Pochi minuti dopo aver ricevuto le dimissioni di Salvatore Settis da presidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali, il ministro Sandro Bondi ha nominato al suo posto l’archeologo Andrea Carandini che negli ultimi tempi ha acquisito molte benemerenze dicendo alcuni “sì” alla linea del governo, da ultimo al trasloco dei Bronzi di Riace alla Maddalena per il G8 e al commissariamento delle aree archeologiche di Roma e Ostia, e attaccando “i Talebani della conservazione”. Dunque era tutto pronto, era tutto predisposto da giorni. Da quando sul “Giornale” – quotidiano della famiglia Berlusconi (elemento di finezza non trascurabile) – Bondi aveva attaccato frontalmente Salvatore Settis, uno degli intellettuali più prestigiosi, direttore della Normale di Pisa, chiedendogli di cessare dalle critiche rivolte alla politica del governo in materia di beni culturali (tagli, commissariamenti, rinvii, ecc.) e ordinandogli, in pratica, di allinearsi o di dare le dimissioni. Non contento, il ministro aveva pure preso di mira l’ottimo soprintendente di Pompei, l’archeologo Pier Giovanni Guzzo, che pure ha dovuto subire in questi anni e mesi tutta una serie di commissariamenti, calati dall’alto, uno più fallimentare dell’altro. Fra l’altro Andrea Carandini è a capo degli esperti che dovrebbero “confortare” il commissario alle aree archeologiche romane il commissario straordinario Guido Bertolaso e il suo vice, l’assessore capitolino Marco Corsini. Non c’è qualche conflitto di interessi in questo Carandini uno e bino?
Sarà dunque Andrea Carandini (o il vice, ancora in carica, l’ex ministro e soprintendente Antonio Paolucci) a convocare la prossima riunione del Consiglio Superiore che si presenta assai movimentata. Ieri, infatti, dopo la lettura della limpida e incisiva lettera di dimissioni di Settis (nessuno può mettere il bavaglio alla cultura) e di due altri componenti del Consiglio, Andrea Emiliani e Andreina Ricci, e, dopo l’uscita del presidente dimissionario dalla sala, il consigliere anziano Tullio Gregory ha deciso di concludere lì la seduta. C’è stato soltanto il tempo di approvare, significativamente all’unanimità, l’ordine del giorno di piena solidarietà a Settis. Che Bondi, dimostrando di ignorare dove si trova, nella lettera al “Giornale” aveva trattato alla stregua di un dirigente del Ministero (cosa che non è mai stato).
A quel punto, il ministro, evidentemente col pieno appoggio di Berlusconi, è andato avanti come una ruspa, ignorando anche la mediazione di Gianni Letta esortato a ciò dalla presidente del FAI, Giulia Maria Crespi, e non tenendo in alcun conto le proteste sdegnate di tutte le associazioni. Il governo vuole mano libera nel ridurre al silenzio i soprintendenti, nel cancellare vincoli e obiezioni, per poter fare quanto vuole: immettere manager esterni nell’amministrazione, esautorare i dirigenti attuali, rimandare sine die i piani paesaggistici previsti dal Codice Settis-Rutelli (e già allontanati di sei mesi), autorizzare la cementificazione dell’Agro romano, del litorale ostiense e di quant’altro, trasferire competenze decisive al Comune di Roma e, dopo, ad altri grandi Comuni, dividere musei, monumenti e siti archeologici fra quelli che possono rendere e quelli invece che non incassano soldi privatizzando la gestione dei primi. E’ una strategia che Silvio Berlusconi persegue da quando era ministro Giuliano Urbani, il primo a proporre la privatizzazione dei maggiori musei italiani.
Quando i direttori delle più grandi collezioni del mondo protestarono contro questo progetto e, in Italia, Giuseppe Chiarante, allora vice-presidente esecutivo del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali, si unì a loro, egli venne con altri (Luca Odevaine e il sottoscritto) subito epurato e il Consiglio, di fatto, non fu più convocato. Subentrarono a noi Suni Agnelli, lo storico Piero Melograni e l’ex presidente della Corte, Giuseppe Mirabelli. I quali accettarono tranquillamente e vennero poi presi in giro con la sostanziale chiusura “per lavori in corso” del CN. Allora l’opposizione parlamentare si disinteressò della cosa. Che accadrà ora?
Ora la questione di fondo si ripropone con maggior drammaticità, rischia infatti di venire travolto in poche battute l’intero impianto legislativo delle tutela a favore di un decisionismo tutto politico che ritiene d’impaccio e puramente consultivo il ruolo dei tecnici del Ministero e delle Soprintendenze. E’ vero che c’è di mezzo l’articolo 9 della Costituzione (“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”), ma nei fatti il suo aggiramento, grazie anche al Titolo V della Costituzione che pesa sulla coscienza del centrosinistra, verrà perseguito con ogni mezzo. Per puntare a valorizzare quanto può venire commercializzato.
Fra i componenti superstiti del Consiglio Superiore alcuni appaiono decisi a presentare le dimissioni da questo organismo ritenendo che sia inutile restarvi dentro a fare le belle statuine (o a non venire convocati come accadde con Urbani) e pensando che sia molto più utile provocare con un gesto collettivo un forte dibattito politico-culturale nel Paese. Altri invece propenderebbero per rimanere e combattere una sia pur formale battaglia in nome della cultura della tutela. Il problema è, più che mai, politico. Si scontrano infatti due strategie: una tendente a liquidare il Ministero e una storica tradizione di tutela – che rimonta alle leggi medicee e pontificie - in nome di una fruttuosa messa a reddito dei beni culturali e del paesaggio (già massacrato dalla speculazione); l’altra tesa invece a difendere la nostra legislazione e prassi di tutela come fatto di civiltà (cultura che fu dello stesso Giuseppe Bottai autore nel 1939 di due leggi fondamentali) avendo il sostegno e l’appoggio dei più grandi studiosi di tutto il mondo. La prima è stata fatta propria dal centrodestra. La seconda sarà fatta propria dal centrosinistra? Al di là di alcune singole voci levatesi anche ieri (De Biasi, Ghizzoni, Tocci, Giulietti, Della Seta, lo stesso ex ministro Rutelli), si aspettano prese di posizione forti e convincenti in proposito dai vertici del Partito Democratico e dell’Italia dei Valori.