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Marco Revelli
Bisogna sentire lo scandalo della diseguaglianza
8 Agosto 2013
Sinistra
Nell'intervista di Simonetta Fiori una visione delle radici e scommesse della nuova sinistra. «La catastrofe del socialismo reale è parte della scomparsa della sinistra, che ne è stata paralizzata. Ma una sinistra che rinuncia a proporre un altrove cessa di essere sinistra».

La Repubblica, 8 agosto 2013

«Cosa vuol dire esseredi sinistra? È un impulso prepolitico, una radice antropologica che viene primadi una scelta di campo consapevole. Davanti alle disparità di classe o di censoo di condizione sociale, c’è chi si compiace, traendone la certificazione delproprio essere superiore. E c’è chi si scandalizza, come capitò a NorbertoBobbio quando scoprì da bambino la miseria dei contadini che morivano di fame.Lo “scandalo della diseguaglianza”, lo chiamò proprio così. Un’indignazionenaturale, che non è comune a tutti». Nella casa dove visse Gobetti, tra i libridi Antonicelli e i grandi faldoni dell’azionismo, Marco Revelli ci fa stradalungo i segreti cunicoli di un palazzo ottocentesco, da cui forse ha inizioparte della storia. Una storia di sinistra che nel caso di Revelli — classe1947 e una nutrita bibliografia tra storia, economia e sociologia — s’incarnaanche nella figura del padre Nuto, cantore del “mondo dei vinti” e miticocomandante di Giustizia e Libertà. «Una montagna troppo alta da scalare», diceil figlio con la mitezza di chi se lo può permettere.


Lo “scandalo delladiseguaglianza”. Lei quando cominciò ad avvertirlo?
«Da bambino, quando facevole scuole elementari a Cuneo. Negli anni Cinquanta la frattura sociale eramolto visibile, e nella mia classe convivevano ceti molto diversi. Una mattinavenne chiamata la madre di due miei compagni, a quel tempo alloggiati in unacaserma abbandonata. Davanti a tutta la scolaresca fu severamente rimproverataperché i suoi bambini non si lavavano. Io provai un grande disagio. Non dissinulla a casa».

E anche oggi, in unarealtà nazionale radicalmente mutata, lo scandalo si ripete.
«Quello nato dopo la mortedel Novecento è un mondo infinitamente più diseguale. Ed è un mondo che nonoffre alternative a se stesso. Sono queste le grandi sconfitte storiche dellasinistra, ossia di una forza politica e culturale che possiede nel Dna ilvalore dell’eguaglianza e la capacità di immaginare un’alternativa allo statodi cose presente».

Però ogni volta che hapromesso un mondo più felice ha prodotto grande infelicità.
«La catastrofe delsocialismo reale è parte della scomparsa della sinistra, che ne è stataparalizzata. Ma una sinistra che rinuncia a proporre un altrove cessa di esseresinistra. È nata proprio per quello. Accadde nel 1789 a Versailles, quando allasinistra della presidenza dell’assemblea si schierarono coloro i quali eranocontro il potere di veto del Re. Così cadde l’ultimo pilastro dell’AncienRégime. Non c’è bisogno di alzare la ghigliottina. Basta un voto per sancire lafine di un ordine. E l’inizio di un altro».

La sinistra come ilCandide di Voltaire, che gioisce del mondo in cui vive ritenendolo il migliorepossibile.
«Sì, un Candide un po’tardivo, con un risvolto beffardo. La sinistra ha rinunciato a immaginareun’alternativa proprio nel momento in cui il mondo in cui aveva deciso diidentificarsi stava entrando in crisi. Mi riferisco all’ultima reincarnazionedel capitalismo — il “finanzcapitalismo” secondo la felice definizione diLuciano Gallino — cioè un’economia già provata, che per tenersi in piedi habisogno del doping della finanza. Bene, quando la casa cominciava a manifestarele prime crepe, la sinistra s’è seduta alla tavola apparecchiata, contenta diesserci: finalmente siamo come gli altri».Finalmente siamo uomini di mondo: lescarpe di buona fattura, le belle case, gli agi borghesi un tempo contestati...
«Una sorta diapocalisse culturale, sia sul piano delle filosofie — la fine della ricerca disenso — sia su quello sociale. Più che combattere il privilegio, l’impressioneè che si sia cercato di entrare nella sua cerchia. Ma le radici cattiveaffondano nel Pci, di cui forse andrebbe riscritta la storia».
Dalla suaricostruzione, però, i padri sembrano migliori dei figli.
«Gli eredi dellesinistre novecentesche non sono stati all’altezza del compito. È un universopopolato di figure fragili. O perché continuano a proporre categorie che sonomorte con il Novecento, con effetti patetici. O perché dalla Bolognina in poi -più che interpretare e governare i processi storici — hanno scelto digalleggiare su un senso comune condiviso».

Vuole dire che lasinistra è rimasta senza eredi?
«C’è una sinistraradicale che muore volontariamente intestata, ossia senza testamento, ed èquella espressa da Rossana Rossanda. E la sinistra più istituzionale ha seguitoaltre rotte. La mia generazione - in questo senso - ha completamente fallito.Rappresentiamo nella politica un enorme buco nero. E il fallimento s’acuisce neiconfronti delle nuove generazioni, che hanno tutte le ragioni per mettercisotto processo. Abbiamo monopolizzato l’idea della trasgressione senza riuscirea costruire un mondo vivibile e alternativo».

Sta parlando dellagenerazione sessantottina.
«Sì, le nostre ideenon sono state utilizzate dai poveri del mondo, ma dai supermercati. Vogliamotutto, lo vogliamo subito. Però ci sono state anchecose buone».

Come reagì suo padreNuto alla scelta del figlio di militare in Lotta Continua?
«Lo spaventava ilnostro estremismo, ma era affascinato dalla diversità rispetto al mondopolitico ufficiale. Però vedendomi troppo impegnato al ciclostile una volta midisse: scegli la professione che vuoi, ma fai in modo di non dover dipenderedalla politica. Non saresti un uomo libero».

Cosa significò per leicrescere in una famiglia di sinistra?
«Mio padrerappresentava il peso della storia. Una volta il maestro disse in classe che ipartigiani rubavano le mucche. Tornai a casa un po’ turbato e gli raccontai tutto.La sera mi diede un pacchetto con Le lettere dei condannati a morte dellaResistenza, e una dedica per il mio insegnante: “Perché sappia come sannomorire i partigiani”. Passai una notte insonne, stretto tra due autorità.L’indomani consegnai il libro al maestro, che restò in silenzio».

Una guida preziosa.
«Anche faticosa. Unamontagna troppo alta da scalare, come dice Venditti. Era impegnativonell’adesione ai suoi valori perché ne avvertivo una responsabilità famigliare.Ma era impegnativo anche nel necessario conflitto. Con i padri è un passaggioobbligatorio, se no ti porti dietro il complesso di Telemaco ».

Entrambi dalla partedei vinti. Però ai contadini di Nuto Revelli lei ha sostituito gli operai.
«Un’altra cosa che glidevo: mi ha insegnato ad ascoltare. Da giovane arrogante, che distribuiva ivolantini davanti ai cancelli della Michelin, io allora lo contestavo: ma cosavai ad occuparti di un mondo che è già morto? È una fortuna che, da egoisticoltivatori anche reazionari, siano diventati classe operaia, dunquerivoluzionaria, eredi della filosofia classica tedesca... ».

E lui?
«Sorrideva, ma noncambiava idea. E aveva ragione lui. Quelli che sono andati in fabbrica non sonodiventati gli eredi della filosofia classica tedesca. E dall’altra parte èfinita una civiltà che aveva certo elementi di ferocia, ma era provvista di unesemplare equilibrio nel rapporto tra uomo e natura, quello stesso che oggidovremmo avere l’umiltà di ripristinare. Lui diceva sempre: abbiamo trasformatodecine di migliaia di specialisti della montagna in operai di fabbricadequalificati, e poi le montagne ci cadono in testa. Sì, aveva ragione lui. Perfortuna sono riuscito a dirglielo».

E ora, a sinistra, dacosa si riparte?

«Intanto bisognauscire dall’involucro. Rompere la bolla in cui si è cacciata la politica. Unacostellazione di oligarchie, in cui si diventa oligarchi alla velocità dellaluce. Nel momento in cui vieni eletto in Parlamento diventi altro da te. Hovisto persone cambiare, nello sguardo, nel linguaggio, nel modo di vestire.L’ho visto in tutti, quasi senza eccezioni. Se vuole ripartire, la sinistradeve spezzare quell’involucro».
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