Una onesta e persino lucida per certi versi immagine del rapporto fra territorio, sistema socioeconomico, e automobile: la confusione impera, insieme ai rischi. La Repubblica, 22 luglio 2013, postilla (f.b.)
L’auto stavolta è davvero di fronte a un bivio: cambiare o sparire. Dalle nostre parti i problemi sono tanti, i soldi pochi e i mercati saturi. In Italia, il paese più colpito dalla crisi di vendite, c’è una densità automobilistica tra le più alte del mondo (61 ogni 100 abitanti). Così come c’è il carburante più costoso del pianeta, le assicurazioni più care e una quantità di tasse sulle vetture che non hanno uguali in nessun altra parte del vecchio continente. Poi, c’è una certa disaffezione all’automobile così come attualmente concepita messa nel mirino di molti sindaci convinti (spesso a ragione) di dover trovare sempre nuove misure per ridurne l’uso nelle loro città. Purtroppo, però, qualcuno ragiona come fosse il sindaco di una cittadina del nord Europa dove girare in bicicletta è facile e sicuro perché ci sono le piste ciclabili oppure pensa di essere a Londra o Parigi dove il trasporto pubblico funziona, le metropolitane collegano ogni angolo della città e le automobili in giro sono diminuite non per la colpa della crisi ma perché c’è una reale e utile alternativa al loro uso. Ma in Italia si va avanti (anzi indietro) diversamente, facendo finta di non vedere un problema ormai enorme e dalla cui soluzione passa il futuro della mobilità a quattro ruote. Insomma, al momento la sensazione è che ci siano poche idee e per di più confuse.
Gli appelli a moderare o cambiare la tassazione, per esempio, finiscono nel vuoto e spesso diventano patetici. Nascono apposite associazioni per lanciarne di nuovi. E non si sa per quali motivi e con che prospettive dato che quelle istituzionali (Unrae, Anfia) ben più grandi e potenti stanno lentamente scivolando nel dimenticatoio, sempre più incapaci di difendere il settore dell’automobile.
C’è una grande confusione anche sulla politica energetica. In mezza Europa, soprattutto quella che conta, esistono programmi di incentivi ecologici, da noi, invece, ancora niente. Peggio c’è addirittura una frammentazione di vantaggi (o svantaggi). A Roma, per esempio le auto ibride non pagano il parcheggio in fascia blu al contrario di Milano dove entrano gratuitamente nella zona C. Una norma unica no? E non parliamo dell’auto elettrica di cui tutti tessono ogni lode. Zero incentivi all’acquisto e praticamente zero colonnine per la ricarica. Mancano le infrastrutture perché l’auto a emissioni zero possa crescere (anzi, in Italia è il caso di dire “nascere”). Così tra cambiare o sparire, almeno in questo caso, è davvero più facile che sparisca. Purtroppo.
Postilla
Con buona pace degli onesti ed entusiasti militanti del ciclismo terzo millennio, e dei loro benintenzionati guru in sedicesimo da social network, la mobilità ha ancora a che vedere col muoversi, e muoversi significa andare da un posto all'altro per motivi che di solito hanno poco a che vedere con l'immagine, ma c'entrano col lavoro, i servizi, fatti propri difficilmente riconducibili al sostegno di grandi principi. Ergo con l'auto privata, o con l'auto in generale, con il sistema territoriale e socioeconomico che si tira appresso, dobbiamo fare i conti: magari invocare davvero un “nuovo paradigma”, ma non individuarlo nell'allegra pedalata fino al bar dell'angolo, se quel bar (che magari è il posto di lavoro per mantenersi) sta a un angolo distante trenta chilometri da casa e in cima a una montagna innevata. Esagerazioni a parte, come ho provato già a esemplificare in qualche articolo sulla demotorizzazione, abbandonare il comparto dell'auto, e tutto ciò che da esso dipende, al proprio destino, pensando ad altro, non sta né in cielo, né in terra, né soprattutto nella logica di un pensiero progressista e propositivo (f.b.)