Gentilissimo sindaco Pisapia,
esattamente di fronte a uno dei nostri monumenti più insigni, il Cimitero monumentale, ai margini di uno dei quartieri dove il palinsesto urbano ha lasciato più e più segni negli ultimi due secoli, un progetto di riedificazione dell'area, dopo un lungo iter burocratico iniziato sotto l'amministrazione che l'ha preceduta, in questi giorni ha avuto da parte di questa giunta comunale il placet alla sua realizzazione. Quel progetto è semplicemente scandaloso.
Il lotto attualmente occupato dall'edificio storico dell'Enel, che ha una qualità storico-architettonica evidente, verrà raso al suolo per essere sostituito da un volume edilizio che ne rioccupa lo stesso sito, ma che, con la sua sorda volumetria, parodizza la memoria storica, annichilendola. Non è semplicemente un brutto edificio, è la sublimazione della mediocrità. L'esaltazione della rendita fondiaria fatta intonaci, balconi, serramenti.
Avere a disposizione un volume come quello dello storico edificio dell'Enel e non concepirlo come l'occasione per una progettazione ardita, che sappia conservare il patrimonio della memoria e al contempo riconvertirlo alle esigenze della modernità è la dimostrazione di una totale mancanza di coraggio da parte dei proprietari dell'area. Ma molto peggio è aver accettato supini, da parte dell'amministrazione comunale, tale operazione, per poter, probabilmente, battere cassa.
Signor sindaco, lasciar intaccare in modo così radicale il centro abitato, lasciare che il mercato ponga le mani sul tessuto urbano con ludibrio, violentando la città, non è politica, è connivenza. Ciò che si sta perpetrando ai danni del nostro territorio è irreversibile, appena verrà innalzata la staccionata del cantiere la ferita non sarà più rimarginabile. Io, da suo elettore, da cittadino, non voglio, non posso essere connivente di questo scempio.
Affianco accade ancora di peggio. Demolito il recinto murario e i corpi di fabbrica compresi che definiscono il lotto fra via Niccolini e via Bramante, il piano immobiliare prevede l'edificazione di un albergo di nove piani, arretrato rispetto al fronte stradale, lasciando una zona di rispetto che dovrebbe essere trasformata in una piazza.
Non ci vuole un urbanista raffinato per capire che questo segno nel tessuto è di una violenza senza pari. I due elementi, l'albergo e la piazza, sono di una totale piattezza creativa. Se proprio devo incidere il corpo urbano che almeno il risarcimento sia proficuo! Vedere innalzarsi di fronte al Cimitero monumentale un volume che ha la stessa grazia di un oscuro ministero della Corea del Nord, la stessa noiosa monumentalità d'accatto è disarmante. Ciò che lascia attoniti è la limitatezza di un'imprenditorialità che all'alba del 2012 agisce sul territorio senza alcuna lungimiranza: possibile che non ci fosse modo di affidare un segno di tali dimensioni nelle mani di un progettista con uno spessore intellettuale e creativo più solido? Possibile non comprendere che anche sulla qualità dell'edificato si gioca la fortuna economica di una operazione di queste dimensioni? Ma su tutto: cosa ci guadagna la città?
Vuole farmi credere, signor sindaco, che quello spiazzo insulso, quel vuoto che non riuscirà mai a diventare piazza condivisa dalla cittadinanza, sia un risarcimento degno? Già mi figuro lo spaccio di stupefacenti in quel nulla urbano, già mi vedo le lastre della pavimentazione divelte, le panchine scardinate. Quella che vedo sulla carta non sarà mai una piazza, ma solo un luogo di desolazione, di abbrutimento. Ne vale la pena?
Certo, c'è anche il recupero dei capannoni di via Bramante, trasformati nella sede espositiva dell'ADI. Ma mi chiedo: può una carezza risarcire uno stupro? Il progettista di tutto ciò ha un nome: Giancarlo Perotta. È l'autore dei due grattacieli di fronte alla stazione Garibaldi, concettualmente già vecchi quando vennero edificati negli anni rampanti della Milano da bere. Talmente inadeguati che non hanno retto il volgere di neppure due decenni, subendo un inevitabile restyling. È l'autore della Stazione Bovisa, dell'Ospedale San Paolo, del complesso residenziale in via Sesia… una pletora infinita di segni raffazzonati, una male orecchiata idea di progettazione urbana, una concezione stereometrica dell'edificato ai limiti dell'autistico. Un'idea di architettura che è una continua emulazione fallita di modelli incompresi e irraggiungibili.
Sia ben chiaro, signor sindaco, ho la fortuna di poter scrivere queste cose scevro da dietrologie. Non sono un abitante del quartiere, non ho mire di alcuna natura su quell'area. Scrivo queste righe non da architetto, né da intellettuale o scrittore. Le scrivo da cittadino. Abbiamo chiesto durante le elezioni amministrative un segno concreto di discontinuità dal passato. Se lei ora è il nostro sindaco lo è perché abbiamo creduto fosse capace di interpretare questa idea profondamente etica di comunità.
La logica degli oneri di urbanizzazione a scomputo, che ha retto il mercato immobiliare di questi ultimi decenni, è stata una iattura. È ora di cambiare filosofia, di cambiare politica. Mettere l'interesse pubblico di fronte a quello privato, innanzitutto. Stimolare le iniziative di riordino fondiario senza subirle passivamente, prevedere, anche su aree private, l'obbligo di un concorso a inviti per lotti di tali dimensioni, rendere partecipi gli abitanti della zona. Fare politica urbana significa ragionare a lunga gittata, essere consapevoli di ciò che si eredita e di ciò che si vuole lasciare in eredità. Vogliamo farci ricordare dai nostri figli come i costruttori di questa città senza nerbo, signor sindaco?
Lo chiedo a lei e non solo. Lo chiedo ai suoi assessori: non trovate che questa sia una battaglia da combattere nel nome della cultura cittadina? Lo chiedo ai docenti del Politecnico: è questa l'idea di architettura che vogliamo insegnare ai nostri studenti? Lo chiedo ai soci dell'ADI: nel nome di una nuova sede espositiva siete pronti ad accettare un tale scempio urbano? Chiuderete gli occhi, colpevoli, quando passerete in quel vuoto urbano che fronteggia l'albergo? Lo chiedo alle imprese che vogliono costruire nel nostro territorio: non avete ancora capito che è solo con la qualità progettuale che diverrete davvero competitivi?
Siete coscienti di essere destinati a soccombere se non renderete etico il vostro agire? Lo chiedo al FAI, a Italia nostra, alle associazioni locali: non sarebbe davvero rivoluzionario un popolo che si ribella nel nome della bellezza? Lo chiedo ai politici sia di destra sia di sinistra: siete consapevoli del male che avete fatto e continuate a fare al corpo sfinito di una metropoli che da troppo tempo sogna di rialzarsi, ma che subisce di continuo la zavorra del vostro scarso coraggio?