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Enrico Pugliese
Belle evasioni
25 Gennaio 2009
Articoli del 2009
Che c’è dietro la beffa degli immigrati rinchiusi a Lampedusa che, come ha detto B., sono andati al bar, tra gli applausi degli isolani. Il manifesto, 25 gennaio 2008

Non sappiamo come andrà a finire la vicenda di Lampedusa. Ma certo fin'ora qualche soddisfazione ce l'ha data. E comunque ha svelato la miseria dei meccanismi repressivi di gestione dell'immigrazione clandestina, anzi dell'immigrazione tout-court dato che la fase della clandestinità nel nostro paese è stata da sempre attraversata dalla stragrande maggioranza degli immigrati.

Sabato mattina il Tg3 a Mezzogiorno trasmette la notizia secondo la quale gli immigrati racchiusi nel lager di Lampedusa (definito surrealmente «centro di prima accoglienza») si sono dati alla fuga è hanno sfilato per il paese tra gli applausi dei cittadini locali. Da non credersi! Ancora maggior soddisfazione dà il messaggio di tim spot arrivato sul cellulare un po' dopo l'una che riporto qui letteralmente «Lampedusa, nuove proteste: un migliaio di immigrati fugge dal Cpa. Il Viminale: nessuna fuga, non è previsto l'obbligo di permanenza». Forse il messagino tim era sbagliato.

O forse no. E, se si parte da questa seconda alternativa, la cosa diventa molto interessante. E' bene che si prenda atto e si sappia dappertutto che «non c'è l'obbligo di permanenza». D'altronde ciascuno può vedere le cose - o dire di averle viste - a modo suo. La «non fuga» - secondo il Viminale - dei tunisini scappati dal Cpt ricorda la celebre dichiarazione di Vittorio Valletta dopo essere stato sequestrato da parte degli operai in lotta durante la occupazione della Fiat nel 1920. Alla richiesta di commentare l'episodio, Valletta rispose che non di sequestro si era trattato e che era stato solo cortesemente ospitato nel suo ufficio dagli operai. Aveva le sue buone ragioni per negare l'evidenza.

Non sta a noi investigare sulle ragioni per cui Maroni e Berlusconi negano l'evidenza nel commentare la ridicola figura che hanno fatto per aver tirato troppo la corda della repressione e della linea del campo di concentramento. Certo è che si sono trovati in grandi difficoltà con, da una parte, le violenze e le aggressioni alle donne in diversi luoghi del paese e, dall'altra, la beffa della fuga dei lavoratori tunisini carcerati a Lampedusa per il solo delitto di essere venuti a cercare lavoro in Italia.

Dopo la grande soddisfazione datami dalla lettura del messaggio tim spot mi sono però subito rabbuiato e sono stato assalito da una grande preoccupazione. «Speriamo - ho pensato - che non venga in mente a qualche disgraziato di commentare l'episodio denunciando la mancanza di fermezza del governo». E difatti, puntuale come la morte, al Tg2 delle 13,30 è arrivata la dichiarazione dell'on. Donati dell'Italia dei Valori che ha lamentato la mancanza di sicurezza, la incapacità del governo di lotta alla immigrazione clandestina, dando così la possibilità all'on. Gasparri di esibirsi in dichiarazioni minacciose contro gli immigrati, promettendo estrema severità e incremento dell'uso dell'esercito nelle città.

CONTINUA | PAGINA 7 Invece di accusare il governo di non aver saputo bloccare la fuga, sarebbe stato giusto e necessario interrogarsi sui motivi e la giustezza di quella fuga («in mancanza di obbligo di permanenza» secondo il Viminale). E prima ancora sarebbe stato necessario interrogarsi sul perché della concentrazione degli immigrati a Lampedusa: sul insomma perché sono lì e perché sono concentrati lì.

Si tratta di due questioni intrecciate e tuttavia distinte. La concentrazione è una pura e semplice scelta politica dei governi che fin'ora si sono succeduti, e in particolare di quelli guidati dall'on. Berlusconi. Le navi degli aspiranti lavoratori immigrati non finiscono a Lampedusa per caso ma perché il sistema di pattugliamento, di intervento, di salvataggio e di trattenimento le indirizza a Lampedusa.

Da qui gli immigrati (e i richiedenti asilo) prima venivano spostati altrove. A Lampedusa questo effetto dirottamento-concentrazione creava qualche problema. Non a caso gli isolani hanno finito per eleggere un sindaco del partito xenofobico «Lega Nord». Ma alla fine c'erano almeno i trasferimenti. La scelta del governo attuale, con la creazione di un nuovo più grande lager, vorrebbe fare dell'isola una grande prigione. E questo spiega la rivolta dei locali e l'incontro felice con i prigionieri («senza obbligo di permanenza»). Gli immigrati vogliono andarsene dall'isola (per poter lavorare in Italia). Gli isolani da parte loro non li vogliono.

Perché non dare esito al loro comune interesse? Per il fatto che questa scelta contrasterebbe con i principi crudeli e miopi che stanno alla base della politica di immigrazione del governo italiano. Le frontiere devono essere chiuse e l'immigrazione clandestina (come quella di centinaia di migliaia di italiani che poco più di mezzo secolo addietro andavano in Francia) deve essere considerata un delitto. E questo risponde alla prima domanda, al perché gli immigrati finiscono nei lager.

I rapporti ineguali di potere tra governi dei paesi del Nord e del Sud del mondo divengono chiarissimi proprio nel caso dell'immigrazione. Ai secondi non resta che accettare le imposizioni, e magari godere di qualche piccolo premio, di qualche briciola, se si mostrano sufficientemente servili e canaglia nei confronti dei loro cittadini che cercano di emigrare: ad esempio la concessione di duemila permessi di soggiorno in più nei confronti di questo o quel paese del Nord Africa che collabora con la repressione, che riduce le possibilità di uscita dei suoi cittadini o si riprende zitto e buono i lavoratori immigrati che gli vengono spediti indietro perché privi di permesso di soggiorno.

Questa è la realtà. Altro che invasione. Ripeto: non sappiamo come finirà, ma una volta tanto abbiamo potuto vedere facce allegre e serene di immigrati «clandestini»: belle facce di giovani tunisini, con l'aria di lavoratori in lotta e non di dannati della terra.

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