Chi oggi comanda in Italia, in Europa e nel resto del mondo obbedisce agli interessi dei petrolieri e perciò ci sta portando alla catastrofe. Ecco una ragione in più per votare contro le trivelle. Il manifesto, 8 aprile 2016
Alcuni driver di una transizione del genere sono peraltro già all’opera: le assicurazioni sono a mal partito per i danni creati dagli eventi estremi provocati dai mutamenti climatici; è in corso un processo di disinvestimento dalle risorse fossile da parte degli organismi più avvertiti: dai Rockfeller alla Norvegia, il paese con la popolazione più ricca del mondo grazie al petrolio. I costi impiantistici delle rinnovabili scendono a picco mentre quelli dell’inquinamento da petrolio e carbone vanno alle stelle…
Per questo appare paradossale che, appena rientrato da Parigi, dove come al solito aveva spiegato che nel campo della conversione energetica l’Italia, cioè lui, è più avanti di tutti (tesi ripetuta pochi giorni fa), Renzi e il “cerchio magico” del suo Governo si siano dati da fare per spremere fino all’ultima goccia il petrolio che sa sotto i mari e il suolo dell’Italia. Cercando prima di eludere i referendum contro le trivelle a mare, per poi aprire uno scontro frontale contro i suoi promotori. E riconfermando e peggiorando il progetto, messo a punto a suo tempo dall’ex ministro Passera, di trasformare il nostro paese in terminale e deposito in conto terzi (cioè per tutta l’Europa) del gas importato dalla Russia e dal Nordafrica; anche a costo di scassare il territorio con un gasdotto e degli stoccaggi che minacciano l’Italia nelle sue zone più sismiche, come l’Aquila e l’Emilia.
Questa è la vera posta in gioco del referendum del 17 aprile: non le misere royalties ricavate dal petrolio, che non valgono il costo che Renzi fa pagare agli italiani per non aver accorpato referendum ed elezioni amministrative; non i pochi, sporchi e insalubri posti di lavoro che verranno a mancare quando arriveranno a scadenza le concessioni che lui vorrebbe confermare a tempo indeterminato; bensì le decine di migliaia di nuovi occupati che un programma di riconversione energetica potrebbe creare – e che in parte avevano cominciato a esser creati prima che Renzi spostasse le sue fiches dalle energie rinnovabili al petrolio, facendone già perdere quasi 80mila – oltre a tutti quelli (turismo, pesca e agricoltura) che il petrolio distrugge; ma, soprattutto, il ritardo e il danno che l’attaccamento alle risorse fossili finirà per imporre a un paese escluso da una riconversione energetica ormai irrinunciabile.
Questo è il tema di fondo, quello che fa della campagna contro le trivelle un momento di informazione, di riflessione e di auto-educazione su una questione ineludibile su cui il governo – ma non solo lui – ha steso un velo mentre avrebbe dovuto metterlo al centro di tutto il suo operato. Poi viene il resto, che non è poco: cioè il modo in cui petrolio e risorse energetiche vengono estratte e sfruttate, il seguito di inquinamento, di degrado ambientale, di danni alla salute, di vite distrutte, di corruzione e di deficit democratico che l’economia degli idrocarburi si porta dietro. Non solo in Italia. Il petrolio, come è noto, è la merda del diavolo: che ha fatto piombare tutti i paesi dove viene estratto e lavorato in uno stato di degrado ambientale, sociale e istituzionale tanto maggiore quanto più è consistente la finta ricchezza di cui dovrebbero beneficiare: che è ricchezza per chi se ne appropria, non per chi vive su quei territori. Guardate il golfo persico, l’Arabia Saudita, l’Iraq, l’Iran, la Nigeria, la Libia, il Texas e le regioni del Canada devastate dall’estrazione delle sabbie bituminose; ma anche la fatica del Venezuela per cercare di liberarsi dal cappio politico del dominio degli Stati uniti sulle sue riserve; e vedrete quasi soltanto distruzione di interi dei territori e dei paesaggi più belli del mondo, miseria e oppressione delle comunità che hanno la sfortuna di abitarli, prepotenza di che si avvantaggia di quelle risorse a loro spese.
Così anche l’Italia, nonostante che le sue riserve siano infime, è riuscita a importare – cercando beninteso di tenerle nascoste – buona parte delle disgrazie che accompagnano lo sfruttamento degli idrocarburi in tutto il pianeta: in quel campo “il mercato” è questo; e la “concorrenza” si fa così: corrompendo, inquinando e massacrando cittadini e lavoratori. Perché quando in gioco ci sono “scambi di favori” un’impresa vale l’altra: Eni e Total pari sono; e quella ricchezza nazionale che il governo dice di voler mettere a frutto può tranquillamente defluire verso le raffinerie e le reti di un concorrente: l’importante è che gli amici degli amici - o i coniugi dei ministri - ne ricavino il loro tornaconto.
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