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Giorgio Salvetti
Carlin Petrini: “Bisogna mettere in campo la qualità”
5 Dicembre 2013
Consumo di suolo
La lotta al consumo di suolo provocata dall'urbanizzazione sregolata (meglio: regolata dalle regole della privatizzazione della rendita) si combatte insieme alla lotta per un'agricoltura sana e legata al territorio.

La lotta al consumo di suolo provocata dall'urbanizzazione sregolata (meglio: regolata dalle regole della privatizzazione della rendita) si combatte insieme alla lotta per un'agricoltura sana e legata al territorio. Il manifesto, 5 dicembre 2013

Nes­suno meglio del fon­da­tore di Slow Food Car­lìn Petrini sa col­lo­care la mani­fe­sta­zione di Col­di­retti nel con­te­sto glo­bale dell’agricoltura e della distri­bu­zione di cibo. Nes­suno più di lui sa che cosa vuole dire e quanto è impor­tante la tutela dei con­ta­dini, dei ter­ri­tori e dei pro­dotti locali.

Cosa pensi di quello che è avve­nuto ieri al Bren­nero?
I pro­dotti agri­coli ita­liani vanno senz’altro tute­lati, ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Biso­gna deci­dere se il sistema Ita­lia vuole pun­tare sulla quan­tità e vuole rin­cor­rere una domanda soprat­tutto estera in con­ti­nua cre­scita, oppure vuole pun­tare sulla qua­lità. Se vogliamo essere i più grandi pro­dut­tori e distri­bu­tori di pro­sciutto nel mondo è ovvio che c’è il rischio che si fini­sca per ricor­rere anche a mate­ria prima a basso costo e di dub­bia qua­lità che pro­viene dall’estero per poi riven­derla inde­bi­ta­mente come made in Italy. A rimet­terci sono i con­ta­dini e le pro­du­zioni locali che in que­sta gara a chi vende di più e fa prezzi più bassi non pos­sono essere com­pe­ti­tivi. In tutto il mondo, e a mag­gior ragione da noi, la dignità dei con­ta­dini, il rispetto dei ter­ri­tori e la qua­lità del cibo ine­vi­ta­bil­mente impone di met­tere in campo ampie dero­ghe alle leggi di mer­cato. Fac­cio solo l’esempio dei con­ta­dini mes­si­cani che custo­di­scono un ter­ri­to­rio dove è nata la cul­tura del mais e del suo con­sumo e che invece devono impor­tare il 3% del mais dagli Usa dove costa meno per­ché è tran­sge­nico e pro­dotto inten­si­va­mente. E’ una que­stione di tutela della pro­du­zione locale e di sovra­nità ali­men­tare. Chi rimane fre­gato non è l’intermediario ma il col­ti­va­tore vit­tima di dum­ping a cui ven­gono impo­sti i prezzi di ven­dita.

Se que­sto è il qua­dro glo­bale non c’è il rischio che il blocco dimo­stra­tivo di Col­di­retti e la richie­sta di norme strin­genti per l’etichettatura si ridu­cano ad una lotta con­tro i mulini a vento?
Si tratta di un grido di allarme giu­sto e neces­sa­rio. L’etichettatura è sacro­santa. Per lo meno si deve sapere da dove viene la merce e come viene pro­dotta. La cor­retta infor­ma­zione è l’unico modo che hanno per difen­dersi sia le popo­la­zioni con­ta­dine che i con­su­ma­tori cit­ta­dini, i quali sono i primi e più forti alleati dei pro­dut­tori locali. Ma le eti­chetta non bastano. Man­cano anche i con­trolli. E’ vera­mente signi­fi­ca­tivo e para­dos­sale che i con­ta­dini ieri abbiano dovuto fare quello che rego­lar­mente e costan­te­mente dovrebbe essere fatto dalle auto­rità.

Per­ché que­sto non avviene? Eppure a parole tutte le forze poli­ti­che si schie­rano accanto ai con­ta­dini ita­liani e ieri con loro c’era anche il mini­stro De Giro­lamo.E’ troppo facile adesso dire che hanno ragione. Il mini­stro deve fare azioni con­crete. Invece sia i governi ita­liani che si sono suc­ce­duti, sia l’Ue, hanno molte dif­fi­coltà ad attuare quello che dicono a parole o in dise­gni di legge qua­dro mai tra­dotti in decreti attua­tivi.

Per­ché non agi­scono?
E’ sem­plice. Le lobby della pro­du­zione e della distri­bu­zione agroa­li­men­tare non hanno inte­resse a pro­muo­vere la trac­cia­bi­lità e a infor­mare sull’origine delle mate­rie prime.

Anche le imprese ita­liane del set­tore?
Le imprese ita­liane lo fanno a mac­chia di leo­pardo, alcuni vir­tuosi ne fanno una stra­te­gia di mar­ke­ting, altri pre­fe­ri­scono nuo­tare in que­sto limbo di inte­res­sata ambi­guità.

Nono­stante tutto l’alimentazione di qua­lità è uno dei pochi mer­cati che in Ita­lia non risente della crisi e c’è un ritorno dei gio­vani nelle cam­pa­gne dove si regi­strano dati in con­tro­ten­denza anche rispetto alla disoc­cu­pa­zione. E’ pos­si­bile aggan­ciare la riprese a par­tire dai campi?
Tutti sono con­sa­pe­voli che que­sto è un set­tore stra­te­gico per il nostro paese, ma dob­biamo deci­derci. Il cibo ha perso valore da quando è diven­tato der­rata da pro­durre in serie a prezzi bassi. Biso­gna invece pri­vi­le­giare il valore sui volumi, la qua­lità sulla quan­tità. Che mi importa se i fran­cesi pro­du­cono meno vino ma hanno più resa eco­no­mica? La rin­corsa alla pro­du­zione a tutti i costi pro­duce spre­chi, distrugge l’ambiente e non risolve il pro­blema della mal­nu­tri­zione. Genera una crisi antro­pica inso­ste­ni­bile per l’ambiente, i ter­ri­tori, le per­sone, le cul­ture e anche per la finanza.

Il cibo è il tema dell’Expo 2015 di Milano, ai tempi del sin­daco Moratti hai avuto qual­che delu­sione a que­sto pro­po­sito, adesso Slow food come si pone rispetto a que­sto evento?

Pro­prio domani a Milano con il sin­daco Pisa­pia e con il com­mis­sa­rio Sala pre­sen­te­remo la nostra col­la­bo­ra­zione all’evento, ma lo fac­ciamo per por­tare den­tro Expo le nostre tema­ti­che. Non si può vedere Expò solo come oppor­tu­nità di svi­luppo eco­no­mico per Milano e per l’Italia. Che importa se ven­gono tanti visi­ta­tori se poi c’è la fame nel mondo.

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