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Ida Dominijanni
Calabria, Italia
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
“L'omicidio Fortugno non è un segno dell'eterna ripetizione dell'uguale: è un segnale a chi vuole interromperla”. Da il manifesto del 20 ottobre 2005

Ricordano quelle della Palermo in lutto per Giovanni Falcone le lenzuola bianche appese alle ringhiere di Locri. L'ora della tragedia massima segnò nel '92, per la Sicilia, anche un inizio. La rapidità degli studenti di Locri nel riprendere quel simbolo dice che oggi in Calabria può accadere lo stesso. Anche se nessuno, come la vedova di Francesco Fortugno, avrebbe voluto che suo marito diventasse un simbolo.

In sincronia con quell'ora di Palermo - coincidenza inquietante di date che pochi seppero legare dietro l'apparente divaricazione fra la fortuna dei giudici di Mani pulite e la sfortuna dei giudici antimafia - cominciava la transizione italiana. Durante la quale, fra le tante giravolte, c'è stato l'imporsi nel discorso pubblico della «questione settentrionale» e l'eclissi del sud come questione nazionale. Poco male, se questo avesse significato la fine della retorica vittimista e assistenzialista di molto meridionalismo e la scoperta di quanto di nuovo in quegli anni stava nascendo anche nello spirito pubblico del sud. Invece ha significato un pernicioso capovolgimento simbolico, dalla difesa delle aree deboli a quella delle aree forti del paese, e la sparizione del sud, vecchio e nuovo, dall'agenda politica e dalla narrazione collettiva. La devolution corona oggi questa parabola. Quello che sta accadendo a Locri comanda di interromperla.

A pagina 4 pubblichiamo in forma di grafico un'eloquente fotografia di alcuni indicatori della qualità della vita in Calabria. Essa spiega da sola perché, quando contro la `ndrangheta si chiede più stato, non è solo alla sua faccia repressiva - l'unica che nella storia unitaria il sud abbia davvero conosciuto - che ci si dovrebbe rivolgere, ma anche e soprattutto a quella che dovrebbe garantire le condizioni della crescita civile. Tuttavia, ci sono rivoluzioni simboliche che vengono prima delle pur necessarie riforme economiche. La più urgente per la Calabria l'ha indicata con chiarezza in questi giorni il suo governatore: bisogna che la Calabria torni in Italia. Che ritrovi spazio nel discorso pubblico, che cambi posizione nell'immaginario collettivo, che da lontana finis terrae ridiventi quello che è, un pezzo della comunità nazionale e internazionale. E bisogna aggiungere: che si smetta di pensarla come un lembo destinato di arretratezza e di misurarla con il metro usurato degli standard dello sviluppo, e la si cominci a leggere come un concentrato di contraddizioni della nostra sbilenca modernità. Delle quali la `ndrangheta - il principale cartello europeo del traffico di stupefacenti, che come dice Marco Minniti veleggia per mari e in Calabria ha il suo porto - è la più eclatante e la più tragica. Ma non ha nulla di insondabile o di invincibile, non appartiene a un altro mondo e a un altro tempo: può, deve essere affrontata.

Serve più stato, dicono gli amministratori calabresi a rischio; serve più collaborazione della società civile, risponde lo stato. Ma sia lo stato sia la società civile, in Calabria come dappertutto, sono entità divise. Ci sono apparati puliti e apparati conniventi, e ci sono pezzi di società liberi e pezzi di società acquiesciente. Non serve più stato, serve uno stato schierato dalla parte giusta. Non si può fare appello alla società civile perbene nell'ora dell'emergenza, se non la si sostiene in quello che produce nella normalità di tutti i giorni, in Calabria come altrove: lavoro, cultura, innovazione, conflitto, vita. Non si può sconfiggere il vecchio sud, se non si sa riconosere quello nuovo.

L'omicidio Fortugno non è un segno dell'eterna ripetizione dell'uguale: è un segnale a chi vuole interromperla. La campana, ha detto ieri il vescovo Bregantini, non suona per Locri, suona per tutti quelli che hanno a cuore «la dimensione umana della politica». Suona, puntualmente come tredici anni fa a Palermo, in un momento di svolta della transizione italiana. I leader del centrosinistra sappiano tornare da Locri facendone tesoro.

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