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Antonietta Mazzette
Bel Paese, terra senza regole
9 Ottobre 2009
Articoli del 2009
Sostenibilità, cura del territorio, prospettive ragionevoli di tutela e sviluppo: proprio quanto manca alla classe dirigente. La Nuova Sardegna, 6 ottobre 2009 (f.b.)

Tempo qualche giorno e rimuoveremo dalla nostra memoria i morti di Messina, così come abbiamo fatto per quelli dell’alluvione di Capoterra e di tutte le calamità cosiddette naturali ma che, in realtà, sono derivanti dall’opera devastatrice del genere umano e che hanno attraversato l’Italia degli ultimi 50 anni.

Il sottosegretario Bertolaso dice che sono necessari un grande piano nazionale di risanamento e almeno 25 miliardi di euro per le zone a rischio. Buon senso vorrebbe che i nostri governanti, quelli locali e quelli nazionali, dicessero STOP ai provvedimenti di ripresa edilizia, camuffati da piani casa; STOP alle opere faraoniche quali il Ponte di Messina, per investire invece gli stessi denari nel risanamento delle infrastrutture della Sicilia e della Calabria, magari facendo attenzione alle pericolose intrusioni della criminalità organizzata; STOP alle centrali nucleari perché in una nazione così dissestata, con un malaffare diffuso e con uno scarsissimo senso di responsabilità individuale e collettivo, anche un minimo errore nello stoccaggio delle scorie sarebbe causa di tragedie inimmaginabili.

Ma i nostri governanti faranno e diranno di tutto, tranne applicare quel buon senso prima richiamato. Anzi, sono iniziati i consueti balletti di dichiarazioni tra gli amministratori locali e la protezione civile su chi siano i responsabili. Accade oggi per Messina, è accaduto ieri per Capoterra. Il risultato si conosce già: nessuno si assumerà neanche la più piccola responsabilità, né come singolo cittadino né, tantomeno, come amministratore. Berlusconi, dal canto suo, infonderà un’illusoria speranza che si farà come in Abruzzo, quando gli abruzzesi ben sanno che per risanare la loro terra ci vorrà tempo e volontà di fare piani rigorosissimi.

E le popolazioni coinvolte che cosa fanno, a parte il gridare che “sono state lasciate sole”? Perché non chiedono ai governanti di cambiare la direzione della loro politica e di rimettere in ordine il territorio? Perché non chiedono di interrompere la commistione tra politica e rendita immobiliare che ha avvelenato il Paese in termini sociali oltre che in termini ambientali?

Se non in limitati casi, non lo chiedono perché ognuno spera di mettersi d’accordo con l’amministratore di turno sui metri cubi da costruire, non oggi se costui non ne ha le possibilità ma magari un domani. In Italia è diventato un fatto “normale” considerare il suolo un vuoto da riempire di cemento perché, così inteso, è diventato una concreta possibilità di trarre profitti e di scaricare i rischi sul pubblico. Se ciò è praticato su grande scala dalle imprese, su micro scala è una logica acquisita dai singoli, proprietari o no che siano. Ovvero, si sono saldati gli interessi di pochi con l’universo variegato di piccoli e potenziali proprietari, costituendo un vero e proprio blocco sociale.

Per costoro è evidente che una politica territoriale fatta di regole ferree e inderogabili è considerata un ostacolo da abbattere quanto prima: sta accadendo per il Piano Paesaggistico istituito dall’amministrazione Soru che di fatto viene smantellato, grazie ai recenti provvedimenti di ripresa edilizia, senza prendersi peraltro il disturbo di predisporne un altro.

Eppure, le tragedie devono pur servire a qualcosa. Che almeno aiutino a riflettere sugli scempi ai paesaggi urbani e naturali di questi ultimi decenni. Scempi che non sono mai serviti a risolvere i problemi di chi non ha una casa, mentre sono stati utili alle pratiche speculative di ogni tipo. Se vogliamo che la tragedia di Messina sia l’ultima, si faccia almeno in modo che si frantumi la sciagurata idea che il territorio sia un vuoto da riempire perché ogni tragedia ci ha finora detto che è giunto il momento di soffermare lo sguardo sulle penose condizioni del nostro Paese.

E se la politica non lo capisce, che venga mandata a casa senza tanti complimenti, l’Italia è ricca di giovani sensibili e preparati.

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