era guidato ormai essenzialmente da una minoranza industriale «orientata alla globalizzazione». E nel 2007? Oggi contribuiamo al mondo globale con un'offerta diretta alla «fascia altissima del mercato»; a fianco c'è una «strategia di nicchia» per le piccole imprese che lavorano su commessa; infine si assiste a una «ricollocazione in Italia di molte produzioni di alto brand».

Il futuro è di una economia reale, guidata da grandi protagonisti: che, non nominati, sono Fiat, super banche, Eni, Enel più qualche altro. C'è la «buona ripresa», pur turbata da qualche «nuvola nera» di carattere finanziario e dallo scontento dell'opinione pubblica, ma si fa trascinare in una sorta di neghittosità (parola che prestiamo al Censis per una prossima edizione del rapporto). «Tuttavia non è una snobistica sottovalutazione dei problemi finanziari dire che le preoccupazioni sorte negli ultimi mesi sono state via via ridotte e in parte superate».

La buona ripresa è però localizzata in aree del paese e non è generalizzata. Il sud è rimasto fuori e i salari sembrano bassi, anche se la retribuzione reale è poi un po' «diversa». In ogni caso i salari subiscono la strategia delle imprese vincenti: «Prezzi alti sull'esterno e costi bassi sull'interno». Dumping come se piovesse, insomma. Il mancato incremento salariale rende difficile la ripresa dei consumi; anche se il Censis ha notato un aumento dei consumi del 2% nella prima metà del 2007 che corrisponde «non alla trasposizione delle energie minoritarie in energie di massa», ma a una nuova «logica di consumo delle famiglie italiane».

Con il cambio della moneta, le famiglie hanno «vissuto una compressione durissima» e l'hanno contrastata con una «strategia intelligente»: il consumo ordinario è stato gestito con compere di merci scontate; il risparmio, usato nell'acquisto di beni durevoli «calibrando anche il credito al consumo» cioè pagando a rate anche il panettiere; dedicando il residuo «allo sfizio gastronomico o turistico o addirittura culturale». Tutto questo però, con l'aggiunta di una certa sfiducia nei «tesoretti» dispersi nella politica dal governo, invece di offrire una palestra di efficienza, ha ingenerato un inspiegabile pessimismo. Ne è risultata una realtà ambigua, un'inerte «antropologia senza storia, senza chiamata al futuro». Il fatto è che la maggioranza sfugge al sociologo; è ormai una «poltiglia di massa», un impasto di pulsioni, ua «progressiva esperienza del peggio», lo spegnimento di tutto quanto è "vitale"». E per parlare meno forbito, invece di «poltiglia» si dice «mucillagine», che è poi la parola forte del 41° Rapporto Censis. Seguono alcune pagine di grande trasporto emotivo. Ce n'è per tutti: «la passione si sfarina in pulsioni; il valore della parola si grattugia in parole tanto eccitate ed ebbre quanto prive di contenuto e di messaggio».

Ogni piccola frase ha però un obiettivo, spesso a noi sconosciuto, ma che si riconoscerà nell'invettiva . «... La religione diventa religiosità individuale e di gruppo; la libertà diventa imperfetto possesso del sé; il popolo diventa moltitudine di massa (questa l'abbiamo capita, ndr.)» Ma la poltiglia di massa può essere rimessa in movimento. Il Rapporto pensa a un certo numero di imprenditori schumpeteriani: «sono proprio lo spirito di avventura e il largo spettro di relazioni che hanno fatto grandi, anche nell'immaginario collettivo, i protagonisti più noti della recente minoranza vitale, siano essi fabbricanti di auto, pellami, vestiario o denaro». E con un sperticato elogio delle «minoranze» industriali, il Censis affida ai pochi Montezuma capaci, il compito di guidare il paese. L'ultima minoranza è quella che sceglie «l'appartenenza a strutture collettive (gruppi, movimenti, associazioni, sindacati, ecc. come forma di nuova coesione sociale e di ricerca di senso della vita». Tanto per prendere le distanze dai grandi partiti, condannati perché, ahimé loro, «non hanno forza di mordente unitario».

Master necessari e costosi, carta stampata in ripresa

Più media E più utenti. Si leggono più libri e giornali, si frequenta di più la Rete

i.d.

La scelta di elevare a dieci anni il percorso dell'istruzione obbligatoria, scrive il RApporto Censis, è coerente sia con lo scenario europeo sia con i desideri e le scelte della popolazione studentesca e delle famiglie. Più del 90% degli studenti italiani, finita la scuola media, si iscrive di buon grado alle superiori, ma i più lamentano attività di orientamento troppo generiche e inefficaci. Buone notizie dal mondo della scuola per quello che riguarda la presenza di studenti stranieri, che sono oggi più di mezzo milione (il 5,6% sul totale), con un tasso di crescita che oscilla fra il 12,8% della scuola elementare e il 23,8 delle superiori; gli studenti stranieri vorrebbero però maggiore supporto da parte di mediatori culturali, esperti e istituzioni locali e nazionali. Per quanto riguarda l'università, lo schema 3+2 Berlinguer-Moratti è ormai diventato saldamente 3+2+2: dopo la laurea triennale si passa alla specialistica e dopo la specialistica si pensa sia utile frequentare un master nel 61% dei casi. I master costano: una media di 5.400 euro all'anno, ma la qualità non ne consegue. L'Erasmus è nei desideri di tutti o quasi (92%) gli studenti italiani. All'interno del territorio nazionale, la mobilità continua a essere prevalentemente da sud a nord. La spesa media di uno studente fuori sede si aggira sui 1100 eiuro al mese.

Buone notizie dal RApporto Censis anche in materia di fruizione dei mass media. IN controtendenza rispetto alle analisi più accreditate sulla crisi della carta stampata, il RApporto sostiene che il pubblico dei giornali aumenta: il 79,1% della popolazione èè entrato in contatto con un quotidiano nel 2007. Su questa cifra incide sia la free press sia i quotidiani on-line, ma l'84% dei lettori sceglie i quotidiani tradizionali (il doppio degli utenti della free press e il quadruplo dei frequentatori dei siti on line). La tv continua a menare la danza nell'utenza multimediale. La tv tradizionale è il mezzo più usato (92%) , la tv satellitare raggiunge il 27% degli italiani e la tv digitale il 13,4. Secondo il RApporto, la qualità televisiva è sempre più bassa nell'utenza «feriale» (quiz, fiction, reality), ed emigra verso le tv a pagamento. Morale: dal «di tutto di più» della tv generalista bisognerebbe passare al «di meglio ai più» nel contesta della rivoluzione digitale.L'integrazione di diversi media non ne premia uno a scapito degli altri, ma aumenta la platea complessiva degli utenti. E' così che perfino il consumo di libri, tradizionalmente uno degli indicatori più bassi e disperanti dela società italiana, sembra crescere: sono il 59,4% gli italiani che nel 2007 hanno letto almeno un libro e il 52,9 quelli che ne hanno letti addirittura tre. Il pubblico televisivo aumenta a sua volta, anche se di poco. La radio vive una seconda giovinezza, rivelandosi il medium più flessibile di tutti e più adatto a fare da sfondo all'uso di computer, cellulari, mp3. Gli utenti del Web sono arrivati al 45,3% della popolazione, con un boom della banda larga.

Il lavoro en general sotto la mucillaggine

Benedetto Vecchi

Al Censis non manca certo il gusto per le ellissi, i giochi di parole, le immagini fantasiose sulla società italiana, a partire dalle capriole che la comunità di produttori raccolti attorno alla piccola impresa compie per garantirsi quel ruolo, misconosciuto, di locomotiva dell'economia italiana. È infatti attorno alle gesta di quell'esercito operoso di vecchi e nuovi artigiani, di «fabbrichette» che il Censis costruisce l'annuale rapporto sulla società italiana. Quest'anno è la volta della mucillagine, l'immagine scelta per sintetizzare le tendenze in atto nella società italiana. Una sintesi, tuttavia, che privilegia una lettura organicistica della società italiana che non aiuta certo a fare chiarezza.

Dunque un'Italia melmosa, segnata da impoverimento che si riproduce, diffondendosi, mantenendo intatte le caratteristiche: laboriosità, una certa capacità di muoversi agilmente sul mercato mondiale, disinteresse, se non ostilità per come viene gestita la cosa pubblica. Eppure dietro ogni capitolo che compone il quarantunesimo rapporto sulla situazione sociale del paese fa capolino una griglia analitica in auge al tramonto del decennio reaganiano. Si tratta di quelle analisi sugli Stati Uniti dove la crescita delle diseguaglianze sociali ha prodotto l'underclass, cioè quei lavoratori poveri erranti per il paese che sembrano emergere da un'altra era, quella descritta da John Steinbeck in Furore.

Donne e uomini che lavoravano sì, ma con salari al di sotto della soglia di povertà. Donne e uomini indebitati con le banche, perché incapaci di pagare i mutui delle case faticosamente acquistate. Donne e uomini che mettono in atto strategie di «finanza creativa» per far fronte alla perdita del potere di acquisto del proprio salario. Infine, donne e uomini che reagiscono alla galoppante globalizzazione rifugiandosi nel culto del locale. Descrizione spietata di una classe operaia impoverita, colpita al cuore dal capitalismo neoliberista. Ci vorranno altri dieci anni affinché il giovane clarinettista di Little Rock Bill Clinton riesca a infondere un po' di fiducia, senza però mai riuscire a far uscire la working class dalla povertà in cui l'ha cacciata Ronald Reagan.

Ma se al posto della classe operaia e della forma stato statunitense mettete il ceto medio tanto caro al Censis e il sistema politico e finanziario italiano il risultato non cambia. Impoverimento, indebitamento, strategie di fronteggiamento della perdita di status. Il vero nodo da sciogliere, ma che il Censis preferisce lasciare aggrovigliato, sono le condizioni materiali del lavoro en general.

La mucillaggine che cresce a dismisura, che copre come una melma in attesa di chissà quale nuovo boom economico è infatti il lavoro senza aggettivi. Metalmeccanici, colletti bianchi, lavoratori della conoscenza a tempo indeterminato o precari sono tutti colpiti dalle politiche neoliberiste del passato governo e dalla crisi di quel «capitalismo molecolare» talvolta guardato con ammirazione dal Censis. Un tendenza che non sarà certo ribaltata dal liberismo compassionevole che domina l'attuale politica economica del governo di Romano Prodi.

Qui l'editoriale di Ida Dominijanni

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