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Giovanni Valentini
Cattiva stampa e cattiva politica
30 Maggio 2009
Articoli del 2009
Gli attacchi alla stampa del governo ne svelano il deficit democratico. Da la Repubblica, 30 maggio 2009 (m.p.g.)

Se dovessi scegliere tra un governo senza giornali e giornali senza un governo, non esiterei un istante a scegliere la seconda opzione.

(Thomas Jefferson - 16 gennaio 1787)

Sono passati più di due secoli da quando Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d’America, scrisse la frase riportata qui sopra in una lettera a Edward Carrington, prima militare e poi rappresentante politico della Virginia. E nel frattempo, s’è avverato ciò che lui stesso auspicava di seguito: "Ma devo dire che ogni uomo dovrebbe essere in grado di ricevere questi giornali ed essere capace di leggerli".

Trasferita nell’Italia contemporanea e messa in bocca al presidente del Consiglio in carica, la citazione di Jefferson andrebbe completamente rovesciata: non c’è alcun dubbio che Silvio Berlusconi preferirebbe invece un governo senza giornali. E con lui, molti dei suoi adepti e cortigiani. Anzi, l’opzione potrebbe riscuotere consensi perfino nelle file della sinistra o del centrosinistra.

La stampa, la libera stampa, disturba i potenti. Per la semplice ragione che, in nome dell’opinione pubblica, esercita bene o male una funzione di controllo nei loro confronti e in questo senso rappresenta un contropotere. Osserva, riferisce e giudica il loro comportamento. Valuta quello che fanno e non fanno. Indaga sulle loro azioni. Li intervista, li contraddice e a volte si permette pure di criticarli.

Lungi da noi la tentazione di una difesa d’ufficio della categoria. Anche i giornalisti - a cominciare ovviamente da chi scrive - possono sbagliare, hanno le loro colpe, i loro difetti e le loro debolezze. A differenza dei politici, però, rendono conto ogni giorno ai propri lettori, oltreché alla propria coscienza, al proprio direttore, al proprio editore ed eventualmente alla giustizia, mentre i politici si rifugiano spesso e volentieri dietro lo scudo dell’immunità parlamentare. Sta di fatto, comunque, che i lettori comprano i giornali e talvolta accade invece che la politica compra gli elettori.

Ora, quando il presidente del Consiglio dichiara che "chi vuol fare del male, fa il delinquente, il pubblico ministero o il giornalista", non si sa bene se – detto da un personaggio come lui - sia un’offesa o un complimento. L’associazione magistrati giustamente protesta e li ritiene "insulti inaccettabili". E il presidente della Federazione nazionale della Stampa, Roberto Natale, li definisce attacchi "indecorosi". Ma, diciamo la verità, non c’è da parte della nostra categoria quella reazione indignata e compatta che una tale aggressione meriterebbe.

Sotto il fuoco delle polemiche suscitate dal "caso Berlusconi", riprese e amplificate da diversi e autorevoli giornali stranieri, il ministro degli Esteri Franco Frattini, artefice di una fondamentale legge sul conflitto di interessi che non impedisce al premier neppure di fare il presidente vacante del Milan, non trova di meglio che prendersela con la "stampa cattiva e disonesta". Ma si può, e può in particolare il capo della diplomazia, liquidare in blocco con una battuta del genere le critiche di testate come il Financial Times, organo della business community internazionale; come i quotidiani inglesi The Guardian e The Indipendent o come lo spagnolo El Paìs? Noi, giornalisti italiani, ormai ci siamo abituati e conosciamo fin troppo bene i nostri governanti. Ma che cosa devono pensare i colleghi stranieri e, soprattutto, che cosa devono pensare i lettori dei rispettivi giornali?

All’estero, non tutti sanno che questa è una classe politica composta da funzionari o impiegati di partito, non di eletti dal popolo. Nominati dall’alto, e non sempre in virtù delle proprie qualità o competenze, ma piuttosto dei servizi che rendono a questo o a quel capo; della loro fedeltà e obbedienza; del loro aspetto fisico o magari della loro "bellezza". Una burocrazia parlamentare, insomma, che non viene scelta dal corpo elettorale, bensì dai vertici dei partiti e imposta di fatto ai cittadini.

L’intolleranza crescente verso i giornali, da parte di un ceto politico dedito innanzitutto alla difesa dei propri interessi e della propria sopravvivenza, rivela in realtà una tara, una debolezza congenita, che deriva appunto dal senso di precarietà e dipendenza. L’informazione viene così demonizzata e criminalizzata. E non resta che attaccare, offendere e insultare i giornali e i giornalisti, italiani o stranieri, in una gara all’insegna della stupidità e volgarità, per guadagnare titoli e meriti agli occhi dei maggiorenti. Siamo ormai al limite dello squadrismo verbale.

La stampa sarà pure "cattiva e disonesta", come sostiene impunemente il ministro Frattini. Ma, allora, che cosa dobbiamo dire tutti noi, cittadini ed elettori, di questa politica? Cattiva e disonesta, non basta. Da parte nostra, come il presidente Jefferson e al contrario di Berlusconi, continuiamo a preferire giornali senza un governo piuttosto che un governo senza giornali.

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