ROMA - Berlusconi «ha usato un problema drammatico in modo sconcertante e avvilente facendone strumento di propaganda», ma detto questo l’emergenza abitativa c’è davvero. E il nodo - al di là delle polemiche - va affrontato. Il giorno dopo i feroci botta e risposta fra maggioranza e opposizione sulla promessa fatta dal premier di voler dare una casa a tutti gli italiani, Pierluigi Bersani, responsabile per il programma dei Ds, fa un passo avanti e racconta quello che l’Ulivo pensa di fare per risolvere la questione.
Il caso c’è, lei dice, allora il premier ha visto giusto?
«Certo, al di là del modo in cui è stata usata l’emergenza abitativa, va detto che i suoi sondaggisti hanno individuato un tema tragico, per gravità e ampiezza. Resta ora da capire come mai, in tutti questi anni, il governo non abbia fatto niente per affrontarlo. Tutto sommato, invece che lanciarsi sulla propaganda, avrebbe ancora tempo a disposizione per intervenire. Invece l’unica misura finora approvata è stata il dimezzamento del Fondo per gli affitti».
Ma adesso il centro-destra sta elaborando un piano. E voi?
«Noi al piano ci stiamo lavorando da tempo perché girando l’Italia molti sindaci ci avevano avvertito di come il caro-affitti abbia sconvolto il mercato con l’irruenza di uno Tsunami e di come ora, a chiedere sostegno, siano anche le classi medie. Gli insegnanti per esempio. Il problema della casa sta al cento del dramma di una generazione intera, quella del baby-boom, che solo ora si sta affacciando sul mercato e che spesso non ha i soldi per acquistare un immobile, né la stabilità lavorativa per ottenere un mutuo. Dar loro un bonus-bebè, pensando di convincerli con questo a metter su famiglia, non serve. Bisogna appunto fornire case ».
E cosa proporrete allora nel piano dell’Ulivo?
«Pensiamo ad interventi che non si limitino alle pur necessarie misure di sostegno all’affitto. Usate male, senza controlli e verifiche, potrebbero incoraggiare l’aumento dei prezzi. L’idea è quella di agire anche con investimenti a favore di piani di edilizia residenziale destinata ad affitto concordato».
Una nuova colata di cemento?
«No, non sarà necessaria, gli investimenti saranno collegati a processi di riqualificazione urbana. C’è un patrimonio abitativo oggi assolutamente inutilizzabile che se ristrutturato darebbe una bella svolta al problema».
E come finanziare il piano?
«Ci deve essere un contributo pubblico - Stato, regioni, enti locali - da rafforzare grazie a partnership con il privato. Su questo aspetto, per esempio, si possono concentrare anche i contributi del 36 per cento ora volti alla ristrutturazione degli immobili. Poi certo si possono attivare anche meccanismi di agevolazione fiscale volti a favore l’affitto concordato, ma sarà l’opera di riqualificazione stessa ad innescare una nuova spirale di investimenti».
Il ministro Alemanno prevede che il costo dell’operazione si aggiri sul miliardo di euro. E’ d’accordo?
«Credo che ne servano di più».
Secondo il molto autorevole esponente dei DS sono “necessarie misure di sostegno all’affitto”, sebbene integrate da altre iniziative (ma “rafforzate da partnership con il privato”). Non si rende conto che sostenere l’affitto (e auspicare partnership con la proprietà immobiliare) serve a rafforzare quel perverso, e certo non liberista, mercato della casa il cui trionfo è la causa maggiore del disastro di oggi.
Ben diversa impostazione e prospettiva seppe dare il ministro democristiano Fiorentino Sullo quando, nel lontano 1962, inventò i “piani per l’edilizia economica e popolare”, i famosi PEEP. Quei piani il cui obiettivo era appunto fare ciò che il mercato non è in grado di fare: costruire (oggi lo si dovrebbe fare mediante operazioni di ristrutturazione urbanistica) quartieri su area pubblica, nei quali, eliminando la taglia della rendita immobiliare, in attuazione di piani regolatori generali comunali che inquadrassero l’assetto di ogni quartiere nell’assetto complessivo della città e del suo territorio, venissero realizzati quartieri in cui residenze, servizi, verde fossero compresenti e integrati, nel rispetto di standard quantitativi adeguati, la mescolanza sociale fosse garantita da una gestione pubblica costante e avveduta.
Qualche giornalista intelligente e libero, approfittando della riemersione (grazie agli eventi francesi) del problema della residenza di chi non vive nelle ville, cercherà di indagare su quali sono stati i frutti che quella impostazione ha dato là dove (negli anni 60 e 70) è stata praticata con determinata volontà politica e cultura tecnica, e sulle ragioni per cui essa (a partire dagli anni 80) è stata abbandonata e tradita per restituire oggi il bastone del comando al mercato immobiliare, alle sue leggi, ai suoi padroni via via più potenti? Praticamente senza più opposizione.