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Giampiero Calapà
Basta genuflessioni: la sinistra offra un sogno
1 Maggio 2010
Articoli del 2010
Nell’intervista a Salvatore Settis, rosarnese, un commento della situazione in Calabria. E in Italia. Da Il Fatto Quotidiano, 1° maggio 2010 (m.p.g.)

Quando Rosarno è salita agli onori delle cronache per la tragica rivolta del gennaio scorso, il rosarnese Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale di Pisa dal 1999 (lascerà il prossimo ottobre), ha provato “dolore, perché un luogo relegato alla marginalità otteneva gli onori delle cronache per un episodio così terribile”; e “stupore, perché Rosarno è stato sempre un paese di emigranti: ad esempio, nella famiglia di mio padre sette fratelli su sette sono emigrati e mio nonno, Salvatore come me, è stato sia in Argentina sia a New York”. Ma non solo, perché “Rosarno all’inizio del ‘900, dopo le bonifiche e grazie alle coltivazioni di agrumeti che rendevano molto, ha anche accolto altri calabresi provenienti da zone ancor più povere, come l’Aspromonte, e nel giro di pochi anni la popolazione crebbe da poche migliaia a 20 mila abitanti: tanti rosarnesi di oggi discendono da quell’esperienza di immigrazione interna, da quel tempo in cui Rosarno era chiamata “Americhedda”, piccola America, quindi i fatti di gennaio sono stati un paradosso nel paradosso”.

Facciamo un passo indietro. Sempre a Rosarno, 1980, altro tragico evento, l’assassinio di Peppino Valarioti, intellettuale e dirigente del Pci locale, per mano della ‘ndrangheta in una storia mai chiarita fino in fondo (ancora oggi non c’è nessun responsabile). Che ricordi ha di quei giorni?

Ho avuto modo di conoscere Valarioti personalmente, quando dopo molti anni ritornai a Rosarno da archeologo per fare degli scavi negli anni ‘70. Mi legava a lui una grandissima simpatia. Valarioti faceva parte di una specie molto rara nel Sud: intellettuale, giovane, radicale nelle sue posizioni e soprattutto deciso a rimanere a Rosarno, a restare nella sua terra. Non voglio criticare con questo chi va via, perché dovrei criticare anche me stesso, ma lui rappresentava qualcosa di importante: una speranza. E quando fu ucciso venne meno proprio questo, la speranza. Non era un magistrato che aveva mandato qualche capomafia all’ergastolo, era semplicemente una persona che aveva deciso di non scendere a compromessi ed è morto per questo.

Dagli anni ’80 a oggi la civiltà culturale della Calabria, del Sud, ha fatto ulteriori passi indietro?

Ho l’impressione che la situazione non sia molto cambiata. Alcune reazioni individuali ci sono, ma manca la capacità di organizzare un movimento, anche per colpa dei partiti che non sono stati in grado di rappresentare la voglia di rinnovamento e offrire un’immagine diversa. Anzi, hanno proprio fallito i partiti. Pur con qualche tentativo generoso: penso all’assessore Domenico Cersosimo, dell’ultima giunta Loiero, per i suoi investimenti considerevoli nella scuola con l’introduzione di meccanismi per aiutare soprattutto le fasce più svantaggiate, i più poveri.

Eppure l’unica certezza per la Calabria pare essere l’arretratezza a cui la condanna soprattutto una criminalità antichissima nella liturgia, ma modernissima nella capacità di esser protagonista dell’economia.

Pensando sempre a Rosarno, l’immagine dei cartelli stradali bucherellati dai proiettili indica proprio questo, il degrado di un posto che ha pur dato i natali a un discepolo di Platone, Filippo di Medma. Invece è un luogo sotto la cappa di una ‘ndrangheta che ai miei tempi faceva piccole estorsioni, piccole rapine, “controllava” i campi. Poi l’evoluzione: mantenendo sempre gli stretti legami familiari e sociali, ma alzando la mira sul traffico internazionale di droga e di armi, raggiungendo guadagni incredibili. Ma quel qualcosa di molto arcaico rimane, come rimane il pellegrinaggio annuale delle ‘ndrine al santuario della Madonna di Polsi.

Ci sono state, però, anche delle grandi illusioni: come il porto di Gioia Tauro che, se a pieno regime, potrebbe garantire migliaia di posti di lavoro in più. Ma resta, appunto, un’illusione, perché?

Forse perché, nel caso specifico, è nato male quel porto. È stato devastato uno dei più bei luoghi della Calabria, distruggendo olivi secolari, spianando tutto con i camion della ‘ndrangheta. E non per un porto: doveva sorgere il quinto centro siderurgico d’Italia in un momento in cui gli altri quattro non funzionavano più. Era l’epoca della lotta tra poveri, il “boia chi molla” della rivolta di Reggio contro Catanzaro capoluogo. Si porta dietro questa maledizione il porto.

Le responsabilità politiche non mancano. Anche il centrosinistra, che ha governato dieci anni prima della recente vittoria di Scopelliti, è ampiamente responsabile, non crede?

Sì e al di là di quello che è stato fatto o meno, rimprovero alla sinistra di non essere più in grado di costruire una speranza, ma non solo al Sud dove l’immobilismo produce effetti ancor più gravi. Non c’è più un’idea, tutto viene sistematicamente copiato: come il federalismo dalla Lega, copiare dal Carroccio è una moda poi. Invece, parlare di unità d’Italia è ora rivoluzionario, come nel 1848. C’è stata qualche eccezione a sinistra, bisogna ricordarlo, come Nichi Vendola, la sua storia è la più bruciante sconfitta del Pd: il piano era perdere in un colpo solo la Puglia e Bari, e a volerlo, diciamolo, era un normalista (il riferimento è a Massimo D’Alema, che in gioventù studiò alla Normale senza però conseguirne il diploma, ndr).

Mentre la crisi del Sud è senza fine, al Nord non si può neppure più cantare “Bella ciao”… perché anche gli intellettuali non parlano più, non fanno sentire la loro voce?

È vero, è una cosa che manca sempre di più. Gli intellettuali sono sempre più ridotti al silenzio, all’auto-bavaglio. Scetticismo? Sfiducia? Stanchezza? In parte anche eterna capacità di trasformismo, come dal 1922 al ’43, perché per afferrare piccole briciole di potere molti sono pronti a genuflettersi davanti a chiunque o almeno a tacere, ambiguamente.

In un’Italia sempre più spaccata e divisa almeno il sindacato cerca ancora, pur tra mille contraddizioni e limiti, di trovare ancora dei simboli, per questo la manifestazione nazionale oggi è proprio a Rosarno.

È positivo se dentro il simbolo, però, c’è qualcosa. Perché i simboli se sono vuoti si consumano in fretta: qual è il progetto del sindacato per l’Italia? Anche questo, a dir il vero, non mi è molto chiaro.

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