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Mario Pirani
Cefalonia: resistenza o soviet militare´
23 Maggio 2005
La Resistenza
Parole utili agli inutili sordi. Da la Repubblica del 23 maggio 2005

Confesso che mi arreca pena tornare a scrivere del sacrificio della Divisione Acqui a Cefalonia di fronte alle ricorrenti svalutazioni di cui quell´episodio che costò la vita a 6500 militari italiani è fatto oggetto. Se intervengo ancora una volta è per rispetto alla memoria di quei poveri morti ed anche perché vorrei che i propugnatori delle versioni «riduzionistiche» riflettessero sugli effetti negativi che la loro vulgata può avere sulla formazione all´amor patrio delle giovani generazioni. Dico questo anche perché sono convinto che i dubbi su Cefalonia sono stati in questi anni coltivati soprattutto da personaggi e da studiosi come Gian Enrico Rusconi e Sergio Romano (e nel passato anche da Montanelli), meritevoli per tanti versi di assoluta considerazione, ma impregnati forse da una forma personale di scetticismo storico assoluto, destinato a prevalere su ogni giudizio di valore. Da questo punto di vista discutibilissimo appare inoltre il luogo e l´occasione della loro ultima esternazione, la Radio ufficiale della Germania federale che, nel quadro del Sessantennio della fine della guerra, ha dedicato una trasmissione alla nostra Resistenza, a partire da Cefalonia.

Ecco cosa si evince dal resoconto stenografico della trasmissione.

Voce narrante: «E´ stato soprattutto il Presidente Ciampi a raccogliere l´impulso a porre il grande gesto patriottico della Divisione Acqui al vertice della resistenza italiana. Gian Enrico Rusconi non è d´accordo... « Intervento di Rusconi: «Effettivamente si sta ricostruendo una immagine d´insieme della Resistenza in cui c´è posto per i militari. Ma questi non hanno nulla a che vedere con la resistenza dei partigiani. Perché la Divisione Acqui - e Pirani può dire quello che vuole (la domanda, peraltro, riguardava Ciampi, ndr) - voleva tornare a casa con le armi, punto.... La Resistenza? Se resistenza significa lottare contro i tedeschi, allora quella era resistenza, ma avrebbero combattuto contro chiunque, anche contro i russi, se questi li avessero voluti disarmare. «Intervento di Lutz Klinkhammer, ricercatore presso l´Istituto storico tedesco a Roma: «C´è qui quella che si chiama storiografia del Quirinale.... dimostrare la resistenza della Divisione come simbolo dell´unità nazionale... delle analisi più approfondite potrebbero solo recare disturbo a questo mito di nuova creazione. Alcuni intellettuali conservatori, tra cui Sergio Romano, hanno parlato anche di questi punti dolenti».

Intervento di Sergio Romano: «L´unico desiderio di quei soldati era di tornare a casa. Per loro la guerra era finita. Avevano paura di essere catturati dai tedeschi. Non hanno combattuto per altre ragioni... Poi ci fu un episodio non bello e confuso, quando il generale Gandin forse perse il controllo della truppa. Nella truppa si svilupparono disordini di «tipo sovietico», tra virgolette nel senso che si formarono consigli militari. Ci fu un referendum, il che è piuttosto insolito per un´unità combattente. Forse Gandin perse il controllo della situazione ed in seguito ci furono quegli scontri. Dunque io non credo che si possa parlare di una prima manifestazione di resistenza».

Tralascio altre citazioni (tra cui gli interventi miei e di Giorgio Bocca) ma mi limito a ricordare che la strage di Cefalonia fu bollata dal Tribunale di Norimberga come uno dei più indegni crimini di guerra commessi dalla Wermacht.

Certamente i soldati italiani desideravano tornare a casa ma resta il fatto che decisero di battersi e di resistere, a prezzo della vita, dai generali Gandin e Gherzi all´ultimo fante. Quattro Reggimenti e 17 Caduti furono per questo decorati di medaglia d´oro alla memoria.

Mi spiace non avere lo spazio per riportare le motivazioni.

Se questa non fu Resistenza, tale non fu neppure quella dei 600.000 soldati prigionieri che preferirono restare nei lager piuttosto che aderire a Salò come era stato loro offerto. Se tutti volevano solo andare a casa non si capisce perché i sopravvissuti delle Divisioni Venezia e Taurinense dettero vita alla Divisione Garibaldi che fino alla fine della guerra combattè in Jugoslavia accanto ai partigiani di Tito. E perché le Divisioni Cremona e Friuli, comandate dal generale Magli, invece di ripiegare in Sardegna, liberarono la Corsica dopo duri scontri con le truppe corazzate tedesche. E perché 50 ufficiali a Trilj in Montenegro e più di cento a Santi Quaranta in Albania vennero giustiziati per aver rifiutato la resa. La risposta l´ha data Ciampi: «Decisero di non cedere le armi. Preferirono combattere e morire per la Patria. Tennero fede al giuramento».

Ma forse non serve ripeterlo a chi non vuol sentire

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