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Campania: il territorio violentato
26 Febbraio 2007
Campania felix
Un'inchiesta della scorsa settimana de Il Mattino, in più puntate, sull'abusivismo in Campania. In dieci anni oltre 9.250.000 metri quadrati di suolo edificati illegalmente. (m.p.g.)

Provincia, allarme degli esperti: nei cd le foto delle opere illegali

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 20 febbraio 2007

«I cd contenenti le mappe? Sono a disposizione gratuita da più di due anni, ma finora solo alcuni fra i sindaci della provincia di Napoli hanno sentito il bisogno di consultarli. Eppure, è proprio guardando le immagini satellitari contenute nei cd che è possibile rendersi conto di quali e quante costruzioni abusive esistano sui territori di propria competenza». Rocco Mari e Vincenzo Guerra sono il responsabile e l’ex responsabile del Sit, il «sistema informativo territoriale», un progetto che, coordinato dall’assessore all’Urbanistica Moccia, la Provincia di Napoli presieduta da Dino Di Palma da anni cura tramite una convenzione stipulata con Telespazio. Nella regione più martoriata d’Italia, qui dove l’abusivismo genera devastazione, morti e rovine, da anni i «primi cittadini» - grazie al progetto Sit - hanno la possibilità di avere sotto gli occhi lo scenario dettagliato e concreto degli illeciti perpetrati in loco. Foto scattate dal satellite. Aggiornate e raffrontate nel tempo. Perciò, precise. Illuminanti. Inequivocabili. E invece? E invece, niente. O quasi. La maggior parte dei sindaci, sebbene più volte sollecitata dall’Ente locale, non solo non si affretta a dotarsene per imbastire una strategia di interventi, ma non si reca nemmeno a visionarle per curiosità. Per poi magari stra-giurare, come spesso avviene quando si scoperchia un grande abuso, di «non averne mai saputo nulla». Un’omissione allarmante, questa dei sindaci. Che sembra dirla lunga sulla reale volontà di combattere, nell’hinterland napoletano, l’orrenda piaga delle case fuorilegge. «Tenga presente - ammettono Mari e Guerra - che la consultazione delle immagini presuppone la conoscenza di tecniche non elementari, di cui alcuni uffici tecnici sono sprovvisti. È anche vero, però, che il Formez svolge ottimi corsi di aggiornamento». Al quinto piano di via don Bosco, grandi monitor per visionare le mappe. Raccontano Mari e Guerra: «Oggi spesso ci convocano come testimoni nei processi su opere abusive. Tutto iniziò cinque anni fa con un progetto commissionato dal Comune di Acerra. Lo scopo era soprattutto di natura fiscale. Poi, abbiamo lavorato con la procura di Torre Annunziata. E con la procura di Nola, che alla fine ha scoperchiato il bubbone dei rioni fuorilegge di Casalnuovo». Sì, ma come si lavora? Qual è il metodo? La risposta: «Sovrapponiamo immagini scattate dall’alto in epoche diverse e raffrontate con le cartografie e le carte catastali di cui abbiamo disponibilità». Aggiunge Guerra: «Il punto di partenza più efficace è una foto storica del luogo. Avuta quella, e se essa è un’immagine nitida, gran parte del lavoro è fatto. Ma attenzione: non sempre quel che appare nella foto corrisponde al vero. A volte, per esempio, i dati catastali sono aggiornati anagraficamente ma non graficamente. O viceversa. Prima di sentenziare che trattasi di abuso, perciò, e per evitare errori bisogna attuare tutte le verifiche più accurate». Non solo. Perché i risultati siano blindati, bisogna - anche e il più possibile - tenere aggiornate le immagini. Perché la realtà cambia. E quella dell’abusivo non è mai uguale a se stessa. Raccontano Mari e Guerra: «Affinché il satellite fotografi il territorio provinciale occorrono quindici giorni. Senza nuvole che oscurino la vista. È un lavoro delicato. Da mesi l’ufficio sta lavorando a una orto-foto a colori, scala uno a cinquemila, cioè a una immagine ad altissima risoluzione scattata dall’aereo ma molto più dettagliata di quelle satellitari. Per intenderci, si vedono i camion a grandezza di macchinine giocattolo. È un lavoro di aggiornamento esteso a tutta la Campania, commissionato dalla Regione. Sarà pronto entro cinque mesi: in questi giorni si stanno collaudando le immagini del Salernitano». Trattasi di un lavoro complesso, operativamente realizzato in tandem da due società specializzate, la Rpa di Bologna e la Stereocarto spagnola. I caratteri? Gli esperti assicurano: «Dall’alto, si giunge a mettere a fuoco perfino una baracca di tre metri per tre». Perciò: abusivi, tremate. Siete finalmente sotto tiro. Sempre che i sindaci si decidano a consultare le mappe. La mappa aggiornata, appunto, ci fa sapere che dal 1988, nella provincia di Napoli (4 milioni di anime su un territorio pari a un decimo di quello campano), l’incremento edificatorio risulta pari al 35 per cento. Le concessioni edilizie - nello stesso lasso di tempo - non hanno superato il 5 per cento o giù di lì. Indovinate, dunque, quanti sono stati gli abusi. (1 - continua)

Così 45mila vani illegali hanno ferito il Vesuvio

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 21 febbraio 2007

Nola. Una procura efficiente, che amministra 33 Comuni. Un presidio ben guidato. E animato da quindici bravi magistrati. Che però, per colpa della carenza di mezzi, da novembre non riescono a registrare tutte le notizie di reato. L’arretrato segna quota ottomila. 45mila le «notizie» ricevute nel 2005. 40.249 l’anno scorso. Di queste, 3.344 riguardano verbali di sequestro. Cioè, illeciti edilizi. Che hanno priorità assoluta. «Il condono? Un disastro. Ha moltiplicato gli abusi, ha scatenato la corsa a far risultare le opere antecedenti al 31 marzo 2003». Francesca Servillo, giovane pm da sei anni e mezzo alla sezione «Tutela del territorio» voluta dal procuratore capo di Nola Adolfo Izzo, usa parole severe contro la sanatoria e le tentazioni che essa suscita nel mondo del cemento illegale. Cinque magistrati. Un impegno totale. E davanti agli occhi, lo scenario angoscioso di un territorio che da Marigliano e Pomigliano, da Volla a Casalnuovo passando per Acerra si estende fino alla dilaniata area vesuviana, dove ai rischi del vulcano da anni si accavallano criminali ondate di cemento che non lasciano scampo a eventuali fughe da eruzione. Qualche anno fa, il procuratore generale della corte di appello di Napoli Galgano ha detto: «Per erigere un edificio di media grandezza c’è bisogno di circa 288 ore di lavoro. Cioè 12 giorni, lavorando 24 ore su 24. Esistono ditte fantasma con manodopera a cottimo specializzate in questo genere di fatica. Sono veloci, efficienti. Per sgominarle, ci vorrebbe un controllo anche notturno». E l’associazione «Cigno verde» denuncia: «200 chilometri quadrati, 600mila abitanti. Nei diciotto Comuni dell’area vesuviana si concentra il top dell’abusvisimo nel Sud d’Italia. Si contano 45mila vani illegali, 50mila richieste di condono. E solo 4mila risultano le ordinanze di abbattimento». Frasche frondose, fogli di lamiera. Se occorre, tende a fasce verticali bianche e blu come quelle da giardino: mille i trucchi usati per occultare un’opera abusiva in fase di realizzazione. Lo scorso anno, nell’area del parco Vesuvio, la procura di Nola ha accertato centinaia di abusi. La «classifica» vede al primo posto Marigliano con 83 casi. Seguono San Giuseppe Vesuviano, Acerra, Somma Vesuviana. E Terzigno. E Ottaviano. All’ultimo posto c’è Liveri. Racconta un vigile urbano: «L’abusivo vesuviano non ha scrupoli. Mai. Né limiti. Costruisce ovunque, perfino a ridosso dei luoghi di culto. Lo dimostra l’orrendo balcone realizzato qualche anno fa a ridosso della chiesa di santa Caterina a Marigliano, gioiellino del 700 in località Lausdomini». Già, ma come fanno? E perché l’abusivo se la cava quasi sempre? Il pm Servillo spiega: «Gli uffici tecnici comunali si accontentano della Dia, la dichiarazione di inizio lavori, e non pretendono certificazioni più accurate, comprese le fotografie comparate dei luoghi, che per legge sono obbligatorie. Pigrizia, compiacenza, ignoranza: a monte c’è un po’ di tutto». E Maria Cristina Amoroso, anche lei pm della sezione «Tutela del territorio»: «Incrociamo tanti tipi di abuso. C’è chi non possiede alcun titolo, chi realizza altro rispetto a quanto dichiarato, chi costruisce in difformità rispetto alla licenza, chi dà luogo a volumi tecnici che tecnici non sono: parlo dei famosi sottotetti di Marigliano, per esempio, trasformati furbescamente in mansarde abitate. A migliaia». Scoprire i furbacchioni è difficile. Perché loro sono abili. E possiedono mezzi in abbondanza. Ma impedire che - una volta scoperti - gli abusi continuino grazie alla sistematica violazione dei sigilli, appare spesso ancora più complicato. Racconta il procuratore capo, Adolfo Izzo: «Ho chiesto da tempo nuclei interforze per intervenire tempestivamente contro chi viola i sigilli. I sindaci però non mi rispondono. E mi chiedo: a che serve il patto di legalità se permangono così gravi silenzi?». E il pm Servillo: «Scoperto l’abuso, noi chiediamo al gip il sequestro dell’immobile. E deleghiamo la polizia affinché provveda allo sgombero. I proprietari, a questo punto, ci presentano istanza di condono. Noi manteniamo lo sgombero. Allora spunta un certificato medico: c’è in casa una donna anziana. E malata. Noi resistiamo ancora. E non sospendiamo lo sgombero. Nominiamo un consulente, affinché effettui la perizia. Ma se nel frattempo, come spesso accade, arriva il condono da parte del Comune non possiamo che arrenderci». Dice Valeria Sico, anche lei pm a Nola: «La gente qui fa fatica a ritenere un reato l’abuso edilizio. Pensa che sulla propria terra possa fare ciò che vuole. La violazione dei sigilli prevede al massimo otto mesi (che nessuno sconta). Entro due anni la pena viene sospesa. L’abuso è un reato che va in prescrizione nel giro di quattro anni. Per essere condannati, tutti i gradi di giudizio dovrebbero esaurirsi in quel lasso di tempo. Ci si sente impuniti. Perciò in pochi accettano di abbattere». E il pm Servillo: «Se riuscissimo a ottenere subito l’abbattimento sarebbe già molto meglio. Da qualche settimana, alla fine dell’iter e di fronte a un mancato abbattimento, disponiamo che l’immobile venga restituito non più al proprietario ma al Comune, che lo acquisisce. È una novità interessante. vedremo che cosa accadrà». (2 – continua)

Melito, parco fantasma nove palazzi sequestrati

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 22 febbraio 2007

Melito. Il via vai al supermercato «Deco» fa a cazzotti con il deserto spettrale di venti metri dopo. «Vietato l’accesso ai non addetti ai lavori», dice il cartello all’ingresso di un’area fantasma. È il «parco Guerra», da quasi due mesi sotto sequestro. Un insieme di nove palazzine di due piani, per un totale di 460 appartamenti. Tre palazzine sono ancora in costruzione, una ha addirittura solo i pilastri e i piani appena realizzati. «Tutto abusivo», sostiene la sezione ecologia e ambiente della Procura di Napoli. A novembre, il pm Cristina Ribera firmò il suo decreto di sequestro preventivo. Su quell’atto, in un mese e mezzo si sono espressi due giudici terzi: il gip Alberto Vecchione e pochi giorni fa la dodicesima sezione penale del Tribunale. Tutto confermato. Case e manufatti restano vuoti, con segni di un cantiere ancora aperto da una parte, erba alta e qualche sintomo di vita passata, come gli aeratori dell’aria condizionata. «Il parco Guerra? Non c’è nessuno. In questo tratto di viale Europa, c’è solo la pizzeria ’a Bizzoca», dice un signore fermo al largo «cinque vie». In totale, 460 unità immobiliari, realizzate dall’impresa «Progetto casa 2000 spa» dei fratelli Guerra di Mugnano. Dagli imprenditori, una sola cauta risposta: «Per ora non diciamo nulla, siamo convinti di avere tutti gli atti in regola. Siamo certi che riusciremo a dimostrare la nostra correttezza al processo». I difensori annunciato un rito abbreviato e sollecitano il rinvio a giudizio. Nelle foto aeree, riprese dal comando della guardia di finanza del gruppo di Giugliano guidato dal maggiore Geremia Guercia, colpisce l’ampiezza del parco. L’ingegnere Giulio Dolcetti, consulente della Procura, ha sottolineato una «illegittima lottizzazione approvata dalla Giunta e non dal Consiglio comunale, senza trasmissione dei progetti ai preposti organi di controllo». E poi, ha aggiunto: «Le concessioni edilizie erano state rilasciate per opifici industriali, secondo il piano di lottizzazione. In realtà, in contrasto con gli strumenti urbanistici del Comune di Melito, l’area è stata trasformata di fatto in zona residenziale». Tutte le palazzine sono di due piani. Secondo il consulente del pm, l’attuazione del piano regolatore prevedeva immobili di un solo piano a destinazione artigianale e commerciale. Solo in una palazzina si era aperta un’attività artigianale: il panificio «Abbondante», che ha dovuto chiudere i battenti a dicembre, con tutti gli ingombranti macchinari. Sloggiato, per il sequestro. Insieme con una ventina di famiglie, sgomberate alla vigilia di Natale. Occupanti di case abusive, secondo il decreto di sequestro. Un’inchiesta partita da lontano, anche con intercettazioni telefoniche sugli imprenditori, che coinvolge pure il notaio che ha stipulato le compravendite. «La lottizzazione abusiva è un reato con conseguenze particolari - spiega l’aggiunto Camillo Trapuzzano, responsabile della sezione ecologia e ambiente della Procura di Napoli - la Cassazione a sezioni unite, proprio su un nostro ricorso passato, ha stabilito la confisca obbligatoria. In sostanza, anche dopo un’eventuale prescrizione del reato, complessi realizzati con lottizzazione abusiva possono essere confiscati e assegnati all’ente locale che potrà poi disporne l’utilizzo o l’abbattimento». Ma al Comune di Melito sembra abbiano altri problemi da risolvere. Dal dicembre del 2005, ci sono i commissari straordinari dopo lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Solo 74 dipendenti, per un Comune che ha ormai 36 mila residenti. Un villaggio rurale trasformato, in trent’anni, in un agglomerato di case e palazzi dalle origini incerte. Spiega il commissario straordinario Giovanni Lucchese: «Qui abbiamo di tutto, dagli immobili della 219 ad altri. Siamo impegnati a ricostruire l’origine giuridica degli immobili realizzati nel Comune. Impresa non facile, anche perché spesso gli atti furono sequestrati dai magistrati e dobbiamo ritrovarli e metterli assieme. Un lavoro di ricognizione con organico di pochissime unità, nato con un Comune di 30 anni fa». Cittadina dormitorio, napoletani che tornano a Melito solo la sera. Case a prezzi convenienti, molte vendute con domande di condono presentate. Se ne sono accumulate centinaia per i tre condoni degli ultimi anni. Nelle loro memorie difensive, gli avvocati Antonio Abet e Luigi Severino, legali dei fratelli Guerra, hanno sostenuto che anche sul parco sequestrato erano «pendenti domande di condono». La domanda di condono resta alibi e giustificazione per costruzioni che violano i piani regolatori. Contraddizioni delle leggi. In un caos, che fa della provincia napoletana un ammasso di immobili illegali. Il «parco Guerra» a Melito è solo la punta di un iceberg. Per altri edifici nello stesso Comune sono in corso indagini. E si annunciano sorprese. (3 - continua)

La paura del Vesuvio non ferma i costruttori

Enzo Ciaccio – Il Mattino, 23 febbraio 2007

Parco del Vesuvio. Zona rossa, rossa di vergogna. Diciotto Comuni, oltre trecentomila abitanti. 180 notizie di reato all’anno. Per incendi boschivi. Per rifiuti tossici. E soprattutto, per l’edilizia illegale. Scempio planetario. In un luogo carissimo al mondo. Sono 34 le guardie forestali chiamate a sorvegliare l’enorme area protetta. Dovrebbero essere almeno 50. «Area protetta», così la etichettano per legge. E figuriamoci se non lo fosse. Cemento. Qui l’occhio è invaso da una enormità di cemento che sa di imbroglio più che altrove. È una presenza sgraziata. Cafona. Che si mescola orrenda agli alvei del vulcano, alle sue pendici boscose, ai cumuli di immondizia abbandonati a tonnellate lungo i viali. Quasi introvabili i suggestivi tetti a cupola, quelli tipici delle case locali di una volta. A cupola. Perché così era più facile far scorrere le polveri eruttive. Luigi Saviano, lo storico che oggi ha ottant’anni e gusto sempre fine, li definì «trulli vesuviani». E fanno il paio con i vitigni di Lacrima Christi, il nettare sanguigno che eroico sopravvive fra queste zolle sfregiate ma ancora ribollenti. Ah, vuoi fare un giro? Sì, però usiamo la tua macchina. Perché le visite a Cemento selvaggio vanno consumate senza chiasso, meglio se a bordo di automobili che risultino anonime a chi non ama i curiosi. Statale 268, la trappola mortale. All’uscita di Saviano (il paese), scheletri grigiotopo salutano beffardi. Si sentono al sicuro. Sanno che sulla 268 nessuno può fermarsi, nemmeno per fotografarli in un attimo. E spudorata, ecco in azione sulla destra una immensa pompa di quelle che erogano le gettate di cemento. Un cantiere attivo, e che fa se oggi non è sabato o domenica. Ma questa non era zona rossa? Terra malandrina. A Ottaviano, negli anni ’80, don Raffaele Cutolo stipulava i suoi atti di compravendita direttamente con i sindaci in carica. A me il castello Mediceo, a te il terreno circostante. Cronaca datata? Speriamo. Poco tempo fa, nella vicina San Gennarello, fu scoperta una villa letteralmente sepolta nel terreno. In attesa di spuntar fuori, alle prime avvisaglie di condono. Lungo la strada Panoramica che conduce a Trecase c’è una casupola devastata dai vandali. Doveva essere la sede Infopoint dell’ente Parco Vesuvio. E di fronte al rudere, sullo sfondo il mare, Capri e la penisola sorrentina, si intravede un’area di seimila metri quadri, circondata da un muro perimetrale sormontato da lamiere che ostacolano la vista all’interno. Un cancello chiuso, operai che lavorano. E due enormi ruspe che scavano e scavano. Ma che cosa scavano? E col permesso di chi? Una jeep color del cielo va e viene lenta lungo la stradina che spacca i vitigni. Controlla chi siamo. Con aria seria. Come se fossimo abusivi. Si affaccia un operaio. E richiude il cancello dei misteri. Cerchiamo il cartello che indichi la direzione dei lavori. Non si vede. Forse manca. Possibile? E cantieri si intravedono all’altezza della bocca eruttiva di Viuli, in piena zona lavica. Eccoli, alla vista si offrono come enormi cubi infagottati di stuoie e lamiere, color verdognolo. A risultare invece assai visibili sono i cosiddetti «ferri di attesa». Che cosa sono? Quei ferri che chi costruisce vesuviano ha l’abitudine di lasciare ai bordi del tetto di ogni abitazione. A che servono? Non si sa mai, magari un domani si deciderà di inalzare un altro piano. E un altro ancora. Quei ferri sono un segno. Di «bulimia» edilizia. Di insaziabile protervia. E continua, il viaggio in zona rossa. Lungo la via Zabatta, a Terzigno, si susseguono i manufatti fuorilegge. «Immobile sotto sequestro», hanno fatto scrivere in alcuni casi i magistrati. E il cemento invade perfino il bosco, infestato di scheletri innaturali e osceni. E più avanti, se lungo via Cavour a un certo punto si gira sulla destra, ecco un cantiere in frenetica attività. Stanno erigendo una ventina di villette, il sistema è sempre quello di tener nascosta alla vista l’area in cui si lavora tramite lamiere, stuoie e tutto quanto possa servire. Legambiente, come spesso fa in questi casi, ha segnalato il cantiere all’ente Parco. Perchè si intende capire se davvero tutto è in regola. Il viaggio continua. E tocca il territorio di San Gennarello, frazione di Ottaviano, che - secondo il decreto di scioglimento per infiltrazioni di camorra - «è occupato da edilizia abusiva per il settanta per cento»: «Nel paese del clan Fabbrocino - si legge nel documento - i vigili urbani selezionati dal sindaco non hanno mai proceduto al sequestro di automezzi edili né ad alcuna identificazione. Eppure, il materiale edile risulta fornito da un’impresa il cui titolare è il fratello del sindaco. E si è intervenuti con grave ritardo su una cava abusiva di sabbia gestita da un soggetto legato al clan dominante». Dice Ciro Lungo, ingegnere, coordinatore «territorio e ambiente» del parco Vesuvio, che è anche il capo delle guardie forestali: «Da qualche mese i magistrati con cui collaboriamo stanno ordinando più sgomberi e perquisizioni, anche domiciliari. È un buon segno. Che ci aiuta molto. Dall’inizio di quest’anno abbiamo effettuato già 13 demolizioni. Come dice? Qual è il nostro rapporto con i sindaci dell’area rossa? No, per favore: mi fa un’altra domanda?». (4 - continua)

«Costruzioni fuorilegge il rischio prescrizione»

Gigi Di Fiore – Il Mattino, 24 febbraio 2007

Al decimo piano della torre B al centro direzionale di Napoli, si vive un isolamento dorato. Lontani dal cuore degli uffici della Procura, i magistrati della sezione ambiente e ecologia sembrano relegati in una specie di oasi, affaccendati in indagini da riflettori spenti. Eppure, in mano a 18 sostituti ci sono qualcosa come diciottomila fascicoli pendenti. Piccole e grandi illegalità di un territorio scempiato, violentato. Abbandonato. «Gestiamo indagini di abusivismo in un’area che è la più grande d’Italia per competenza di una Procura - spiega il procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano, responsabile della sezione - Dobbiamo fare di continuo i conti con i pericoli sempre in agguato della prescrizione e della continua assenza degli enti locali, cui, in materia di abusivismo, le leggi affidano tanti poteri e competenze». Nella provincia dei 21 Comuni sciolti per infiltrazione camorristica, il caos amministrativo sui manufatti che violano piani regolatori, piani paesaggistici, prescrizioni edilizie è spaventoso. Le amministrazioni comunali hanno quasi tutte pochi uomini nella polizia municipale impegnati ad occuparsi di abusivismo edilizio, spesso disattenti. Dice Cristina Ribera, la più anziana di concorso in magistratura nella sezione ambiente della Procura: «Quasi sempre svolgiamo funzioni di formatori del personale comunale in materia di norme sull’abusivismo. Sono proprio coloro che dovrebbero svolgere funzioni di polizia giudiziaria nella prevenzione di quei reati». Ognuno dei sostituti della sezione si vede passare in media duemila fascicoli all’anno. Spiega Giuseppe Noviello, uno dei sostituti più attivi della sezione: «Se i Comuni applicassero sempre la legge dell’85, non dovremmo preoccuparci per i pericoli di prescrizione. Sono i Comuni che dovrebbero disporre la demolizione dei manufatti abusivi, o acquisirli al loro patrimonio. Non lo fanno quasi mai. Tutti aspettano i nostri sequestri. Anche sull’abusivismo, svolgiamo sempre funzioni di supplenza». Il territorio provinciale come prateria estesa per costruire, anche con l’alibi della domanda di condono da presentare. Nella certezza che nessuno avrà mai interesse ad esaminarla con rapidità. Dice Paolo Sirleo, altro pm della sezione: «Faccio un esempio per capire quanto si potrebbe fare per evitare gli scempi del territorio. Otto anni fa, tra Associazione dei Comuni, Enel e Legambiente fu sottoscritto un accordo. Prevedeva, per gli immobili abusivi sequestrati, l’immediata interruzione della fornitura elettrica. L’Enel non applica quasi mai l’accordo». Segnalazioni in ritardo, spesso connivenze. E l’illegalità delle costruzioni abusive alimenta il degrado che è poi scenario ideale per altri reati sul territorio. Se in provincia c’è ancora spazio per le vaste lottizzazioni abusive di interi parchi, in città l’ultima moda è il «cambio di destinazione d’uso». Spiega il pm Noviello: «Abbiamo notato nel centro storico, ma anche in quartieri come il Vomero o Chiaia, capannoni che diventano supermercati o garage. Insomma, ex capannoni, magari prima di metallo poi diventati di cemento e allargati, sono stati trasformati in immobili di grosse speculazioni». In un territorio dove si parla molto di legalità, le amministrazioni comunali solo di rado svolgono funzioni di vigilanza preventiva sugli abusi edilizi. Dice il procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano: «La Cassazione a sezioni unite ha dato ragione a un nostro ricorso, stabilendo che quando si accerta una lottizzazione abusiva il manufatto può essere confiscato anche dopo la prescrizione del reato. Piccoli passi, ma spesso affrontiamo questi reati ad armi spuntate. Sono contravvenzioni a pene personali risibili, naturalmente. La confisca o l’abbattimento restano le sanzioni più temute. Al vecchio abusivismo di necessità si è ormai sostituito l’abuso con intento speculativo». Procida, Ischia, Qualiano, Afragola, Giugliano sono le zone che danno maggior lavoro alla sezione. Commenta con ironia Cristina Ribera: «Molte di queste zone non hanno più toponomastica. Gli immobili abusivi hanno l’indirizzo identificato nei lotti numerici». (5-fine)

Sul fenomeno dell'abusivismo in Campania, in eddyburg

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