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A GUERRA finita, Berlusconi mette fuori la testa dalla trincea del silenzio, si guarda intorno, indossa la divisa del vincitore e rilancia l’eterna, miserabile, piccola guerra civile contro l’altra metà del paese. L’ultima trovata del premier, esalata durante la campagna elettorale nel Bresciano, è che la sinistra avrebbe confermato con l’impegno per la pace «l’insopprimibile attrazione per le dittature e i dittatori».
Ora, sarebbe facile ricordare a Berlusconi che la moderna sinistra italiana si fonda sui valori della resistenza a una dittatura feroce che la cultura di governo s’incarica ogni giorno di sdoganare, dopo aver portato al potere i nipotini del Duce. Si potrebbe anche aggiungere venendo a tempi recenti, che l’unico leader politico ad aver manifestato attrazione per Saddam è stato il suo attuale vice Gianfranco Fini, nel '91 in missione a Bagdad in compagnia di Le Pen per stringere la mano all’assassino. E infine, perché mai Berlusconi, che parla sempre come lo Schifani di Bush e ora perfino di Rumsfeld, non ha fatto partire i soldati italiani se era tanto convinto delle ragioni americane? Tutti questi argomenti, per quanto ovvi, sarebbero però inutili. Le sparate ignoranti di Berlusconi sulla storia patria non vanno prese sul serio, sono un modo avvilente d’usare una grande tragedia per rimontare un paio di punti nel voto di Brescia e dintorni. La politica, secondo Carl Schmitt, è anzitutto l’individuazione di un nemico. Secondo Berlusconi, è soltanto questo. D’altra parte tutte le promesse del berlusconismo, dal miracolo economico alla nuova missione nazionale, sono miseramente falliti. In due anni di governo la lobby di Arcore si è mostrata una poderosa macchina affaristica calibrata sugli interessi del padrone, un moltiplicatore delle fortune di Mediaset e della galassia finanziaria berlusconiana. Ma si rivela ogni giorno di più un pessimo affare per il paese avviato a un declino economico, politico e civile.
L’Italietta di Berlusconi accumula da debiti a ritardi che un giorno qualcuno dovrà pagare, mentre il suo ruolo in Europa e nel mondo si riduce alle dimensioni folcloristiche del "vorrei ma non posso" cui è improntata la politica estera di cartapesta del premier.
È comprensibile allora che Berlusconi si rifugi nella solita Jihad anticomunista. Il comunismo è l’unico problema sul quale il governo può vantare buoni risultati, essendo morto da una quindicina d’anni. È giusto anche che l’opposizione non perda tempo a replicare alle provocazioni del premier. Abbassare il livello della politica alla polemica sadomaso è un errore di prospettiva: un giorno si dovrà ricostruire un tessuto civile fra le due parti politiche del paese. L’avventura berlusconiana è il punto più basso del fallimento storico, dell’incapacità italiana di darsi una classe dirigente di livello internazionale dopo la caduta del muro e alle viste di un nuovo ordine mondiale. Come si è visto bene anche nel corso della crisi bellica, quando l’Italietta della destra si è nascosta nella nebbia di confine del confronto fra l’asse angloamericano e quello franco-tedesco. Le chiacchiere e le vanterie del Cavaliere, le ossessione e le provocazioni, l’opportunismo di giornata, saranno tratti psicologici bizzarri ma sono storicamente irrilevanti rispetto all’impegno futuro di restituire dignità e grandezza internazionale all’Italia.