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Vittorio Gregotti
Aspettando l'Expo del 2015
18 Febbraio 2009
Milano
Un po’ di storia delle Esposizioni universali, per controbilanciare la retorica imperante su Milano 2015. Dal Corriere della sera, 18 febbraio 2009 (m.p.g.)

Le esposizioni universali (Expo nel gergo attuale che ne segnala il rientro nella quotidianità), dopo quelle nazionali tra la fine del XVIII secolo ed il 1849 si inaugurano sotto la spinta del commercio con l'Esposizione Universale di Londra del 1851. Di essa restano, nella storia dell'architettura, il Palazzo di Cristallo di Paxton, la discussione per la costituzione di un progetto di forme degli oggetti d'uso coerente con la produzione industriale, la discussione sui dazi delle merci e le prime collaborazioni di Marx al «New York Daily Tribune».

Nel 1855 anche Parigi apre una propria «grande esposizione universale», di cui conosciamo il commento di Charles Baudelaire. Del 1876 è l'esposizione di Philadelphia ed una seconda parigina (con la celebre Galerie des Machines) e la Tour Eiffel del 1889; tre anni prima quella di Vienna con la sistemazione del Prater. Poi nel 1893 quella di Chicago, fiera colombiana commemorativa del quattrocentenario della scoperta dell'America. Alla fine del secolo vi è una diffusione larga di esposizioni internazionali o universali. Anche in Italia nel 1902 a Torino e nel 1906 a Milano si celebrano esposizioni internazionali. Poi Parigi nel 1925, Stoccolma nel 1930, Chicago nel 1933, Bruxelles nel 1935, ancora Parigi nel 1937, New York nel 1939, ed infine quella fallita di Roma del 1942. Per ricordare le più importanti recenti si deve ancora citare la «South Bank Exhibition » a Londra nel 1951, poi Bruxelles, Torino, Losanna, New York e così via.

Dalla fine degli anni '60 la loro importanza comincia a declinare in funzione del loro infittirsi, sino a confondersi con le fiere e con le manifestazioni sportive internazionali, sino a diventare uno strumento premoderno con la diffusione degli strumenti di comunicazione immateriale in grado non solo di regolare meglio e più rapidamente scambi commerciali e finanziari ma anche di suscitare intorno ad uno specifico tema l'interesse civile: ed anche quello speculativo, così anche l'esposizione universale si è trasformata in «evento» che, come ogni cosa nel mondo contemporaneo, vive come evento temporaneo. Anziché di modificazioni strutturali, solo di processi strumentali. Io credo perciò che da un «evento come un Expo» non si possano più attendere trasformazioni culturali e civili durevoli, né capacità di attrazioni grandiose.

Le «Expo» dei nostri anni vivono soprattutto sulla concentrazione su di esse degli interessi del «marketing pubblico », in qualche caso di quello turistico e immobiliare, e soprattutto, nei casi migliori e di accordo politico tra amministrazione locale e nazionale, della possibilità di acquisire finanziamenti eccezionali, capaci, nei casi migliori, di risolvere problemi infrastrutturali e di servizi durevoli ben al di là dell'occasione specifica. Un lodevole interesse tattico coperto da qualche slogan strategico.

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