Il Fatto Quotidiano online, 29 giugno 2016 (c.m.c.)
Bisogna dare voce a chi non ce l’ha. A chi non ha alcun diritto se non quello di morire di fatica, sotto un sole e una calura che, al Sud, spesso non perdona. La manifestazione e il corteo a Bari dei giorni scorsi ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica la piaga del caporalato che riguarda non solo gli immigrati ma anche moltissimi italiani.
Lo sfruttamento non ha colore. Non possiamo rimanere indifferenti, è necessario informarsi, capire cosa accade sotto i nostri occhi. Chi volesse farlo può leggere il documentato saggio di Enrica Simonetti: Morire come schiavi. La storia di Paola Clemente nell’inferno del caporalato, edizioni Imprimatur.
L’autrice è una giornalista e racconta “quasi” in prima persona la storia di Paola Clemente, morta a quarantanove anni nei campi di Andria, e delle sue braccia, sfruttate per troppe ore nei campi, con la ricompensa di due euro all’ora.Un libro che è un grido d’allarme, un saggio che possiamo definire “letterario”, perché Enrica Simonetti è capace di raccontare; la sua inchiesta indaga le radici di un Sud (non ci riferiamo solo al nostro, ma a tutti i Sud) dove le piaghe non si rimarginano mai.
Rimangono vive perché figlie dello stesso sistema economico che le ha create, del quale siamo tutti complici, non solo perché abbiamo perso la capacità di indignazione, ma perché continuiamo a comprare i prodotti delle aziende i cui prodotti sono figli dei “campi della vergogna” dove, appunto, si muore per due euro all’ora.
Ci vorrebbe un altro Di Vittorio? Sì, forse, ma Di Vittorio può e deve essere ciascuno di noi, basta non chiudere gli occhi, denunciare come ha fatto la brava giornalista del saggio.