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Walter Tocci
"Bolle di mattone", di Mario De Gaspari
19 Marzo 2013
Libri da leggere
La prefazione di un libro tutto da leggere, da domani (20 marzo 2013) in libreria. Rendita, economia e politica, protagonisti della Grande crisi. «Il contributo scientifico di Mario De Gaspari aiuta a capire come va il mondo. E aiuta soprattutto chi vuole cambiarlo».

La prefazione di un libro tutto da leggere, da domani (20 marzo 2013) in libreria. Rendita, economia e politica, protagonisti della Grande crisi. «Il contributo scientifico di Mario De Gaspari aiuta a capire come va il mondo. E aiuta soprattutto chi vuole cambiarlo».

Chi apre queste pagine ha in mano un libro prezioso. Il suo valore dipende non solo dalla qualità dell'analisi ma dal fatto che è raro poterla leggere in un testo rigoroso come questo. E' davvero povera la letteratura sulla rendita immobiliare, non solo nella ricerca teorica, ma nella pubblicistica corrente e ancor di più nel dibattito politico. Eppure, Mario De Gaspari dimostra che è la chiave analitica più efficace per comprendere l'incubazione della Grande Crisi, le attuali difficoltà ad uscirne, il ruolo inedito e perverso del sistema creditizio e soprattutto l'impatto di tutti questi fenomeni sulla decadenza italiana.

Chi l’avrebbe detto che il turbo-capitalismo si sarebbe inceppato sul vecchio sogno piccolo borghese della casetta in proprietà. Chi l’avrebbe detto che dopo tanta retorica sulla società della conoscenza bisognava tornare e occuparsi delle rate dei mutui immobiliari come principale problema della globalizzazione. Chi l'avrebbe detto che una potenza mondiale come gli Usa vacillasse a causa di 5 milioni di americani insolventi.

Oggi si comprende meglio che cosa è stato l’ultimo ciclo di euforia immobiliare. La crisi dei subprime è come la nottola di Minerva che si alza in volo verso sera sollecitando il pensiero a trarre un bilancio della giornata. Si sono inceppate insieme le due forme di rendita, quella finanziaria e quella immobiliare, come erano cresciute insieme nel decennio passato, rivelando un indissolubile legame strutturale e, forse più, una medesima visione del mondo. La condivisione di ascesa e declino mette in luce la natura anfibia di questa economia di carta e di mattone, capace di librarsi su quanto di più etereo e, d’altro canto, saldamente ancorata a quanto di più solido. Il mattone ormai si comporta come un derivato, ci ricorda Giulio Sapelli. La rendita urbana è una prosecuzione della finanza con altri mezzi, direbbe von Clausewitz.

Oggi si parla molto poco di rendita immobiliare, proprio mentre il fenomeno è diventato fattore cruciale nell’allocazione delle risorse e nella regolazione dei processi. Paradossalmente l’attenzione è stata maggiore quando il fenomeno era meno rilevante nel ciclo economico. Certo la speculazione edilizia degli anni cinquanta e sessanta ha avuto un impatto disastroso nel territorio italiano, ma tutto sommato era espressione di settori arretrati rispetto alla trasformazione capitalistica.

In un’intervista dei primi anni settanta Agnelli proponeva di combattere la rendita urbana perché provocava l’aumento degli affitti, la diminuzione dei redditi disponibili per i lavoratori e di conseguenza una maggiore conflittualità in fabbrica. Era l’argomento principale su cui poggiava l’offerta al movimento sindacale di un patto tra produttori. Venti anni dopo la Fiat e tutti gli altri grandi gruppi industriali danno vita ai fondi immobiliari per utilizzare le rendite come margini per le rispettive ristrutturazioni aziendali e come via di fuga dalla competizione internazionale.

Da Sullo a Bucalossi il tema è stato centrale nell’agenda politica e nel dibattito pubblico. Perfino l’arte narrativa ha contribuito a denunciare il problema, ad esempio con il film Mani sulla città di Rosi e il romanzo La speculazione edilizia di Calvino. Per il tecnico urbanista, infine, la rendita costituiva non solo un decisivo argomento disciplinare, ma perfino una tappa della formazione etico-professionale.

Su tutto ciò è calato il silenzio da quando la rendita è diventata la forza indisturbata dello sviluppo territoriale e parte integrante della finanziarizzazione dell’economia. C'è stata anche una disattenzione della letteratura scientifica più recente che ha trattato gli immobili come qualsiasi altro bene, senza metterne sotto osservazione le peculiarità di comportamento nel ciclo economico che assomigliano a quelle della moneta. In entrambi i casi la tendenza speculativa si sovrappone alle funzioni d'uso, rispettivamente di abitazione e di mezzo di pagamento. Nel testo, infatti, non si trova citato quasi nessun economista contemporaneo, ma le categorie fondamentali di analisi vengono tratte direttamente dai grandi classici, da Ricardo a Keynes, Schumpeter e Minsky. Tornare a occuparsi di rendita è quanto mai necessario se si intende governare davvero i processi economici.

Questa storia paradossale rende perfino fuorviante l'uso della parola “rendita”, ci avverte De Gaspari, perché essa ha caratterizzato il dibattito pubblico quando ancora denotava una forza passiva del ciclo. Oggi invece la parola “rendita” va collocata nel cuore del processo capitalistico globalizzato. Occorre una vigilanza semantica per dislocare il termine nei problemi contemporanei e per analizzare i caratteri della Crisi attuale. E' davvero illuminante il contributo del libro alla comprensione del ruolo degli istituti di credito che non sono più intermediatori finanziari ma vere imprese della rendita. Hanno fatto di tutto per gonfiare la bolla immobiliare e ora che i valori sono scesi tengono in corpo gli asset senza certificarne la perdita, ma facendo pagare questa sofferenza al sistema economico in termini di stretta creditizia. Nelle follie immobiliari del sistema bancario, quindi, si nasconde la principale forza di inerzia che impedisce la ripresa economica.

E questo spiega molto della crisi italiana. Da noi le banche non sono fallite ma portano una zavorra ancora più pesante di titoli edificatori inesigibili o di immobili svalutati e proprio per questo oggi esse contribuiscono alla stretta recessiva. La forza d'inerzia della crisi è direttamente proporzionale all'intensità della follia immobiliare precedente.

La bassa produttività, il vero malanno italiano del decennio, è determinata per larga parte dallo straordinario successo della politica pro-rendita. Esso corrisponde ad un modo d’essere profondo del Paese, ad una sorta di genius loci che solo nel mattone è in grado di rendere coerenti e durature le strategie di molti attori pubblici e privati. Il danno più grave è nel modello di sviluppo parassitario. I plusvalori della rendita sono di gran lunga superiori rispetto a quelli dei normali profitti industriali, senza neanche la difficoltà di organizzare un ciclo produttivo. L’acqua va dove trova la strada e le risorse disponibili sono attratte dagli usi speculativi a discapito degli usi produttivi. E’ stato un decennio di grande retorica sulla società della conoscenza, innovazioni tecnologiche e produzioni immateriali, ma nella realtà ha vinto la componente parassitaria dell’economia italiana.

Il valore del capitale fisico delle città non è mai cresciuto tanto, ma alla fine del ciclo immobiliare le città si ritrovano povere di infrastrutture e con i bilanci disastrati. Dove è andata a finire tutta questa ricchezza? Come si spiega questo scarto tra ricchezza immobiliare e povertà urbana? I plusvalori sono stati acquisiti in gran parte dai proprietari senza alcun merito, non essendo determinati dai loro investimenti, ma da pure rendite di posizione.

Nell’intreccio sempre più perverso di economia di carta e di mattone queste valorizzazioni immobiliari sono state succhiate dal tessuto urbano e collocate nel circuito finanziario globalizzato. Le città vengono utilizzate come substrato materiale che conferisce solidità alle transazioni immateriali della finanza.

I sindaci per sopperire ai deficit di infrastrutture e di bilanci hanno inventato la “zecca immobiliare”, cioè stampano carta moneta assegnando ulteriori diritti edificatori in cambio degli oneri di concessione. Ma lo scambio è ineguale, perché le infrastrutture necessarie per i nuovi quartieri costano molto di più degli oneri di concessione e quindi aumentano il deficit e richiedono un nuovo intervento della zecca, in una spirale perversa sempre più dannosa per l’interesse pubblico. De Gaspari svela la portata macroeconomica di tali decisioni amministrative. Questa creazione di nuovi valori immobiliari prescinde dai criteri di adeguatezza, trasparenza e pianificazione, e viene legittimata solo dall'inconsapevolezza del dibattito pubblico circa gli effetti fisici, sociali ed economici.

La bolla immobiliare ha cambiato la geografia italiana espellendo i redditi bassi negli hinterland e costruendo pulviscoli edilizi attorno alle grandi città italiane. Le chiamiamo ancora con i nomi storici - Roma, Milano, Palermo, Napoli – ma oggi essi si riferiscono a oggetti geografici molto diversi, anzi a forme post-urbane. E' un triste primato aver realizzato nell'ultimo ventennio i casi più gravi di sprawl in Europa. Sull’area vasta, inoltre, il deficit strutturale è diventato ormai ancora più pesante a causa delle difficoltà di servire con adeguate opere pubbliche il rapido esodo di popolazione. Anzi la spesa pubblica ha aggravato il fenomeno finanziando soprattutto autostrade che favoriscono la dispersione urbanistica, producendo più traffico. E’ stata ignorata l’unica leva che poteva condensare il pulviscolo edilizio, almeno in parte, ovvero la ristrutturazione delle vecchie ferrovie regionali, come hanno fatto i francesi con la R.E.R. e i tedeschi con la S-Bahn.

L’insostenibile ascesa della rendita è la responsabile occulta di tanti problemi sociali. Ad esempio, l'impoverimento del ceto medio dipende in gran parte dal boom immobiliare. Chi ha acquistato casa oggi si trova il doppio colpo dell’aumento del mutuo e dell’aumento dell’IMU. Trovare una casa in affitto significa spostarsi sempre più lontano dalla città e ai giovani precari spesso viene negata la casa in affitto perché non danno garanzie di uno stipendio fisso. Abbiamo chiesto ai giovani di adeguarsi alla flessibilità e in cambio hanno trovato un mercato delle locazioni sempre più rigido. Gli effetti perversi si fanno sentire anche negli assetti istituzionali: la Città Metropolitana non è stata istituita perché avrebbe frenato la distribuzione di rendita che i piccoli comuni si sono trovati a gestire intorno alle grandi città. C’è una ragione strutturale che ha impedito l’innovazione della forma di governo locale.

Non c’è da stupirsi, quindi, se in tale opacità di interessi pubblici e privati la politica smarrisca la responsabilità del governo. Le cause sono per lo più interne all’organizzazione del ceto politico, ma certo lo sviluppo della rendita è stato un potente catalizzatore della crisi. Il nesso tra sviluppo della rendita e mutazione della classe politica è largamente sottovalutato sul piano teorico, nonostante l’abbondanza di dati empirici che ne segnalano la rilevanza. Nella fase statalista la politica agiva sulla produzione e sulla redistribuzione delle risorse. Nel liberismo perde queste leve di regolazione economica e si rifugia nei processi di formazione della rendita territoriale.

Le nuove forme politiche di controllo del territorio assomigliano all’organizzazione in franchising delle reti di vendita delle agenzie immobiliari, nate come funghi in tutti i quartieri delle nostre città nel giro di pochi anni. Ciascun negozio ha un gestore autonomo degli affari, ma la rete di cui fa parte appare come un’azienda unica, perché è tenuta insieme da un marchio e da un marketing a livello nazionale. Entrando in un’agenzia di Tecnocasa o di Toscano si tratta con un rivenditore locale, ma si ha l’impressione di entrare in contatto con un grande gruppo, il quale proprio per questo sembra dare garanzie di affidabilità.

Anche i partiti vanno assumendo ormai questa organizzazione in franchising: tenuti insieme da leader televisivi e notabili locali, secondo il debole legame del marketing. Che tutto ciò possa costituire il brodo di coltura della questione morale è ovvio, l’anomalia consiste semmai nell’accorgersene, come sempre è accaduto nel nostro paese, solo dopo l’iniziativa dei magistrati, quando sarebbe bastato uno sguardo sufficientemente attento per vedere come si andava organizzando la politica italiana nella Seconda Repubblica.

Ma questo libro dimostra che l'inconsapevolezza è stata più generale e ha riguardato aspetti fondamentali della trasformazione capitalistica. L'irresistibile ascesa dell'immobiliare è stata la forza occulta che ha agito contemporaneamente nel ciclo economico, nell'impoverimento dei ceti sociali più deboli e negli assetti politico-istituzionali. Il contributo scientifico di Mario De Gaspari aiuta a capire come va il mondo. E aiuta soprattutto chi vuole cambiarlo.

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