Sciopero sociale. Migliaia di studenti e precari sfilano a Milano sfidando i manganelli. La cattiva gestione della piazza della polizia non rovina la strana giornata milanese percorsa da tre cortei, diversi ma uniti dalla stessa voglia di tornare a lottare per difendere i diritti ed estenderli a tutti».
Il manifesto 15 novembre 2014 (m.p.r.)
Non per enfatizzare le solite mazzate che «rovinano» i giorni di lotta, ma le cariche democratiche distribuite gratuitamente ieri a Milano dimostrano ancora una volta che in questo paese c’è una gran voglia di menare le mani. Sul campo è rimasto qualche contuso e un punto interrogativo sul perché a un certo punto la polizia abbia deciso di dare una’energica riordinata alla strana giornata milanese, con tre cortei diversi (ma non troppo) che per tutta la mattina hanno girato intorno alla questione «più diritti per tutti». A volte incrociandosi, spesso ignorandosi, e sempre desiderando di convergere tutti insieme chissà dove, forse in un mondo nuovo con un popolo nuovo che ha perso memoria di sigle, sette, sommatorie e impossibili «unità» a sinistra. Erano tutti lì, concentrati in pochi chilometri quadrati. Decine di migliaia griffati Fiom diretti in Duomo, qualche migliaio dietro agli striscioni dei sindacati di base sbucati in piazza San Babila dopo tanto girovagare e più di 5.000 scioperanti sociali, una prima assoluta, un esperimento tanto suggestivo quanto complicato che ha anche emozionato alcuni lavoratori — «ho preso mezza giornata, questo è il mio primo sciopero». A 32 anni, sono conquiste.
Nei dintorni di piazza Duomo, quando lo sciopero sociale arriva al dunque, è il caos organizzato come fuori da un formicaio: un palco qui, uno speaker corner laggiù, un camion che fa piazza davanti a trenta persone e poi uno, tre, dieci comizi strada facendo. Una confusione socializzante, l’idea che tutti abbiano incrociato le braccia per davvero. E’ in quel momento che la polizia ha voluto metterci del suo, facendosi sfuggire di mano il corteo meno bellicoso degli ultimi anni. A prenderle, in due riprese, alcuni studenti delle superiori, la massa trainante del primo difficile sciopero sociale (per chi ha uno schifo di lavoro è ancora un lusso), quasi tutti minorenni alle prime esperienze di piazza.
La trappola è scattata in piazza Santo Stefano, a centocinquanta metri da piazza Fontana, il traguardo che gli studenti avevano concordato con la questura. Sembra che l’altolà incomprensibile sia stato causato da una non meglio precisata presenza di altri manifestanti nella medesima piazza, «anarchici!», o da un tafferuglio, «momenti di tensione», in piazza Duomo, forse con sedici militanti No Tav. In realtà nulla ostacolava il percorso del corteo degli studenti. Da qui, il testa a testa, gli spintoni e le manganellate ai ragazzi nascosti dietro allo striscione «La buona scuola siamo noi». Con tanto di lancio di lacrimogeni. Un fuori programma che forse ha impedito a Maurizio Landini di incontrare gli studenti dopo il comizio.
Fine? Macchè. Dopo un ripiegamento in Statale, il corteo è stato caricato di nuovo all’ingresso dell’Arcivescovado dove (forse) si teneva un incontro della Cei con un esponente del ministero della pubblica istruzione: ancora botte, nella strettoia di un portone. «Se la forza pubblica non riesce a gestire l’ordine pubblico e carica da dietro un corteo autorizzato di studenti, riteniamo che le dimissioni del questore di Milano siano un atto dovuto», scrive l’Unione degli Studenti.
Prima delle manganellate, lungo il percorso diverse realtà hanno segnato il territorio con «azioni» comunicative per sottolineare quella pluralità di rivendicazioni che non trovano sbocchi politici o sponde sindacali. Tutti dietro lo striscione «Non c’è futuro nella precarietà» in disordine sparso. Storie, progetti e biografie diverse. Giovanissimi che canticchiano rime da sperimentare nelle prossime occupazioni scolastiche, precari over 30, disoccupati in cerca di qualche scintilla, universitari con passo felpato per un’incursione. Una rincorsa a tappe. Sono contestazioni contro le scuole private, «sanzioni» al cantiere Expo della Darsena — due striscioni — un lenzuolo calato dal Museo del Novecento in piazza Duomo, «Gratis non vi avrei tagliato nemmeno una fetta di torta», e poi slogan contro lo scandalo del lavoro volontario per l’Expo. E per finire anche un’assemblea, finalmente in piazza Fontana. Per sparlare di scuola. E delle botte della polizia.