Sfilano in (molti) più di 10mila – numero della questura – e tutti sanno bene che nessuno potrà riportare in vita Idy Diéne. Ma essere qui può aiutare a combattere il razzismo, che sia dichiarato o strisciante poco conta, ormai sdoganato da forze che con la parola d’ordine del “prima gli italiani” portano migliaia di loro ad essere “eletti dal popolo” in Parlamento e negli enti locali. “Quell’uomo l’ha studiato, l’ha studiato (l’omicidio, ndr) – quasi urla un senegalese ai microfoni di Radio Popolare – lui quel giorno ha incontrato un milione di persone e poi ha sparato a un nero. Salvini, io ti vedo tutte le volte al telegiornale, tu parli solo male degli africani, questi sono i risultati”.
Agli angoli del ponte Vespucci, attaccato sul muro, un volantino racconta l’Italia di oggi vista con gli occhi di un migrante: “Cari fratelli e sorelle italiani, se avete fame oggi; se siete senza lavoro; se siete diventati poveri, noi neri, noi africani, non siamo colpevoli; non siamo responsabili delle vostre rogne. Cercate i responsabili da Sarkozy a Berlusconi, alleati hanno bombardato la Libia e il resto dell’Africa. Se le vostre bombe cadessero in Italia cosa fareste? Dov’era la colpa del povero Diéne Idy, il fatto di essere nero. Essere nero è un reato in Italia, basta!”.
La manifestazione è stata in forse fino a venerdì, anche questo è toccato vedere dopo che la parola razzismo è stata tabù per giorni, sindaco Nardella in testa. Invece dal direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, erano arrivate parole sensate: “Se qualcuno spara pallottole contro qualcun altro che ha la pelle di colore diverso, avendo incontrato prima anche altre persone, è chiaro che si tratta almeno di razzismo subliminale: questo è ovviamente inaccettabile e va debellato, così come il razzismo manifesto e proclamato”.
E’ stato un corteo talmente civile che a Nardella, anche lui in marcia, è stato dedicato solo un graffiante striscione: “Je suis fioriera”. In eterno ritardo, anche il sindaco ha finalmente capito: “Ho parlato con la famiglia di Idy, ha acconsentito a far svolgere una giornata funebre con una cerimonia funebre, e questo ci consente di programmare il lutto cittadino. In questo modo noi diamo un ulteriore segnale di sensibilità e vicinanza della nostra città”.
Nel lunghissimo corteo altri rappresentanti istituzionali (Enrico Rossi), la portavoce di Potere al popolo Viola Carofalo (“non si poteva non essere qui”), intellettuali (Adriano Sofri, Wlodek Goldkorn, Tomaso Montanari), i responsabili dell’Anpi dell’intera provincia, Gigi Remaschi in testa. Con loro la Cgil, l’Usb, i Cobas, l’Arci, la rete antirazzista fiorentina con le variegate anime della sinistra che resiste. E ancora Tommaso Fattori e Giacomo Trombi con lo striscione “Stay human”: restiamo umani. Senza dimenticare la realtà, fotografata dallo striscione di uno spezzone di corteo tutto al femminile: “Chi spara alla moglie, chi spara all’immigrato, è un maschio bianco, e va fermato”.
“Forza, dobbiamo parlare, dobbiamo farci sentire – spiega una ragazza senegalese alle sue compagne di corteo – perché queste tragedie non devono più succedere, non vogliamo piangere altri morti come Samb, come Diop, come Idy”. Perché Firenze è recidiva. Anche se la sua parte migliore, oggi in corteo, la pensa come il cartello portato dal manifestante ignoto: “Mio fratello non è figlio unico”.