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Nadia Daniela; Urbinati Del Boca
Basta lamenti
8 Marzo 2010
Articoli del 2010
Si tratta certamente di valorizzare risorse, ma soprattutto di costruire una società che, per essere più giusta per le donne, lo sarà anche per i maschi. La Repubblica, 8 marzo 2010

LE PROTAGONISTE dell´8 marzo celebrato oggi al Quirinale saranno quest´anno le giovani di età inferiori a 18 anni, le cittadine e le donne di domani. A loro altre donne di altre generazioni porteranno insieme alla loro esperienza di vita un messaggio fortissimo di donne che hanno sfidato, affrontato e superato molte difficoltà anche in attività che sono tradizionalmente riserva maschile.

L´8 marzo il Quirinale sarà un forum di modelli positivi. Non è la straordinarietà del fare, l´eccezionalità degli obiettivi raggiunti quello che conterà in questo messaggio, ma il coraggio di aver osato, la caparbia determinazione a voler esprime le proprie capacità e a resistere ai contro-messaggi che vengano da ogni angolo della società.

In questi giorni sono anche usciti due volumi, unici nel loro genere, per l´Italia soprattutto, che offrono altri esempi di ruoli e che mettono a confronto esperienze di donne e società diverse: Revolution Womenomics di Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland (Il Sole24 ore) e Ma le donne no. Come si vive nel paese più maschilista d´Europa di Caterina Soffici (Feltrinelli). Sono libri molto diversi nel metodo e nello stile ma simili nel messaggio. Il primo si concentra sul mondo dell´impresa e mostra con dati aggiornati le capacità e insieme le incredibili difficoltà che le donne hanno in tutto il mondo a realizzare le loro aspettative e a mettere a frutto quello che hanno appreso; ne viene fuori lo spaccato di un presente che pur nelle sue contraddizioni è gravido di futuro al femminile. Il secondo volume spazia tra vari contesti, pubblici e privati, dello spettacolo e della politica, per tratteggiare con racconti di vita l´immagine dell´utilizzo delle donne nel nostro paese, del loro corpo e della loro mente. La comparazione tra la nostra società e quella di altri paesi - occidentali e non - non lascia spazio a giustificazione alcuna: le donne italiane sembrano davvero non solo le meno pagate e riconosciute, quale che sia la loro professione, ma anche le meno rispettate. Col passare degli anni e la conquista dei diritti pare che la situazione sia non solo rimasta immutata ma anche cambiata in peggio. Eppure l´esigenza di invertire questa tendenza esiste e le proposte non mancano anche se non ricevono l´attenzione che meritano né dai media né dal mondo politico.

Le celebrazioni al Quirinale e questi due libri sono indicativi di un atteggiamento nuovo e positivo, un atteggiamento che occorre aiutare e incentivare anche perché interrompe l´abito del negativismo e ci sfida a cercare esempi di vita che siano una forza e un bene per la società, per le più giovani prima di tutto: modelli ai quali ispirarsi. Dopo anni in cui abbiamo subito, nostro malgrado, un bombardamento mediatico che ci ha spalmato sugli occhi immagini di donne incasellate all´interno di ruoli non solo tradizionali ma anche abbruttiti, c´è bisogno di porci da una prospettiva diversa per non avvilire le nostre potenzialità con un fatalismo che è umiliante e per interrompere la cultura del lamento e tornare ad essere assertive e positive.

A partire da questa prospettiva sarebbe importante cominciare a chiedersi come una società possa permettersi il lusso di non valorizzare al meglio le risorse femminili. O si tratta di una società incomparabilmente ricca o di una società oltremodo miope e improvvida. Va da sé che la seconda risposta pare la più realistica. La nostra è una società miope che investe un enorme capitale economico e sociale per formare donne e uomini, farne adulti autonomi e cittadini responsabili per poi costringere una larga parte di loro - appunto le donne - in ruoli e funzioni per coprire i quali molto spesso la loro formazione è inutile o eccessiva. Si tratta di una perdita sia per le donne che per gli uomini; per le donne soprattutto, perché hanno contribuito, direttamente e indirettamente, alla loro formazione e si vedono spesso costrette a dover deprimere le loro aspettative.

Eppure i dati ci dicono che le donne propongono un messaggio positivo: per esempio, sono quelle che escono prima dalla famiglia d´origine (almeno tre anni in media prima dei coetanei maschi) e che finiscono le scuole con voti più alti. Le donne amano e vogliono conquistare prima possibile l´indipendenza economica e anche per questo, a parità di titolo di studio e di esiti scolastici, sono disposte ad accettare lavori meno qualificati e meno pagati, con contratti più brevi, discriminate ancora prima di diventare madri, la condizione per loro più penalizzante.

Ricerche recenti mostrano come ci sia una perdita effettiva a non valorizzare i talenti femminili, come la parità di genere fra gli occupati potrebbe favorire incrementi del Pil del 13% nell´Eurozona e del 22% in Italia. Ci mostrano anche che laddove si sono fatte giuste politiche pubbliche si è anche verificata un´ampia accettazione culturale delle pari opportunità d´impiego della manodopera femminile. Le buone politiche aiutano la formazione di buoni costumi, sono un volano di cittadinanza democratica. Da noi il cammino sembra essere ancora lungo e difficile. Le donne hanno più difficoltà a conservare nel tempo il lavoro o una posizione professionale conquistata con fatica e sacrifici e la famiglia è ancora un fattore penalizzante. Ma non è il solo. Un altro fattore penalizzante viene dagli ostacoli enormi, culturali ed etici, che esistono a trasformare il posto di lavoro in un luogo dove i talenti degli individui, uomini e donne, siano valorizzati. E´ anche per invertire questa tendenza che c´è bisogno di veder proporre modelli positivi.

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