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Fabrizio Bottini
Casa e città: qualcosa di sinistra
15 Settembre 2011
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Il partito laburista in vista del rinnovo del governo metropolitano di Londra ha pubblicato un interessante documento programmatico sulle case economiche, che merita attenzione

Certo è facile lanciare slogan interessanti quando si sta all’opposizione, come nel caso del Labour londinese dopo la sconfitta di Ken Livingstone e l’ascesa dell’enfant prodige conservatore Boris Johnson. Si aggiunga che il rapporto Housing Policies for London appena pubblicato non è in effetti il programma politico ufficiale, ma un contributo ad esso, inoltrato in primo luogo al ministro ombra per le aree urbane Caroline Flint, graziosa signora che da sottosegretario alla casa nel governo Brown si è distinta tra l’altro per una serie di dichiarazioni sulle eco-città di bassissimo profilo, dove a volte si scivolava direttamente nello sciocchezzaio della “misura d’uomo” e dintorni. Ma anche fatta la dovuta tara, il documento elaborato dal gruppo di lavoro londinese sulla casa, e discusso nel corso di alcune sessioni nello scorso agosto, appare ricco di spunti. Tralasciando le tematiche finanziarie e di orientamento sociale, pur importantissime se si pensa a quanto avvenuto nel governo conservatore dopo le rivolte, val forse la pena qui di concentrarsi sugli aspetti più legati allo sviluppo urbano. Chi volesse scendere ne dettagli può comunque scaricarsi il rapporto integrale in pdf allegato al termine di questa nota, che vuole proporre del rapporto alcuni temi, adattati e commentati rispetto a una sensibilità più generale.

Il quartiere ambientalmente e socialmente sostenibile

La domanda che potremmo porci è: esiste una idea di città di sinistra?

Forse si, se ciò significa fissare principi generali che leghino obiettivi sociali a una struttura spaziale definita da aspetti come le densità, le qualità edilizie e urbanistiche, il tipo di godimento degli alloggi, il contesto ambientale generale.

E far sì ad esempio che i principi non restino a galleggiare nell’aria, a pura legittimazione di chi li afferma programmaticamente, ma si traducano in tempi certi in qualità tangibili, secondo un programma che metta in primo piano le necessità più urgenti, ad esempio dei servizi, dei trasporti pubblici ecc. Di conseguenza coinvolgendo in modo equilibrato sia le risorse pubbliche che private in termini economici, progettuali, di ricerca.

L’obiettivo è di costruire un tessuto urbano non ghettizzato, sia sul versante funzionale che su quello sociale, inteso dal punto di vista del reddito, delle fasce di età, della condizione professionale e culturale.

Un primo strumento, anche in controtendenza rispetto a certi commenti recentissimi a proposito di alcuni motivi sottesi alle rivolte urbane, è quello di fissare al 50% di qualunque intervento di trasformazione edilizia la quota delle abitazioni economiche entro la circoscrizione londinese. Non basta, visto che nell’accezione di casa economica poi rientrano giustamente diverse fasce di riferimento sociale. Di questo 50% allora un 70% sarà di case sociali in affitto, e il 30% di tipo intermedio, ovvero quanto oggi i conservatori chiamano “affitto controllato” e che non è affatto rivolto ai redditi bassi.

Intervenire sulla casa non significa solo costruire abitazioni, e farlo con l’idea di una società composita ed equilibrata, ma anche porre le basi di una città sostenibile. La pianificazione urbanistica qui deve porre in primo piano la qualità dei quartieri, edilizia, degli spazi pubblici, dell’ambiente riguardo alle emissioni e ai consumi energetici, dei servizi, del verde. Non va scordato ad esempio che una buona gestione dei bilanci energetici alla fine si traduce in un intervento sociale, riducendo il carico delle bollette per gli abitanti. Lo stesso vale per i trasporti e i rapporti spaziali diretti con le attività economiche, che riducono i costi monetari e di tempo della mobilità. Da questo punto di vista sarà fondamentale coordinare politiche per la casa e grandi e piccoli nodi infrastrutturali, in grado di porre le basi per una ottima accessibilità multimodale, a servizio delle varie utenze. Ciò significa anche operare trasversalmente e in modo coordinato alle varie scale e responsabilità dei piani. Il che, pare di capire, è l’esatto opposto dell’ideologico localismo decisionale in urbanistica alla base della Big Society di Cameron.

La centralità dei quartieri secondo i laburisti è del tutto alternativa al modello localista e sostanzialmente nimby dei conservatori, e si basa sulla consultazione, partecipazione, e ripristino di un ruolo centrale degli organismi para-regionali di programmazione cancellati dall’attuale governo, che nel campo della casa avevano iniziato un approccio di area vasta non certo accusabile di particolarismi, e soprattutto coerente agli obiettivi di evitare ghetti qualsivoglia, come avvenuto in altre epoche coi complessi di case popolari di stampo modernista.

In questa prospettiva, a livello nazionale, è auspicabile un rilancio degli interventi in territori sinora emarginati e particolarmente colpiti da fenomeni di crisi locale e spopolamento, dalle aree rurali (dove allo sprawl si affianca spesso una forma di gentrification) a quelle montane, alle zone turistiche dove la speculazione delle seconde case colpisce contemporaneamente qualità ambientale e della vita per i residenti.

Città compatta e tutela del territorio

Tutto quanto detto al paragrafo precedente, a ben vedere, riguarda in genere una idea di città futura e di qualità complessiva dell’insediamento. Potrebbe però apparire abbastanza declamatorio parlare di sostenibilità senza toccare un tema centrale come il contenimento del consumo di suolo. Il documento programmatico del Labour è dedicato specificamente alla casa e dunque non si è ritenuto di esplicitare in capitoli o sezioni apposite questo tema, che però sottotraccia emerge chiarissimo, a partire da affermazioni come questa: “le nuove costruzioni rappresentano comunque solo una piccolissima parte delle abitazioni. Sono quelle già esistenti, e destinate ad esistere probabilmente per secoli coi ritmi attuali di sostituzione, ad essere al centro dell’interesse per un utilizzo migliore, interventi di miglioramento, gestione diversa”.

In termini generali, si introduce così il tema delle aree già urbanizzate, delle infrastrutture esistenti, la classica diatriba fra sostenitori di un approccio in stile new town e l’assai più realistica centralità delle densificazioni locali, del riuso edilizio e urbanistico, della modernizzazione e ristrutturazione anziché sola ricerca di nuovi spazi.

Una strategia di riuso a scala vasta ha come premessa un censimento delle abitazioni esistenti e dell’uso attuale, degli appartamenti sfitti, o sottoutilizzati, degli usi impropri o abusi.

Certo non è il caso di intervenire in modo poliziesco esclusivo e privilegiato nel sistema delle assegnazioni di case pubbliche in base a requisiti familiari e di reddito (grandi superfici con pochissimi abitanti, cessazioni di effettivo diritto per uscita dalle fasce protette, casi di abusivismo), ma è certo che il sistema delle assegnazioni, degli affitti privati convenzionati, va rivisto nei metodi e nel controllo, per ritornare a far svolgere alle case popolari davvero il proprio ruolo.

Del resto in una logica di interventi coordinati anche la mobilità degli inquilini potrebbe uscire dalla sola alternativa fra godimento di un diritto ed esclusione, aprendo incentivi a passaggi intermedi e miglioramento delle proprie condizioni abitative.

A partire dalla riqualificazione integrata del vecchi complessi monoclasse, da riarticolare sia fisicamente che nelle modalità di assegnazione. Questo dell’intervento sui complessi di case popolari esistenti introduce in senso proprio l’altro tema generale, ovvero il privilegiare le zone urbane esistenti, risparmiando per quanto possibile aree agricole, di greenbelt, e in genere superfici aperte.

In nome della realizzazione di case economiche, e spesso sulla spinta di interessi speculativi dei costruttori, si finisce spesso per introdurre varianti nei piani, dove aree libere diventano urbane, magari lontano dai nodi di servizio e infrastrutturali, penalizzando così sia l’ambiente che gli abitanti. Secondo i laburisti (e direi secondo chiunque sia minimamente attento a questi temi) occorre invertire la rotta indicata dal governo attuale, che non privilegia più il recupero delle aree dismesse, anche coinvolgendo in modo coordinato vari operatori pubblici, privati, cooperativi.

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