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Roberto Cotroneo
C'è satira e satira
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Si allarga la nebbia del conformismo. Anche là dove dovrebbe splendere il sole della libertà d’espressione. Da l’Unità del 13 gennaio 2005

L’Ordine dei giornalisti non l'aveva mai fatto: ha richiamato Vauro, il vignettista satirico, per aver pubblicato una vignetta fortemente critica su Giovanni Masotti, conduttore del programma giornalistico della Rai: «Punto e a capo».

Due giorni fa il presidente Bruno Tucci gli ha dato un «avvertimento orale». Parlando esplicitamente di violazione del capoverso 3 dell'articolo 2 della legge del 3 febbraio 1963.

È la legge dell'Ordinamento dell'ordine dei giornalisti. Il capoverso 3 dell'articolo 2 dice: «Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori». Deve essere un lapsus, di quelli seri. E non c'è niente da fare, quando hai a che fare con i vignettisti satirici, finisce sempre che l'ironia che corre per il mondo ci mette qualcosa di suo. Il capoverso 3 sarebbe di ammonimento proprio a Giovanni Masotti, che ha definito le vignette del suo collega Vauro a lui dedicate (sono più d'una) un'iniziativa di stampo «brigatista», senza preoccuparsi del fatto che rivolgersi all'Ordine per una vignetta satirica ha qualcosa di paradossale e francamente un po' ridicolo. Stendendo poi un velo pietoso sullo stampo «brigatista». In realtà il capoverso a cui voleva fare riferimento l'Ordine, sbagliando incredibilmente su una legge che dovrebbe conoscere a memoria, è invece il capoverso 1 dell'articolo 2, che recita: «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede». Diritto insopprimibile, appunto: diritto insopprimibile limitato dall'osservanza delle norme di legge a tutela della personalità altrui.

Masotti non si sente tutelato dal contenuto di una vignetta satirica. E allora cosa si sarebbe dovuto fare, e mi riferisco a buona parte del mondo politico italiano che sta a sinistra, con tutte le vignette di Giorgio Forattini di questi ultimi anni? Ossessive, esagerate, eppure espressione di una libertà di satira e di opinione che è sacrosanta e che va difesa a ogni costo: per Forattini, per Vauro e per chiunque.

Ma questi sono tempi davvero strani; cupi e caporaleschi, per certi aspetti, dove la censura, o la ripicca, si esercita in un modo ambiguo. Masotti poteva querelare Vauro per diffamazione, ma non lo ha fatto; probabilmente poi avrebbe dovuto pagare le spese processuali. E invece cosa è successo? Masotti ha chiesto all'Ordine professionale di esercitare un potere di veto e di avvertimento. Un potere che l'Ordine ha, ed esercita, per cose assai più serie e più gravi; per tutelare i minori, ad esempio.

E perché avviene questo? Perché in realtà si vuole intimidire senza averne il diritto. Cosa dovrà fare Vauro da ora in poi? Dovrà rifarsi al capoverso dell'articolo 2, quello che gli dà sì un diritto insopprimibile, ma lo rende pur sempre richiamabile all'Ordine, per l'appunto? Dovrà stare più attento ai disegni o alle frasi che mette nelle vignette? E una matita dai tratti più spessi e più offensiva di una matita sottile? Il fumetto con la scritta che occupa uno spazio minimo è meno invadente e dunque più tollerabile di una scritta che occupa tutto il disegno? E una vignetta a colori, è più realistica, e dunque più offensiva, di una disegnata con pochi tratti? E ancora: quanta responsabilità hanno i giornali sulla vignetta? Se è pubblicata in grande l'ammonimento è più grave e il capoverso della legge è più violato, oppure l'articolo 2 viene violato comunque, anche se viene usato un formato francobollo su un giornale formato lenzuolo?

Sono paradossi, è ovvio. Il diritto di satira, e i limiti della satira in casi estremi, ma proprio estremi, possono essere stabiliti per legge: anche se è materia davvero assai sfuggente. Ma quando non è la legge a entrare in campo, quando non è un magistrato, un sostituto procuratore della Repubblica, a stabilire cosa sia lecito e cosa non lo sia, quando non sono tre gradi di giudizio a incolpare qualcuno per aver sfruttato il suo ruolo di opinionista per diffamare il prossimo, ma è un ordine professionale, attraverso un suo organo di controllo, le cose non vanno bene. E non vanno bene perché per prima cosa si è persa l'ironia, e poi perché si è cancellata quella grande regola per cui si rispettano le opinioni altrui, soprattutto quelle che danno più fastidio.

Tutto questo è il risultato di un nuovo sistema di potere che fino a qualche anno fa era inimmaginabile. Non è strano che siano proprio certi giornalisti, televisivi in particolar modo, i più nervosi di tutti in vicende come queste. Sono quelli più esposti e dunque quelli che più hanno da perdere dalla satira e dallo scherno. Sono quelli che devono prendere atto che neppure la legge è dalla loro parte. Così vanno all'Ordine professionale, e chiedono avvertimenti e richiami. E pazienza se poi i capoversi a cui si fa riferimento sono quelli sbagliati.

Quando Vauro fece l'esame da giornalista, nel giugno del 1987, stessa sessione di Giuliano Ferrara, il presidente della commissione esaminatrice, un magistrato, gli chiese quali mai fossero i limiti della satira. E lui rispose: «I limiti della satira? La satira per definizione non può avere dei limiti». E il presidente, incalzando: «Ma lei non si pone un problema etico...». E Vauro: «Io? Io faccio vignette, io sono un vignettista satirico».

Non spiegò quel giorno che Walter Benjamin sosteneva che la satira deve essere «cannibalesca» (kannibalisch), e deve trarre linfa e vita proprio dal conformismo e dall'ipocrisia di chi è compromesso con il potere. Ma il senso delle parole di Vauro ricalcava il pensiero di Benjamin. Erano tempi migliori, le sue risposte furono giudicate idonee e convincenti, e passò l'esame da giornalista. Adesso per gli stessi motivi per cui fu promosso all'esame di giornalista, viene ammonito proprio dall'ordine dei giornalisti. Mala tempora...

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