la Repubblica (13 agosto 2014 ) ci sembra che l’autore superi se stesso. Con postilla
Caro presidente del Consiglio Matteo Renzi,
Le scrivo, come è diritto di ogni cittadino, per porLe una domanda: la riforma della Costituzione su cui il governo punta le sue carte servirà a disincagliare l’Italia dalle secche di questa lunga stagnazione?
Lei certo sa, Signor Presidente, che l’Italia si distingue per alcuni primati poco invidiabili. Secondo dati Ocse richiamati dalla Corte dei Conti, siamo al terzo posto al mondo per evasione fiscale (preceduti solo da Turchia e Messico), e Confcommercio stima in 154,4 miliardi di euro le tasse non pagate nel solo 2012. Secondo Transparency International, l’Italia è uno dei Paesi più corrotti d’Europa (con Romania, Grecia e Bulgaria), peggio di Namibia e Ruanda, con perdite annue di 60 miliardi. Secondo il World Freedom Index l’Italia è terzultima in Europa per libertà di stampa, stando in classifica fra Haiti e BurkinaFaso. Intanto, a fronte di un consumo di suolo medio in Europa del 2,8%, l’Italia raggiunge un devastante 6,9%, pur con incremento demografico zero (dati Ispra). La disoccupazione giovanile è balzata al 43,3%, contro il 7,9% della Germania, e la media europea del 22,5% (dati Eurostat).
Secondo il Dipartimento per lo Sviluppo di Palazzo Chigi l’Italia è ultima in Europa per investimenti in cultura, con una contrazione della spesa doppia che in Grecia. Una riforma universitaria pessima e gestita ancor peggio mette in ginocchio la ricerca e riduce il merito a un optional spesso superfluo. Centinaia di imprese italiane chiudono i battenti o vengono assorbite da aziende cinesi, sudamericane, mediorientali. Come una valanga, continua la “fuga dei cervelli”: decine di migliaia di giovani formatisi in Italia portano in altri Paesi i loro talenti, vanificando l’alto investimento che il Paese ha fatto su di loro (nel 2013, quasi 44.000 italiani hanno chiesto di lavorare nella sola Gran Bretagna). Mentre cresce la disuguaglianza sociale, si radica la sfiducia dei cittadini nella politica, come ha mostrato il forte astensionismo nelle Europee, con un 41,32% di non votanti a cui va aggiunto l’8,31% di schede bianche, nulle o disperse. In questo contesto, come Lei sa bene, Signor Presidente, il buon risultato percentuale del Suo partito vale più o meno la metà di quel che sembra.
A fronte di questi problemi, l’azione del Suo governo si concentra su questioni di ingegneria istituzionale, come se ridurre di numero i senatori (ma non i deputati), o evitarne l’elezione popolare, possa salvare l’economia italiana. Secondo Mario Draghi, l’Italia ha bisogno di «riforme strutturali sui mercati dei prodotti e del lavoro», ma in Italia si produce sempre meno e si lavora sempre meno. L’Italia deve ridurre la pressione fiscale: con un reddito annuo di 28 mila euro, un italiano paga il 27% di imposte, un americano il 15%; a un reddito di 75 mila euro corrisponde un’imposta del 28% in Usa, del 43% in Italia. Questa enorme differenza dipende dalla rarità dell’evasione fiscale in Usa (dove è severamente punita), mentre i nostri governi di ogni colore (anche il Suo) fanno ben poco per combatterla.
Lei ha cercato invano, Signor Presidente, di trasmettere il Suo ottimismo: le Sue previsioni di crescita del Pil si sono rivelate fallaci, e il calo dello 0,2% nell’ultimo trimestre, contro un +3,2% della Gran Bretagna e un +1,1% medio dell’area euro, lascia poco spazio alla retorica. Cresce intanto il debito pubblico, che nel 2013 ha raggiunto il 132,6% sul Pil, e falliscono uno dopo l’altro i tentativi di spending review.
La stagnazione è ormai recessione, nasconderlo è un boomerang per chi lo fa. Corruzione, evasione fiscale, disoccupazione e altri problemi italiani sono ben noti ai nostri partner in Europa e nel mondo: se non si affrontano subito, il governo perde credibilità e accredita l’ipotesi che cambiare la Costituzione sia una tecnica dilatoria per non sfidare le urgenze.
La riforma apporta alla Costituzione mutamenti radicali. Anch’io, come molti cittadini, ritengo improprio che tali proposte siano nate dal governo e non dal Parlamento, e che vengano approvate da senatori e deputati nominati secondo una legge elettorale incostituzionale. Ma la domanda è ora un’altra: se mai quel testo entrasse in vigore tal quale, come e in che cosa la recessione del Paese ne verrebbe corretta? E se invece il testo facesse per mesi e mesi la spola fra Camera e Senato assorbendo tempo ed energie, non sarebbe un dirottamento rispetto ai problemi reali del Paese?
Non crede che il Suo governo acquisterebbe prestigio e credibilità se mostrasse nei fatti di ricordarsi dei diritti dei cittadini sanciti dalla Costituzione e dimenticati dalla politica con la scusa della crisi? Non sono diritti secondari: sono il diritto al lavoro per tutti i cittadini (art. 4), la funzione sociale della proprietà (art. 42), la pari dignità sociale dei cittadini e la loro eguaglianza (art. 3), la garanzia per tutti di «un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36), il diritto alla cultura (artt. 9, 21, 33), il diritto alla salute (art. 32). Sono diritti ignorati o taglieggiati in nome della crisi economica. In che modo la Costituzione che Lei ha in mente intende farli risorgere dalle ceneri?
Il giovane Renzi essendo stato boy scout, conosce probabilmente la differenza tra i gufi (tra i quali, nella sua tassonomia, certamente annovera Settis) e le civette. Non essendo versato in altri saperi non sa, probabilmente, che la civetta era per gli antichi, e per i moderni che non hanno rottamato il passato, il simbolo della sapienza e della saggezza. Per celebrare nel nostro autore queste virtù abbiamo scelto come icona con la quale sottolienare l'articolo appunto una civetta. la cui immagine abbiamo tratto dal Museo virtuale della Certosa di Bologna.