I beni culturali non sono assimilabili alle "merci". È il principio ispiratore del Codice voluto dal vicepremier Francesco Rutelli, predisposto da una commissione presieduta da Salvatore Settis e ratificato ieri dal Consiglio dei ministri. Il testo è fondamentale per la salvaguardia del paesaggio italiano ed eviterà - grazie a un sistema di garanzie molto stringente - la costruzione di nuovi ecomostri. Il Fondo per l'ambiente italiano commenta entusiasta: «Un passo importante per rilanciare l'economia e il turismo».
È passato quasi un secolo da quando Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo governo Giolitti, presentò il 25 settembre del 1920 la prima legge sul paesaggio, approvata poi due anni più tardi. E nel frattempo, il Belpaese ha dovuto subire abusi edilizi, scempi e saccheggi che ne hanno deturpato la fisionomia. Ma ora finalmente l'Italia ha un nuovo Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, promosso dal ministro Francesco Rutelli, predisposto da una commissione di esperti sotto la guida del professor Salvatore Settis e infine ratificato ieri dal Consiglio dei ministri agli sgoccioli della legislatura. Una svolta che si può considerare storica, se si pensa ai tanti ecomostri ed ecomostriciattoli che intanto hanno deturpato la Penisola; un successo dell'ambientalismo più costruttivo e delle associazioni più responsabili, con in testa il Fai (Fondo per l'ambiente italiano) presieduto da Giulia Maria Crespi.
Già Croce nel ‘20, come si legge nella sua stessa relazione, intendeva porre "un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo". E con l'autorevolezza del filosofo e dello storico, spiegava che il paesaggio "altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria, con i suoi caratteri fisici particolari quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli". Sfrondata dalla retorica dell'epoca, la definizione regge ancora oggi e sostanzialmente è proprio quella che adesso il Codice recepisce e consacra.
Prima di arrivare all'approvazione definitiva del testo, è stato necessario un confronto serrato fra il governo e le Regioni, a tratti un braccio di ferro, per raggiungere un punto d'equilibrio ragionevole e soddisfacente. Ma questo, fuori da qualsiasi compromesso al ribasso, accresce ora l'importanza e il valore del Codice perché ne fa un "corpus" giuridico condiviso dall'amministrazione centrale e locale. Un patto Stato-Regioni, insomma, contro un malinteso federalismo e una "devolution" selvaggia, in forza del quale lo Stato si riappropria della sua potestà esclusiva sul paesaggio e nel contempo le Regioni rivendicano la propria autonomia nell´ambito delle rispettive competenze territoriali, secondo la Convenzione europea di Firenze sottoscritta nel 2000 e diventata legge nazionale nel 2006.
Fondato sull'articolo 9 della nostra Costituzione, in cui si sancisce al primo comma che "la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica" e al secondo comma che "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione", il Codice Rutelli può essere l'inizio di una rifondazione ecologica del Paese, la prima pietra di una "nuova Italia", più ordinata e civile. È stata un'importante sentenza della stessa Corte costituzionale a ribadire, nell'ottobre 2007, che la tutela paesaggistica costituisce un valore primario e assoluto, come paradigma dell'identità nazionale. Da qui, dunque, un limite istituzionale all'esercizio dei poteri attribuiti agli enti locali, in quella che gli "sherpa" ai quali si deve la mediazione decisiva preferiscono definire una "competizione virtuosa".
Sono due i punti più qualificanti del Codice: uno riguarda la disciplina dei rapporti Stato-Regioni in questo campo e l'altro il meccanismo di sub-delega ai Comuni. Viene introdotto così un sistema di garanzie che stabilisce una gerarchia di valori e di competenze, prevedendo una pianificazione congiunta fra Stato e Regioni. L'amministrazione centrale emana le "prescrizioni d'uso" a cui i piani regionali devono attenersi e fino a quando queste non vengono rispettate il parere delle Sovrintendenze è vincolante. Poi, resta comunque obbligatorio e in caso di controversie è ammessa anche la possibilità di ricorso da parte delle associazioni ambientaliste.
Quanto alla sub-delega ai Comuni, fonte purtroppo di tanti abusi e di tanti illeciti, il Codice stabilisce innanzitutto che le amministrazioni locali devono comprendere nel loro organico adeguate competenze tecniche e scientifiche: ciò significa, in pratica, che non si potrà più rimettere tutto alla discrezionalità dei geometri più o meno compiacenti. E in secondo luogo, distingue fra la materia urbanistica e la tutela del paesaggio, ribadendo la priorità di quest'ultima rispetto al regime delle concessioni edilizie.
Un altro rilevante capitolo è quello che attiene alla difesa del patrimonio artistico, soprattutto contro il saccheggio organizzato dei furti e delle esportazioni. I beni culturali non saranno più assimilabili a "merci" e quindi scatterà di conseguenza una tutela più forte sulla loro circolazione internazionale. A completare il quadro, nuove norme per la salvaguardia del patrimonio immobiliare pubblico nel caso di dismissione o uso per la valorizzazione economica.
Al di là degli aspetti culturali, il Codice Rutelli - come fa rilevare la presidente del Fai - punta anche a difendere e rilanciare una grossa risorsa economica come quella del turismo, con tutti i benefici che ne derivano per l'occupazione del settore e dell'indotto. «Se riusciremo a mantenere integri il nostro paesaggio e il nostro territorio - avverte Giulia Maria Crespi - i turisti continueranno ad arrivare da tutto il mondo; altrimenti, se l'Italia diventerà una gigantesca villettopoli, rischieremo di perdere la più grande industria nazionale». Insieme all'identità del Paese, qui sono in gioco insomma la sua immagine, la sua competitività e il suo benessere.