Franz Muntefering, presidente del Partito Socialdemocratico tedesco, intervenendo nel dibattito sul Capitalismo e riferendosi in particolare al funzionamento della finanza, ha descritto gli operatori finanziari come “sciami di locuste che piombano sulle imprese spogliandole prima di spostarsi altrove”. Commentando criticamente quell'uscita e quel dibattito “The Economist” arriva a confrontarli con la retorica nazista contro il Capitalismo. Tanta violenza sorprende in una pubblicazione di orientamento liberale che, pur manifestando sempre con nettezza il proprio pensiero, usa in genere, moderare i toni.
Un paio di anni fa Claud Bèbèar, gran Patron di Axa e principe della finanza mondiale, ha rilasciato una lunga intervista in un libro dal titolo “Uccideranno il Capitalismo”.
E non si riferiva ai comunisti ma proprio ai capitalisti ed in particolare al mondo della finanza, che conosce benissimo e della quale narrava tutte le storture e le nefandezze.
Ma per trovare una critica così dura del capitalismo contemporaneo gli uomini di “The Economist” non avevano bisogno di andare lontano bastava leggessero… “The Economist”, ed in particolare il supplemento del Giugno del 2003 dal titolo “Capitalism and Democracy”. In esso venivano anche citati una serie di testi di orientamento liberale, i titoli di alcuni dei quali - “Salvare il Capitalismo dai capitalisti”, “Stato prigioniero”, “Fine del Governo”, “Ricchezza e Democrazia” - di per sé danno conto di una critica del Capitalismo contemporaneo non meno radicale del riferimento alle locuste.
In quel supplemento “The Economist” sottolineava una serie di fenomeni - “Un mucchio di scandali societari, risentimento per una straordinario ampliamento delle ineguaglianze di reddito e di ricchezza nei paesi ricchi, un terrificante buco nei conti pensionistici di milioni di persone e, più cruciale di tutto, una montante disillusione sulla capacità delle Istituzioni democratiche di fare rispondere i colpevoli delle loro colpe” - che, a suo parere, rimettono in discussione il rapporto tra Capitalismo e Democrazia. È cambiato così tanto il Capitalismo in questi ultimi mesi secondo “The Economist”?
Ciò detto bisogna anche dire che un problema per la Sinistra probabilmente esiste e sta nel divario tra una critica del capitalismo contemporaneo, che diventa sempre più dura, e la capacità di portare avanti proposte di riforma adeguate. Si potrebbe anche dire che c'è il rischio di passare da un atteggiamento di riformismo debole e, tutto sommato, subalterno, incapace di mobilitare il consenso di persone afflitte da un crescente senso di insicurezza, alla semplice denuncia demagogica e populista.
Per riformismo debole si può intendere l'accettazione dell'idea che le “riforme strutturali” si riducano a quella del mercato del lavoro e a quella dei sistemi pensionistici. Non per dire che questi problemi non esistono. Ma già a tal proposito bisognerebbe distinguere nettamente la strada seguita per la riforma del mercato del lavoro da Thatcher e Reagan da quella seguita, con successo, per esempio, dai socialdemocratici svedesi.
Per quanto riguarda le pensioni bisognerebbe tener presente che proprio i paesi che per primi hanno avviato e predicato la riforma attraverso la parziale privatizzazione dei sistemi pensionistici, sono ora costretti a riformare la riforma anche a causa dei famosi “buchi terrificanti”. Bush tenta di farlo puntando a demolire definitivamente il sistema di sicurezza sociale seguendo una concezione della democrazia per la quale, come diceva la Thatcher, la società non esiste ed esiste soltanto l'individuo. Ma non è detto che il Governo inglese non segua un'altra strada che fa leva sulla ridefinizione ed il rilancio del ruolo redistributivo della componente pubblica del sistema.
In ogni caso non è su queste questioni che si focalizzano le spietate analisi di orientamento liberale ma su fenomeni quali l'aumento delle disuguaglianze e la concentrazione della ricchezza, il modo come vengono governate le imprese, i meccanismi di incentivazione degli executives, il distacco tra finanza e economia reale e la tendenza ad operare con un'ottica di breve periodo, i conflitti di interesse, lo scarso bilanciamento del potere nella struttura economica e la conseguente tendenza del mondo degli affari a prevaricare la politica dalla quale scaturisce la menomazione della democrazia. A questo complesso di problemi, dei quali la Sinistra sta prendendo consapevolezza con un certo ritardo, si può rispondere non semplicemente con la riforma delle pensioni o del mercato del lavoro ma con una riforma del Capitalismo.
Per la Sinistra sarebbe importante ora definire una teoria positiva dell'impresa e del mercato che vada oltre il riconoscimento del loro ruolo, quasi come un male necessario, fatto decenni fa a Bad-Godesberg dalla socialdemocrazia tedesca. Il mercato è uno spazio di libertà, luogo insostituibile dove gli individui possono promuovere e convalidare, nel rapporto con la società, le proprie aspirazioni ed i propri talenti ed è perciò in grado di produrre incessantemente innovazione. Ma la misura in cui esso può esercitare una tale funzione dipende dalla volontà di porre limiti alla concentrazione della ricchezza e del potere. Formulare una tale teoria dell'impresa e del mercato implica perciò la consapevolezza che essa risulterà opposta a quella dominante da un paio di decenni, che riduce l'impresa ad una semplice sommatoria di contratti individuali governati dalla proprietà, il cui unico scopo sarebbe quello di produrre profitto.
Il grande merito del Riformismo del Novecento è stato di dimostrare che l'alternativa “il Capitalismo o si gestisce così come è o si abbatte” era infondata. Il Capitalismo si può riformare. E se il motore della riforma nel Novecento fu la Sinistra politica e sindacale, personaggi liberaldemocratici quali Keynes e Beveridge dettero un contributo di idee determinante. E non è detto che un tale incontro non possa ripetersi nella risposta ai problemi di oggi.
la società non esiste ed esiste soltanto l'individuo. Ma non è detto che il Governo inglese non segua un'altra strada che fa leva sulla ridefinizione ed il rilancio del ruolo redistributivo della componente pubblica del sistema.
In ogni caso non è su queste questioni che si focalizzano le spietate analisi di orientamento liberale ma su fenomeni quali l'aumento delle disuguaglianze e la concentrazione della ricchezza, il modo come vengono governate le imprese, i meccanismi di incentivazione degli executives, il distacco tra finanza e economia reale e la tendenza ad operare con un'ottica di breve periodo, i conflitti di interesse, lo scarso bilanciamento del potere nella struttura economica e la conseguente tendenza del mondo degli affari a prevaricare la politica dalla quale scaturisce la menomazione della democrazia. A questo complesso di problemi, dei quali la Sinistra sta prendendo consapevolezza con un certo ritardo, si può rispondere non semplicemente con la riforma delle pensioni o del mercato del lavoro ma con una riforma del Capitalismo.
Per la Sinistra sarebbe importante ora definire una teoria positiva dell'impresa e del mercato che vada oltre il riconoscimento del loro ruolo, quasi come un male necessario, fatto decenni fa a Bad-Godesberg dalla socialdemocrazia tedesca. Il mercato è uno spazio di libertà, luogo insostituibile dove gli individui possono promuovere e convalidare, nel rapporto con la società, le proprie aspirazioni ed i propri talenti ed è perciò in grado di produrre incessantemente innovazione. Ma la misura in cui esso può esercitare una tale funzione dipende dalla volontà di porre limiti alla concentrazione della ricchezza e del potere. Formulare una tale teoria dell'impresa e del mercato implica perciò la consapevolezza che essa risulterà opposta a quella dominante da un paio di decenni, che riduce l'impresa ad una semplice sommatoria di contratti individuali governati dalla proprietà, il cui unico scopo sarebbe quello di produrre profitto.
Il grande merito del Riformismo del Novecento è stato di dimostrare che l'alternativa “il Capitalismo o si gestisce così come è o si abbatte” era infondata. Il Capitalismo si può riformare. E se il motore della riforma nel Novecento fu la Sinistra politica e sindacale, personaggi liberaldemocratici quali Keynes e Beveridge dettero un contributo di idee determinante. E non è detto che un tale incontro non possa ripetersi nella risposta ai problemi di oggi.