il Fatto Quotidiano
Caro direttore,
sul Corriere della sera di lunedì scorso, 13 agosto, l’ex membro della corte costituzionale Sabino Cassese ha riscritto l’articolo 1 della Costituzione, virandolo all’imperfetto: «La sovranità apparteneva al popolo». È questo il senso ultimo dell’editoriale in cui si afferma che «non basta godere della fiducia dei propri elettorati, bisogna anche rassicurare i mercati», per concludere con una bacchettata agli ingenui che «hanno un concetto troppo elementare della democrazia, intesa come un rapporto esclusivo, stretto soltanto tra un popolo e il suo governo». Nello stesso giorno, il supplemento economico dello stesso Corriere pubblicava un altro editoriale del professor Cassese, in cui il nostro Stato non più sovrano viene esortato calorosamente a riprendere il filo delle privatizzazioni, spogliandosi del poco che gli è rimasto.
Ho dunque espresso questo stesso giudizio su twitter: «Per Sabino Cassese, sul Corriere di oggi, è troppo elementare l’idea di democrazia in cui un governo risponde al popolo. A essere davvero sovrani sono i mercati e i loro esperti-mandarini, profumatamente pagati. Ebbene, come si fa a non essere antisistema se questo è il sistema?». Ora, mi aspettavo risposte indignate o liquidatorie di berlusconiani d’antan, professori ultraliberisti, confindustriali trinariciuti. Invece, chi è che a muso duro mi scrive prima un gentile: «Quindi?», poi un garbatissimo: «Mentre leggevi il testo stavi ascoltando musica? Perché ho impressione che tu abbia capito molto poco»? Nientemeno che il presidente dell’Emilia Romagna e della Conferenza delle Regioni, il piddino Stefano Bonaccini. Passato lo stupore - sì, non smetto di stupirmi di fronte a una ‘sinistra’ che vede il mondo come la destra -, ho replicato che «Ad aver capito poco di tutto questo è il suo partito. Purtroppo per il suo partito e anche per questo Paese, oggi finito proprio per questo nelle mani di Salvini». A questo punto, Bonaccini è uscito dal seminato ricorrendo alla meravigliosa retorica dei gufi: «Se siamo nelle mani di Salvini suddividiamoci almeno la responsabilità visto lo sforzo che lei ha prodotto per attaccare quotidianamente il Pd ed i governi di csx. E visto il successo del suo progetto politico. Applausi».
L’allusione al ‘mio’ progetto politico si riferiva, credo, a quello partito dal Brancaccio: fallito perché ciò che ne è nato (senza la mia partecipazione), e cioè Liberi e Uguali, era troppo vicino e appiattito sul Pd, non certo a causa di un suo radicalismo antisistema di sinistra (magari ci fosse stato). Quel che sfugge a Bonaccini e alla gran parte del Pd è proprio questo: un partito che introietta e fa propria ancora oggi l’analisi della realtà di Cassese (un’analisi che aderisce entusiasticamente alla realtà che descrive), dicendo al popolo che la sua volontà non conta né conterà più nulla, si candida a perdere in eterno, in un Paese in cui questo stato delle cose ha prodotto 11 milioni di italiani a rischio di povertà. Ed è quasi commovente che la dirigenza di un partito che ha governato per decenni potendo letteralmente tutto, oggi addossi la colpa ai pochi intellettuali che, da sinistra, ogni giorno dicevano al Pd che si sarebbe schiantato contro un muro, e non a a se stessa, che guidava a folle velocità precisamente contro quel muro.
Quando parla di una sovranità più larga di quella popolare, Cassese allude a quella dei grandi organismi finanziari: per esempio la banca JP Morgan, che sostenne (insieme a lui) la riforma costituzionale del Pd, che aveva il preciso intento di diminuire il potere dei cittadini. La maschia reazione da tastiera di Bonaccini dimostra che il Pd è sempre fermo lì, entusiasticamente a guardia dello stato delle cose: lasciando così tutti coloro che (letteralmente) non sopportano più questo sistema a votare per Salvini e per Di Maio. Cosa deve ancora succedere perché il Pd inizi a capirlo?