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Gilles Martinet
Berlusconi, il volto della corruzione
18 Marzo 2004
I tempi del cavalier B.
Il premier italiano visto dalla Francia: Michele Canonica intervista Martinet su l’Unità del 21 febbraio 2004.

PARIGI Nel panorama politico francese, Gilles Martinet (nato a Parigi nel 1916) occupa un posto comparabile a quello che è stato di Norberto Bobbio in Italia, in quanto coscienza critica dei valori della democrazia. Del resto, Martinet ha conosciuto Bobbio molto bene, ne è stato amico e ne ha perfino ricevuto una laurea honoris causa all’Università di Torino. Per la prima volta, ha accettato di rispondere ad alcune domande sulla percezione francese del berlusconismo.

Animatore del giornale clandestino «L’insurgé» durante l’occupazione tedesca, Martinet è stato successivamente redattore capo dell’Agenzia France Presse (AFP), direttore del settimanale L’Observateur (per quattordici anni) e direttore di riviste (La revue internationale e Faire). Nella sua carriera di uomo politico, è stato cofondatore poi segretario del Partito Socialista Unificato (PSU), segretario nazionale del Partito Socialista (PS), deputato europeo.

Amante della cultura italiana fin dalla giovinezza (e genero del grande sindacalista Bruno Buozzi, esiliato a Parigi fin dagli anni ‘20 e ucciso dai nazisti nel 1944), Martinet è stato scelto da Mitterrand come Ambasciatore di Francia in Italia (1981-85) proprio in considerazione della sua profonda conoscenza del nostro Paese. In oltre mezzo secolo di attività, ha pubblicato una quindicina di volumi (fra cui «Les cinq communismes», «Sept syndicalismes», «Cassandre et les tueurs», «Les Italiens», «Une certaine idée de la gauche»).

Perché il personaggio Berlusconi irrita tanto i francesi, ben al di là delle divisioni politiche fra destra e sinistra?

«Credo si debba risalire agli anni ‘80, quando il presidente Mitterrand decise di mettere fine al monopolio di Stato sul settore audiovisivo, favorendo la nascita di radio e televisioni private. Così nacque la Cinq, creata da un industriale protestante vicino alla sinistra, Jérôme Seydoux, in società con Silvio Berlusconi, che all’epoca era molto legato a Bettino Craxi. La nuova programmazione destò subito i timori del mondo intellettuale, così influente in Francia, che paventava un involgarimento del paesaggio televisivo. Ma al tempo stesso suscitò aspre reazioni negli ambienti di destra e di centro-destra, dove si diceva che in apparenza i socialisti avevano compiuto una scelta liberale nel privatizzare, ma in realtà l’avevano fatto per favorire i loro amici politici. Quando la destra tornò al governo nel 1986, inaugurando il primo biennio di coabitazione con Mitterrand, immediatamente annullò la concessione al tandem Seydoux-Berlusconi, che usciva di scena con un risultato catastrofico sia sul piano economico sia in termini d’immagine».

Da allora, la percezione francese del berlusconismo è divenuta sempre più negativa...

«Fin dalle prime battute di Mani Pulite, i francesi hanno cominciato ad associare il personaggio Berlusconi con l’Italia della corruzione: da allora, la sua faccia furba e quasi sempre sorridente continua ad ispirare la più totale diffidenza. Quando poi è avvenuta la sua entrata in politica, tutti in Francia l’hanno trovata abbastanza incomprensibile, per almeno due ragioni. Anzitutto, perchè gli uomini d’affari del nostro Paese non hanno l’abitudine di rappresentare personalmente i propri interessi sulla scena politica nazionale, e d’altronde anche in Italia i maggiori esponenti del potere economico si sono generalmente attenuti alla regola di esercitare un’influenza, ma senza assumere responsabilità dirette. Nella logica francese, la scelta di Berlusconi aveva tutta l’aria di un gettare la maschera di fronte ad una situazione altrimenti indifendibile. In secondo luogo, ha suscitato grande perplessità che l’uomo legato ai socialisti di Craxi si sia proposto come il capo di una coalizione destinata a riunire tutte le componenti della destra italiana. Ciò ha confermato l’impressione che l’entrata in politica di Berlusconi non corrispondesse ad alcuna esigenza d’interesse generale, ma semplicemente ad un suo personale stato di necessità: al bisogno di far apparire ogni inchiesta giudiziaria a suo carico come il frutto di una persecuzione politica».

Qual è la valutazione dominante in Francia sulla politica estera del governo Berlusconi ?

«In estrema sintesi, viene considerato come meno europeista, più nazionalista ed al tempo stesso più filo-americano dei suoi predecessori. Eravamo abituati a considerare l’Italia come un Paese che associava il proprio destino all’avanzare della costruzione europea e che, memore dell’avventura fascista, non nutriva ambizioni nazionali al di fuori dell’importante sviluppo economico e sociale che effettivamente nell’ultimo mezzo secolo, sebbene fra grandi contraddizioni, è stato realizzato. Craxi aveva cominciato a modificare questo scenario, Berlusconi ha accentuato il cambiamento ed è difficile dire dove voglia arrivare».

Sempre in materia di politica estera, l’elemento che più ha irritato i francesi è stato senza dubbio l’allineamento del governo Berlusconi sulle posizioni americane in occasione della guerra dell’Iraq.

«Si è trattato di un allineamento un po’ più prudente di quello spagnolo, essenzialmente a causa dell’influenza del Vaticano. Ma è chiaro che il governo Berlusconi si è posto in antitesi nettissima rispetto all’orientamento pacifista della grande maggioranza degli italiani. A mio avviso, su questa vicenda Parigi ha sostenuto una posizione fondamentalmente giusta, ma ha commesso l’errore politico di presentarla come espressione dell’eterno motore franco-tedesco cui tutti gli altri europei dovrebbero sempre obbedire. Se invece di affrettarsi a minacciare il suo veto in Consiglio di Sicurezza prima dell’inizio della guerra, e di poi contraddirsi avallando l’intervento americano nel voto del Consiglio intervenuto successivamente, la Francia avesse cercato fin dall’inizio una maggiore concertazione con i Paesi vicini, con ogni probabilità non avremmo assistito ad un’immagine finale così lacerata dell’Unione Europea».

Un’ultima domanda, più “leggera”. Come vengono percepite dai francesi le frequenti gaffes del nostro Presidente del Consiglio?

«Qualcuno vuole perfino interpretarle come sintomi di spontaneità, ma la gran parte degli osservatori francesi ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un uomo di successo che sembra fiero di non aver assimilato la professionalità specifica dei politici, nè il loro linguaggio. Quindi la percezione è per lo più assai negativa».

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