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Fabrizio Tonello
Attenti alle baruffe chiozzotte
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Una speranza ragionevole, ma non sempre la ragione prevale sull'arroganza. Da il manifesto del 6 aprile

Due candidati di centrosinistra al ballottaggio a Venezia, con il centrodestra che rischia di sparire dal consiglio comunale: sembra la ciliegina sulla torta di una trionfale domenica per l'Unione. Si tratta però di fare in modo che non sia una ciliegia avvelenata intendendo bene il senso del voto. Il dato rilevante dei risultati di domenica e lunedì è il successo dell'ex magistrato Felice Casson, che ha ottenuto circa il 38% dei voti, distanziando di ben 15 punti Massimo Cacciari, fermo al 23%. Il fatto che Cacciari, il veneziano più noto in Italia dopo Marco Polo, abbia rischiato di arrivare terzo dietro il candidato di Forza Italia Cesare Campa la dice lunga su quanto artificiosa, narcisistica e settaria sia stata l'operazione che lo ha portato a candidarsi per la Margherita. Se il centrodestra fosse stato unito, anziché diviso in quattro liste, sarebbe certamente arrivato in testa al primo turno.

Cacciari è stato in Potere Operaio, parlamentare del Pci per varie legislature, membro della Commissione industria, sindaco di Venezia per due mandati, dal 1993 al 2000. Nelle ultime elezioni a cui si era presentato come candidato di tutto il centrosinistra, nel 1997, aveva raccolto il 65% dei voti. Qualcuno con la sua storia politica avrebbe quindi dovuto astenersi dal dichiarare a Repubblica che scendeva in campo per «fermare i comunisti». Un po' di rispetto per la storia politica da cui si proviene non guasta. Né il fatto di essersi dimesso a metà mandato, nel 2000, è stato dimenticato dagli elettori veneziani, che non ignorano nemmeno il fatto che allora Paolo Costa fosse il «suo» candidato, imposto ai partiti contro il parere di quasi tutti (e infatti il prosindaco di Mestre, Gianfranco Bettin, al primo turno si presentò da solo, ottenendo un eccellente 16,5% con il sostegno dei verdi e di Rifondazione). Costa vinse solo al secondo turno e, nei cinque anni successivi, ha scelto di fare il sindaco a mezzo servizio, rifiutando di lasciare il seggio di parlamentare europeo.

A questo punto, le beghe lagunari diventano quasi incomprensibili: i Ds locali non intendono più accettare Costa, ma anche Cacciari e Costa litigano fra loro, così la Margherita locale si divide fra chi sostiene Casson (in odio a Cacciari) e chi sostiene Cacciari (in odio ai Ds). La risposta dell'elettorato, per fortuna, è chiara: quel 60% di veneziani che vota a sinistra si divide, grosso modo, in tre parti, di cui due votano per Casson. La candidatura Cacciari, oltre a deludere numerosi elettori che avevano sempre votato a sinistra, è stata percepita come un colpo di testa, un atto di arroganza di chi aveva sempre pensato che dei partiti si poteva fare a meno perché essere il beniamino dei giornali rendeva inutili altri canali di comunicazione con l'elettorato. Il voto di domenica a Venezia dimostra che Berlusconi non è l'unico a sbagliarsi sul tema della presunta onnipotenza dei mass media nella politica italiana.

Che farà, adesso, Cacciari? Mantenendo la sua candidatura al ballottaggio rischia di diventare il candidato del centrodestra, che in odio al «giudice rosso» potrebbe anche votarlo. Le critiche, del tutto legittime, al modo in cui è maturata la candidatura di quest'ultimo (tardi e in modo estemporaneo) non possono nascondere il fatto che il primo turno di domenica è stato la migliore delle elezioni primarie e che il risultato è senza equivoci. Continuare sulla strada delle baruffe chiozzotte per difendere una specie di «diritto divino» di Cacciari a governare la città sarebbe l'anticamera della catastrofe. Tra cinque anni, un centrodestra ringalluzzito dal dover fare politica in modo «extraparlamentare» perché la legge elettorale lo lascerà sostanzialmente fuori dal consiglio comunale (con l'eccezione dei quattro candidati a sindaco) potrebbe diventare un pericolo ben maggiore.

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