loader
menu
© 2024 Eddyburg

Argomentata critica al Piano di governo del territorio di Milano
15 Dicembre 2009
Milano
L’osservazione del Comitato NO Expo al PGT è un documento importante non solo per Milano: è l’argomentata critica a un modello cui molti si ispirano

ALCUNE BREVI CONSIDERAZIONI POLITICHE

E ALCUNE PROPOSTE

GUIDA ALLA LETTURA

(in calce il link al testo completo)

Sommario delle osservazioni:

- Dalla documentazione pubblicata rileviamo che nel piano di governo del territorio mancano i seguenti elementi fondamentali: una città e un piano di governo del territorio. Si rinuncia cioè ad un qualunque governo politico del territorio.

- Procedendo per sottrazioni, il PGT detta le condizioni del collasso liquidativo del territorio, nella misura in cui deregola il comportamento degli agenti economici.

- Il pubblico si ritira e consegna ai privati una borsa di compravendita di diritti edificatori scambiabili in una pura logica di mercato cui si sacrifica ogni bene comune non negoziabile.

- I servizi si precarizzano nel regime di sussidiarietà orizzontale.

- L'operazione Expo detta la scadenza 2015 e si sovrappone perfettamente come logo della corrispondente città vetrina.

- Occorre che i soggetti reali rivendichino un vero PGT dall'approccio sistemico. Questo PGT va fermato.

PREMESSE

Legge regionale, PTR e PTCP

La Regione Lombardia ha approvato dal '99 ad oggi una serie di provvedimenti dalla L.r9/99 sino alla legge regionale 11.3.2005 n.12 con lo scopo di ridisegnare il quadro della strumentazione legislativa in materia urbanistica.

Il PGT (Piano di Governo del Territorio) viene supportato nelle sua stesura dal PTR (Piano Territoriale Regionale) considerato dalla Regione “unausilio ai Comuni nella predisposizione dei Piani di Governo del Territorio (PGT)”. Contemporaneamente, viene sempre meno il ruolo, già debole, del PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Milano), che viene schiacciato fra una pianificazione comunale milanese sempre più proiettata verso una dimensione metropolitana “di area vasta” e una strategia territoriale regionale aggressiva, avvolgente e centralizzante.

Cos'è il PGT

L'art.23 dispone che i Comuni provvedano all’approvazione del PGT come documento che sostituisce le funzioni del "vecchio" PRG (Piano Regolatore Generale) - quale atto per la definizione dell’assetto dell’intero territorio comunale.

Il PGT è articolato in 3 atti nominati come: Documento di Piano (PdP), Piano dei Servizi (PdS) e Piano delle Regole (PdR); il PdS dovrebbe occuparsi della definizione delle strutture pubbliche o di interesse pubblico mentre il PdR dovrebbe definire propriamente la destinazione delle aree individuando quelle per l'agricoltura, quelle di interesse paesaggistico, storico o ambientale, quelle non trasformabili, nonché le modalità degli interventi sugli edifici esistenti e su quelli di nuova realizzazione.

Nell'iter, il PGT deve essere discusso in commissione consiliare, in Giunta ed in Consiglio Comunale. Al momento della stesura di questo testo la tempistica sta slittando.

Brevi note sulla presentazione del materiale

Il solo PdP - in mancanza degli altri due atti - presentato come "Proposta di Documento di Piano" di 370 pagine corredato di "Sintesi non tecnica" e Rapporto Ambientale, è stato "messo a disposizione" per la "partecipazione", anzidetta "consultazione", nel luglio 2009 (cioè poco prima delle ferie estive con scadenza delle osservazioni subito dopo le ferie), presso il Palazzo Comunale o per il download dal sito web del Comune attraverso 33 files di diverse centinaia di Mb.

La disponibilità alla "consultazione" pubblica suona vuota retorica se basata su documenti molto preliminari, generici e contraddittori. Negli incontri con i consigli di zona e con l'associazionismo non sono stati presentati i progetti principali né le schede di indirizzo dei vari ambiti di interventi con i dati quantitativi, né gli interventi per la viabilità e i trasporti. La documentazione, deficitaria e al tempo stesso pesante, appare di faticosa consultazione per il cittadino, chiamato a una "partecipazione" virtuale, non soltanto per il peso dei tecnicismi, quanto pure dal semplice punto di vista della presentazione formale, vista la distribuzione a pioggia dei contenuti in allegati ed errata corrige con lunghi giri di parole, pochi "numeri" qua e là disallineati, grafici talvolta approssimativi, locuzioni specialistiche fuori contesto e ricercate per colorire significati molto più semplici, economichese e politichese sovrabbondanti, slogan scollegati dalla realtà in esplicita contraddizione con i contenuti effettivi del documento, caratterizzato a sua volta da contraddizioni interne che segnalano tra l'altro la disomogeneità dei contributi.

ANALISI E OSSERVAZIONI SUI CONTENUTI

Visti più da vicino, scomposti e ricomposti, alcuni passaggi del cap."Un racconto inedito. La genesi del progetto" e del cap."Obiettivi e strategie" rivelano la logica politica e l'intreccio di scelte strategiche che sono sottesi al fumo progettuale del Documento di Piano.

Cit. dal Documento di Piano:

"La legge urbanistica vigente in Lombardia, pur indicando valori di riferimento di tipo quantitativo (al fine di garantire un bilancio complessivo tra abitanti insediati e i metri quadrati di servizi esistenti e previsti), non definisce i servizi da considerare all’interno del Piano, né in termini qualitativi (fatta eccezione per il sistema del verde, le infrastrutture, l’edilizia residenziale pubblica), né in termini quantitativi (ossia la quantità necessaria di verde, di servizi per l’istruzione, di servizi sociali e così via). Il PGT auspica la necessità di un riequilibrio ed una riqualificazione sul territorio dei servizi esistenti e sposta l’attenzione dalla quantità alla prestazione reale dei servizi in termini qualitativi per i servizi futuri. La sfida principale è dunque quella di inserire un universo di valori “qualitativi” (peraltro di difficile misurazione “oggettiva”) in un sistema che chiede garanzie quantitative. Per quello che riguarda il riequilibro della qualità dei servizi, il Piano abbandona la logica dello standard localizzato e dei servizi pianificati a partire dai vincoli secondo la logica del “prodotto finito” (meccanismo rigido, ulteriormente indebolito dal fatto che si ragiona su lunghi archi temporali) ed attiva un ragionamento differente da quello tradizionale dei Piani Regolatori proponendo un sistema che ruota attorno a una forte regia del Comune, soggetto portatore di obiettivi specifici e chiari, base di riferimento per il dialogo con l’operatore privato".

Sussidiarietà orizzontale e riduzione alla mera contrattazione tra privati

Cominciamo a vedere che ci troviamo di fronte allo svuotamento di un ruolo forte di governo dei processi e delle scelte: si spaccia il cosiddetto "universo di valori “qualitativi” (peraltro di difficile misurazione “oggettiva”)", tanto accattivante quanto vago, per una dimensione ideale, moderna e più flessibile, di regia comunale delle scelte di pianificazione urbanistica e di stanziamento delle risorse economiche in tema di servizi.

Ma di fatto il territorio, concepito come estensione di servizi totalmente mercificata, ridotto al calcolo della razionalità economica come parametro assoluto di "qualità", si spartisce in progetti-investimenti da contrattare - da definire e decidere - con gli operatori privati e quindi in funzione dei loro specifici interessi economici. Una regia senza vincoli e distribuita, senza controllo nei termini del pubblico, su tempi lunghi e quindi poco verificabile nella sua reale efficacia, che nei termini vaghi proposti "sposta l’attenzione dalla quantità alla prestazione reale dei servizi in termini qualitativi per i servizi futuri". Cioè, per dirla più chiaramente: meno servizi futuri, temporanei, ma con l’autocertificazione di qualità del realizzatore e del gestore privato (imprese, fondazioni e associazioni “non profit”, confessioni religiose firmatarie di patti e intese, camere di commercio, università e quant’altro), in perfetto quanto oliato regime di sussidiarietà orizzontale in salsa lombardo-ciellina (come esaurientemente spiegato al punto 2.3.5 "La sussidiarietà quale principio di relazione virtuosa pubblico-privato). Sussidiarietà che in ultima istanza produce consumo e profittabilità ma non riproducibilità.

Cit. dal Documento di Piano:

"I punti chiave sono fondamentalmente due:

1. Le infrastrutture (collettive ed individuali).

2. Il sistema degli spazi aperti incluso il verde a tutte le scale.

A questi se ne aggiunge poi un terzo caratterizzato dal tema della casa per tutti. Tutti quelli che sono gli altri “servizi costruiti” sono stabiliti di volta in volta in funzione dei fabbisogni rilevati. Affrontare il tema della qualità nella pianificazione dei servizi rappresenta oggi una sfida per le città, che si vedono costrette a riformulare le proprie politiche in modo diverso rispetto al passato, lavorando attraverso una sorta di “rivoluzione” in tema di pianificazione urbanistica. È pertanto più utile ragionare in termini di “metodo” e di “processo” a partire dal bisogno reale, sostituendo così la logica del “prodotto finito”.

Il nuovo Piano non indica il risultato finale, ma definisce un metodo di criteri che di volta in volta divengono il quadro di riferimento per la dotazione di nuovi servizi. La prassi non è più quella di cristallizzare aree per servizi e infrastrutture all’interno di uno schema ideale complessivo, ma di specificare le linee d’azione operative per arrivare a fornire servizi in maniera effettiva ed efficace; l’amministrazione pubblica si impegna a costruire e fornire un quadro di riferimento che abbia confini certi e chiaramente definiti (ad esempio sugli obiettivi di interesse pubblico).

Per quanto riguarda le nuove aree di trasformazione introdotte dal PGT, l’Amministrazione stabilisce quote della nuova edificazione da cedere per servizi indispensabili, senza indicare di quali tipologie si tratta, ma distinguendo tra aree a verde, infrastrutture e servizi costruiti.

Su questi ultimi, il Piano, costantemente aggiornato, avrà una lista da cui attingere a seconda della localizzazione del progetto, dei fabbisogni rilevati o prospettati, dell’accessibilità, della dimensione dell’intervento, ecc. Tutto ciò è possibile grazie ad una costante analisi sull’offerta e sul fabbisogno esistente/potenziale monitorata, nelle differenti aree della città, dal Settore Statistica e SIT del Comune di Milano. Il punto di partenza è costituito dalla messa in rete di tutte le più importanti risorse presenti nel territorio di Milano, da quelle economiche, creative, sociali, culturali, a quelle più di natura urbana.

Il nuovo Piano intende in questo modo attivare una strategia di sistema.

Per questo, l’Amministrazione di Milano ha dettato un “programma” connesso a 15 obiettivi che in questo capitolo verranno esplicati attraverso le strategie e le politiche del Piano ad essi connesse.

Gli obiettivi di natura politica, strutturanti per la redazione del Documento di Piano, sono articolati in 15 punti, riferiti a tre politiche principali:

1. La città attrattiva

2. La città vivibile

3. La città efficiente

da cui deriva il quadro programmatico che il Documento di Piano e il PGT in generale hanno come riferimento. Una relazione che intende, senza ambiguità, far emergere il quadro delle “politiche urbanistiche” e, quindi, la visione strategica complessiva per la città di Milano; una strategia quella del DDP che riassume anche i presupposti degli altri due documenti complementari del PGT, cioè PdS e PdR. E’ dalla visione che emerge l’idea di città del nuovo Piano".

La cancellazione dei vincoli e la sua copertura ideologica

"Strategia di Sistema" è la parola magica della neo-lingua del PGT per nominare quella che in effetti è la perdita della possibilità concreta di pianificare i servizi collettivi costituendo una metodologia tutta interna ad una vaga e indistinta razionalità “di processo” che valuterebbe, di volta in volta, ciò che è da realizzare. Si stabilisce così la morte della realizzazione delle opere e dei progetti governata da regole precise e vincoli certi in quanto principi e metodi considerati troppo rigidi e appartenenti alla pianificazione del passato (quella dei piani regolatori). Trasparirebbe nella "mente" del legislatore la volontà di lasciarsi alle spalle "l'inefficienza" dei "piani tradizionali" che "pretendono che la città si adegui forzatamente ad un disegno astratto", sostituendovi la visione di un territorio monetizzato secondo i dettami dell'economia di mercato con le parole d'ordine dell'"attrattività", dell'"efficienza", della "competitività" e della cosiddetta valorizzazione dei "poli d'eccellenza".

Risulta palese la forzatura ideologica: come se le alternative fossero dirigismo/razionalismo/statalismo dall'alto cui opporre un moderno liberismo illimitato dal basso secondo la mitica opposizione rovesciata à la Friedrich von Hayek. Così si parla il linguaggio dell'economia dell'ambiente e dello "sviluppo del territorio" (quella per cui "toh c'è un albero" è buffo romanticismo mentre va sostituito con "qual è la tua disponibilità a pagare per guardare quel vaso di piante?" etc.), si parla di "formazione della città mondiale", di "competizione tra i luoghi", di "city marketing", e così via in una pura logica di mercato deregolato.

Tornando al testo, si passa alle linee d’azione operative e ai quadri di riferimento delle “politiche urbanistiche” racchiusi in una sorta di “programma” connesso a 15 obiettivi di natura politica ed alle tre seguenti nozioni chiave:

Cit. dal Documento di Piano:

"La città attrattiva

Con città attrattiva si intende progettare un riequilibrio di funzioni tra centro e periferia favorendo progetti intercomunali, modernizzare la rete di mobilità pubblica e privata in rapporto con lo sviluppo della città, secondo una logica di rete e ottimizzando i tracciati esistenti, incrementare alloggi e soluzioni abitative anche temporanee a prezzi accessibili, incentivare presenza di lavoratori e creativi del terziario propulsivo e valorizzare le identità dei quartieri tutelando gli ambiti monumentali e paesaggistici.

La città vivibile

Con città vivibile si intende promuovere Milano città agricola, connettere i sistemi ambientali esistenti a nuovi grandi parchi urbani fruibili, ripristinare la funzione ambientale dei corsi d’acqua e dei canali, completare la riqualificazione del territorio contaminato o dismesso, supportare a livello urbanistico, edilizio e logistico la politica di efficienza energetica “20-20 by 2020” dell’Unione Europea.

La città efficiente

Con città efficiente si intende diffondere servizi alla persona di qualità alla scala del quartiere, vivere la città grazie ad una politica sulla temporaneità dei servizi e sull’accessibilità dei luoghi, rafforzare il sistema del verde alla scala locale e di mobilità lenta basata su spazi pubblici e percorsi ciclo-pedonali, garantire qualità e manutenzione degli spazi pubblici e delle strutture destinate a servizio, incentivare servizi privati di pubblico interesse attraverso il principio della sussidiarietà".

Questi tre nodi di riferimento strategici, queste “tre città nella città” sono un prisma opaco attraverso il quale leggere le trasformazioni verso cui viene pilotata la pianificazione urbanistica e sociale metropolitana. Uno stravolgimento razionale e di prospettiva lunga, all’insegna della più profonda deregulation mai progettata da un’amministrazione comunale che cede, per scelta cosciente, ampie fette di governo del territorio alla speculazione e alla gestione privata che realizza, volta per volta, le abitazioni, le infrastrutture e i servizi seguendo la vocazione che le compete ovvero la mera logica del profitto.

Verso una città aperta e sostenibile?

Tentando di rimodulare il rapporto tra la città e il suo hinterland il Documento di Piano fa alcune importanti ammissioni.

Prima ammissione:

"Il PGT legge il territorio milanese e la città di Milano come un sistema di pieni e vuoti ed esplora, nella specificità degli stessi, le opportunità intrinseche, non sempre evidenti, di diventare occasioni progettuali, a tutte le scale, per produrre innovazione e modernità e, soprattutto, qualità urbana. Occorre ricordare che la crescita della città per pura addizione non ha prodotto la necessaria qualità e funzionalità. Il PGT intende riconquistare questi aspetti attraverso la proposizione del concetto di città pubblica e attraverso una metodologia progettuale basata sulla sottrazione, introducendo strumenti di riqualificazione e di sostituzione, ponendo i cosiddetti “vuoti” in condizione di svolgere una funzione strutturante, ecologica, ambientale, sostenibile, per valorizzare al meglio i “pieni” dell’urbanizzato".

La città non è vista come un tutto vivente, con una sua progettualità e una sua storia, ma come una somma di "pieni" (da riqualificare affidando le decisioni - cioè liberalizzando, come dice il testo - la destinazione d'uso ai privati), e di "vuoti" da riutilizzare" per "produrre innovazione e modernità". La continuità della città con la sua storia, con il suo carattere, con i suoi abitanti è cancellata come tradizione e al massimo "museificata" conservando qualche monumento in un nuovo contesto ispirato alla "città attrattiva".

Seconda ammissione:

"La città, malgrado l’intensa attività edilizia degli ultimi decenni, non è cresciuta per numero di abitanti, ha di fatto mantenuto un sostanziale equilibrio demografico, ma ha cambiato il rapporto con il suo territorio".

"Milano oggi ha quindi l’opportunità di immaginare il suo futuro in modo finalmente sostenibile ma, soprattutto, ha la straordinaria occasione, nel quadro di una forte domanda di modernizzazione e riqualificazione, di stipulare un grande “patto trasversale pubblico-privato” per affrontare e risolvere concretamente le criticità peculiari dell’urbanistica milanese e della regione urbana e, soprattutto, della qualità della vita urbana nel suo complesso".

La constatazione è interessante, ma si rifiuta di assumere un atteggiamento critico verso questa trasformazione del centro (e in prospettiva dell'intero territorio urbano) in deserto abitativo riservato a uffici, sedi di rappresentanza e strutture per "grandi eventi" e dell'hinterland in dormitorio con i problemi di vivibilità, sicurezza e traffico pendolare che questo comporta. Un processo che non cesserà se le decisioni continueranno ad essere assunte dai vantati "gruppi portatori di interessi".

Arriviamo così a delineare meglio quale sarà la nuova versione della città vetrina, della città funzionale e prestazionale, della città dello sviluppo e del profitto senza limiti e senza freni.

Sussidiarietà sovracomunale: dal Comune alla Regione

Sotto queste premesse, il PdP viene riempito di progetti sulla mobilità e sul verde, di “città multicentrica”, di riequilibrio centro-periferia, di piano casa (che però non si deve appoggiare sul pubblico ma su un sistema fortemente sussidiario "dando modo così di superare il tradizionale binomio soggetto pubblico-edilizia economico-popolare”) e di efficienza (attraverso l’incentivazione dei servizi privati di pubblico interesse).

Tuttavia non si esplicita quali siano i progetti da accelerare da subito (tranne l'EXPO acceleratore ovviamente), quali gli investimenti e gli interessi in campo e quale potrà essere la qualità del vivere sociale soprattutto dei comuni vicini travolti e assoggettati da una dimensione sovracomunale che così viene descritta:

Cit. dal Documento di Piano:

"Entro questa visione il nuovo Piano ha attivato percorsi di pianificazione comune con Amministrazioni di Comuni limitrofi per favorire così importanti accordi e progetti intercomunali. Il percorso del nuovo Piano intende, in questo modo, anticipare una logica di governo alla scala metropolitana, già oggi presente nell’agenda politica per il prossimo futuro".

E' da notare l'ipocrisia del sopprimere indicazioni precise di piano in cambio di un'ipotesi di "forte regia del Comune" per altro sempre più indebolito di ruolo e di disponibilità finanziarie (una operazione che ricorda quello sul taglio della scala mobile per dare spazio alla contrattazione).

In breve: la Regione detta le linee guida, la Provincia è didascalica, il Comune delega a cabine di regia autonominate che non hanno più nulla di "civico" il compito di "dialogare" con Ligresti o magari con i Casalesi, mentre il resto dei Comuni vale come il due di picche. I cittadini invece scompaiono come lacrime nella pioggia al di là della Cerchia dei Bastioni.

Metodo NON partecipativo

Dal punto di vista del metodo (NON partecipativo), possiamo affermare che questo è il primo PGT al mondo che assume come parte integrante del capitolo sull'ascolto della cittadinanza il programma elettorale del sindaco (Moratti). Sembra paranormale ma il cosiddetto processo di ascolto delle soggettività della città si configura come una rassegna stampa e uno studio di vari blog durante la campagna elettorale della Moratti! Altro che analisi sociologiche preliminari a un governo del territorio. Il dato che emerge da questa raffinata metodologia di ascolto è la richiesta di "valorizzazione" di aree della città. Richiesta avanzata da chi? Dagli stakeholders, ovviamente! Cioè da quei soggetti che in questi ultimi due anni hanno partecipato al processo "partecipativo" nella redazione del PGT. Peccato che questo processo sia stato sotterrato anche per non dover parlare, in alcuna sede pubblica, dell'operazione EXPO in questi termini.

La desertificazione del tessuto sociale urbano

La rinuncia al governo del territorio

Perequazione, compensazione e incentivazioni

Lo "sviluppo" (di cosa?)

Arriviamo così a ricapitolare i lineamenti della nuova versione della città vetrina, della città funzionale e prestazionale, della città dello sviluppo e del profitto senza limiti e senza freni.

Cit. dal Documento di Piano:

"Per tali ragioni si è deciso di strutturare un percorso in grado di rapportarsi con tempi attuativi differenti: coordinare le trasformazioni in corso ed allineare l’interesse pubblico allo scenario del Piano (accordi di programma in corso o in via di definizione); snellire ogni procedura per un’attuazione più celere degli obiettivi urgenti (opere e trasformazioni in vista di Expo 2015). […] La flessibilità, cioè quello che si è definito mix funzionale libero costituisce l’aspetto qualificante le scelte in merito alle destinazioni d’uso degli immobili della città consolidata, la cui regolazione è affidata al Piano delle Regole [...??]. La scelta della destinazione d’uso è, infatti, liberalizzata e quindi la proprietà può scegliere quale destinazione attribuire ai beni immobili. Una scelta importante per la città di Milano quella del libero mix funzionale, in linea con molte metropoli europee. In questa maniera s’intende favorire il più possibile Milano quale laboratorio privilegiato per la creatività, incentivando tutte quelle forme di terziario propulsivo già così tanto correlate con la cultura Milanese. Basti pensare al mondo del design e della moda su tutto".

Il dato politico fondamentale è quindi l'esplicita rinuncia del PGT, cioè del piano di governo del territorio, a governare per l'appunto il territorio, ovvero l'autocastrazione della politica che attraverso i propri strumenti legislativi definitivamente svuotati delega interamente alla libera razionalità economica la determinazione dello "sviluppo" del territorio; uno "sviluppo" ben lungi dal riguardare la soddisfazione dei bisogni reali, il benessere reale, la protezione e la cura di fasce deboli e dell'ambiente, di spazi sociali e di ciò che è bene comune; la cura vicendevole tra città e cittadino; uno "sviluppo" che non potrà che essere lo sviluppo degli scambi ineguali, lo sviluppo delle remunerazioni dei privati, delle rendite fondiarie e immobiliari.

Lo scambio delle destinazioni d'uso dei territori rende di per sè non prevedibile un piano di trasporti o altri servizi sul territorio. Si tratta quindi di un documento che fa vedere i brillantini dell'immaginario della città attrattiva ridotta a logo, a city marketing, a città della moda in toto, talmente generico da non dire neppure dove verranno reperiti i soldi.

No Pianificazione = No Risorse = No Pubblico significa che viene sacrificato ciò che esce dalla logica della competitività dei privati nella corsa al cannibalismo reciproco, cioè tutto quello che è nell’interesse di chi concretamente vive sul territorio, cioè del "cittadino concreto" che ha bisogno del medico, della scuola, del verde, del tram qui, del welfare. Materialmente, il meccanismo della "perequazione" rivolto a "soggetti astratti", stando alla quale c'è meno verde qui perché ampliano il parco di là, non ci tocca come Soggetti Reali - soggetti reali cui vogliamo rivolgerci per rivendicare un'altra politica del territorio.

Quella che sembra la debolezza del PGT è in effetti la sua forza. Nel sancire l’inesistenza dichiarata di un ruolo di progetto del pubblico, nel concordare col privato tutto a partire dai servizi - neppure si dice più "pubblici" - da gestire in regime di sussidiarietà, nel distribuire in funzione dei "poli attrattivi che finalizzano", il resto rimane deserto, fatta eccezione per il centro cittadino, desertificato dal punto di vista abitativo ma mondo a parte come luogo delle funzioni di eccellenza.

La semplificazione degli urbanisti

Sul fatto che venga spazzata via la logica della pianificazione ci aspettiamo che gli stessi urbanisti abbiano tanto da dire, nella misura in cui divengono meri esecutori dei dettagli mentre viene dimezzata la loro area di competenza come progettisti, ovvero la funzione politico-sociale di creatori degli spazi del vivere urbano.

La perequazione

La stessa "perequazione" è lo strumento per la salvaguardia dei diritti (edificatori, e quindi di reddito), non certo per la pianificazione dei diritti della città pubblica. Di fatto stabilisce una norma che regola una classifica in cui hanno dignità di diritto solo i fattori che producono edificazione; un meccanismo compensatorio nel quale tutti hanno diritti edificatori che - nota bene - si possono scambiare, secondo una pura logica di mercato di compravendita su piazza pubblica di diritti edificatori.

D'altra parte, emerge la difficoltà di attuazione di questo progetto laddove dovesse dimostrarsi prevedibilmente impossibile per tanti proprietari trovare un compratore per i propri diritti di edificazione. Così di fronte alla debolezza di chi vende sarà chi compra ad essere molto più forte ed il mercato di fatto cederà, nella indeterminatezza della allocazione delle risorse sul territorio, tutto quanto al "soggetto forte", mentre il "debole" per potere contrattuale non avrà certezza del diritto. A questo proposito risalta a pagina 179 un passo eccezionale:

Cit. dal Documento di Piano:

"Il problema di maggior rilievo per l'amministrazione risiede nella possibilità, per ogni proprietario di un diritto edificatorio, di trovare un acquirente, e quindi, in altri termini, di essere indennizzato per la mancata valorizzazione del proprio terreno destinato a finzioni collettive".

Quindi, in altri termini, di essere indennizzato per la mancata valorizzazione del proprio terreno destinato a finzioni (sic!, forse funzioni, ah i lapsus rivelatori!) collettive.

Il mix funzionale libero

La definizione di "mix funzionale libero" è assolutamente fantastica, sia nel senso della bellezza artistica, quasi ossimorica della definizione, sia nel senso della irrealizzabilità, essendo chiaro a qualsiasi soggetto che pratica un'azione territoriale che la spinta alla omologazione funzionale è prevalente rispetto alla scelta del mix. Nel cosiddetto mix funzionale certe funzioni non vengono attribuite esplicitamente ma si rimanda al privato. Salta cioè qualsiasi vincolo. Non esiste programmazione per esempio sul piano sociale della tipologia abitativa che si va a costruire o del soggetto che andrà a vivere in certe zone, il che in una prospettiva di densificazione (aumenti in verticale etc) ci porta dritti a parlare chiaramente di ghetti. Abbiamo un processo di gentrificazione, cioè di espulsione radiale dei soggetti a basso reddito. Rispetto ad una analisi sociologica preliminare corrispondente a una mappa di servizi, una mera borsa di compravendita immobiliare produce come risultato "geografico" una vera e propria desertificazione.

L'orizzonte temporale

Il PGT non pensa alla città che già esiste. Non c'è rispetto dell'esistente. Non c'è nessun rispetto per il passato così come non c'è nessuna considerazione di prevedibilità di un orizzonte futuro. Non c’è riuso, non c'è manutenzione, non c'è riciclo della città, non c’è un piano finanziario che possa corrispondervi.

Il principio economico che governa il PGT è quello del puro darwinismo sociale.

Le rinunce sul sistema dei trasporti

Il sistema dei trasporti appare come la parte più evanescente perché più indeterminata. Si fanno però due esplicite rinunce: si rinuncia al ferroviario come potenziamento infrastrutturale; cioè non alle tracce, ai vettori, alle fermate, ma alle infrastrutture. La debolezza maggiore è quella relativa al secondo passante ferroviario, ciò che potrebbe far decollare propriamente il sistema ferroviario. Nell’ambito di queste non-scelte vengono dimenticati i sistemi deboli di mobilità: non si sviluppa nulla che stia sotto il livello dimensionale della automobile, il che ha conseguenze che si possono facilmente immaginare sul piano della sostenibilità ambientale.

Un piano di governo che lascia al mercato la progettazione del territorio non permette di pianificare né governare alcunché Molto significativo è ad esempio il fatto che "l'assetto di rete" non prende in considerazione lo sviluppo dei "sistemi deboli" (bici, pedoni...) in quanto gli scenari sono talmente imprevedibili che potrebbero variare radicalmente in funzione di nuove organizzazioni di spazi urbani. Ed così si è deciso di non progettarli nemmeno, tanto nessuno protesterà. Poche ma chiare parole vengono spese per i grandi progetti viabilistici onerosi, pagati con tagli e privatizzazioni. Su tutti spicca la famosa Gronda Nord e, soprattutto, il megatunnel Linate-Rho; un obbrobrio tanto economico quanto per i disagi che crea alla città, trattandosi della rinuncia a qualsiasi idea che non sia farvi passare centinaia di macchine. Un modello di mobilità ribadito alla faccia dei polmoni dei milanesi: al di là delle belle parole sulla città pubblica il PGT non difende nessun bene comune come il diritto alla salute.

Costi e tagli

Viene scritto, ad ogni modo, quanto "costano" a grandi linee certe "infrastrutture", con l'esplicita ammissione della mancanza di fondi per realizzarle. Vengono indicati 6 miliardi e 108 mila euro in totale di cui sono stati stanziati poco più di due miliardi - "accidentalmente" pari a quelli recuperati dalla legge 133 (la Tremonti dei tagli alla scuola). Si tratta quindi di un conto preventivo vincolante che viene presentato al pubblico per ricollocare risorse inutili come quelle sprecate per l'educazione. Ciò che viene stanziato da una parte è equiparabile a quanto viene tagliato altrove: potrebbe trattarsi di una sfortunatissima coincidenza o di una congiunzione astrale negativa, oppure di una scelta strategica del legislatore.

[tabella omissis]

Edilizia convenzionata (e conveniente)

L'edilizia convenzionata è prevista solo come appendice dell'edilizia normale. Viene infatti detto che il privato che decide di realizzare una parte del volume in edilizia convenzionata (che non è la casa popolare, ma diciamo si configura come "aiutino") riceve un "compenso" in termini di aumento di volumetria edificabile in più rispetto a quella già prevista dal piano! Realizzare abitazioni in edilizia convenzionata al fine di procurarsi nuova volumetria, molto più redditizia (cioè con margini molto diversi): ecco apparire un'intenzione "etica" deformata in un volto mostruoso.

Lo spazio sociale coincide con lo spazio commerciale

Esempi di ridefinizioni linguistiche

Precarizzazione del territorio

D'altra parte, nella mente perversa del regolatore lo spazio sociale è contemplato solo come arena di scambio e consumo, come spazio commerciale. C'è creatività linguistica. Ci sono le curiose ridefinizioni del verde in verde fruito, dei parchi come arredi urbani di superfici per altro già esistenti, dei "raggi verdi", delle "strade-parco"; ma ci sono anche le shopping-strips come luoghi di "aggregazione". Si veda ad esempio il "boulevard" di Buenos Aires-Padova(!) o la "rambla" di Sempione ricondotti a pura funzione commerciale. Siamo all'eterogenesi, se non dei fini, almeno delle parole? La rambla (in qualche modo anche il boulevard) sono per antonomasia luoghi dove si passeggia per passeggiare, dove si cammina per camminare, dove si perde tempo senza l'obbligo di comprare o vendere alcunché Ma la "valorizzazione" del territorio non ammette perdite di tempo; il nostro legislatore non riesce a pensare ad uno spazio pubblico dove non ci sono negozi. La razionalizzazione economica trasforma il verde in aiuola logistica, in erba di consumo: vero fumo linguistico. Prendiamo viale Certosa: ora potrebbe essere definito zona verde il tratto in cui passa il tram. Ma se lo ripavimentiamo, magari lo facciamo anche "più carino", con due vasi, et voilà: il "raggio verde". Ora nella "mappatura dei pieni e dei vuoti" questo viene chiamato "pieno". Quest'operazione geniale viene in conclusione nominata come "diminuzione dello sfruttamento dei suoli"! La "riqualificazione linguistica" non è una semplice presa in giro.

Scompaiono i bambini

Il soggetto astratto, che percorre il deserto tra casa e azienda, tra azienda e shopping-strips, il consumatore modello cui si rivolge questo PGT non contempla l'esistenza di soggetti marginali che faticano ad essere inglobati in questa logica: nel PGT non esistono i bambini. Come se a Milano non ci fossero bambini, che vanno a scuola, che giocano, che devono imparare a vivere la città e ad esplorare un territorio per diventare autonomi. Piste ciclabili intorno alle scuole? No, grazie. Zone protette intorno alle scuole d'infanzia? No, grazie. Servizi dedicati (biblioteche, etc)? No, grazie. Forse un giro panoramico a Lione, Madrid o Monaco potrebbe essere illuminante per i nostri legislatori?

Scompare l'industria

Procedendo per sottrazioni materiali, dal PGT risulta scomparsa l'industria. Sembra incredibile ma la INNSE - per dirne una a caso - diventa una tipologia non catalogata. Non ci sono operai: c'è solo un terziario avanzatissimo, talmente avanzato che è scappato in avanti e si è perso trovandosi in piena crisi. Mentre sta collassando la dimensione del lavoro, quel sistema del lavoro in cui siamo vissuti per almeno 15 anni, viene sgretolato il sistema di servizi e infrastrutture che ha sorretto quella dimensione perfino alle condizioni minime di sopravvivenza.

La precarizzazione del territorio è evidente sotto tutti gli aspetti: rispetto alla prevedibilità, al suo orizzonte temporale di riproduzione, rispetto a spazi, tempi, spostamenti, al suo percorrimento, rispetto alla sua abitabilità, rispetto allo stesso avvelenamento ambientale. Chi sta facendo dentro questo iter legislativo un ragionamento serio sulla distruzione del sistema idrogeologico dalle Alpi al pedemontano? Chi sta considerando il rapporto tra inquinamento e malattie? La precarizzazione del lavoro e quella del territorio si rispecchiano e condizionano a vicenda come parte di un medesimo fenomeno di disgregazione sociale.

Una storia distorta dal legislatore è proprio quella dell'autorganizzazione della città come sistema che si costituisce nel tempo dal continuo sovrapporsi di serie storiche agenti sulle strutture (case, vie o piazze), attraversate dalle relazioni e dalle dinamiche sociali di soggetti (soggetti, non immobiliaristi) che proprio interagendo disegnano il tessuto vivente e vissuto dell'urbe. La città si impone sulla dispersione della campagna anche perché formata da quest'incontro, perché soggetti sviluppano reti e connessioni impossibili da riprodurre artificialmente. La città del PGT è invece quella recintata da alcuni poteri contrattuali determinanti che "approfittano" di strumenti di neutralizzazione come la "perequazione" ingabbiando soggetti deboli disaggregati, controllati nell'impossibilità di creare quelle dinamiche di autorganizzazione e autodeterminazione che servono alla città per emergere come tale. La scomposizione in Ambiti di Trasformazione Urbana, Periurbana e di Interesse Pubblico Generale non sono altro che una somma di progetti (vaghi) su aree ben definite, senza un approccio di sistema che parli al sistema delle relazioni tra persone anziché tra immobiliaristi.

Quello che è successo all'Aquila è esattamente questo: non permettere l'autonomia dei soggetti, e lavorare invece su un controllo stretto e su schemi preordinati.

La scelta non è tra dirigismo e liberismo come cavallo di battaglia ideologico: si può scegliere di lasciare liberi gli immobiliaristi e ingabbiare i cittadini, oppure si può scegliere di liberare i cittadini e regolare gli immobiliaristi. Da qualche parte bisogna "sottrarre" e appare evidente la scelta del legislatore.

La città del profitto e del controllo

In questo senso, Milano sembra incarnare il laboratorio italiano che più tende ad avvicinarsi ai modelli mondiali di "città del capitale globale" e di "metropoli totale". Nel suo piccolo, una New York o una Los Angeles nostrana, che cerca di riprodurre i loro aspetti repressivi e disciplinari. Una città del profitto e del controllo, per l'appunto. Controllo e autocontrollo a monte sui corpi e sulle scelte delle persone, sui comportamenti e sui termini della comunicazione, sul tempo di lavoro, sui tempi di vita e sulle relazioni sociali. Con i ricatti economici e morali, la flessibilizzazione e la precarizzazione selvagge del lavoro e della vita, un governo ferreo delle reti produttive e comunicative, la disinformazione emergenzialista, l’invasività tecnologica e, quando serve, una repressione disciplinare classica, fatta di polizia e galera.

Dentro questa "sottrazione", non c'è da stupirsi che in questa città avanzino da più parti ondate politiche e culturali di discriminazione, di epurazione di ogni persona considerata diversa dai modelli conformi al pensiero unico del moderno ed elitario capitalismo globale. Si possono ritagliare arbitrariamente gruppi di ogni genere da escludere e tutto ciò può avere molte definizioni: Fascismo, differenzialismo, razzismo, xenofobia, ecc.; con un obiettivo ricorrente: il controllo delle classi dominanti sulle subalterne che alimenta odi, paure, avversione e rifiuto, in un conflitto permanente fra poveri e sfruttati che li mantenga tali e separati.

Quest'istituzione totale è il volto reale dell'ideologica libertà della deregolazione. Nella sottrazione dell'esistente scompare tutto il territorio come sedimentazione della storia, del lavoro, della cultura e dei cicli della natura. Rimane un arcipelago anonimo di cose, una rete di assi e poli logistici e corridoi di smistamento; un supporto inerte da occupare o edificare, una piattaforma neutrale per l'ingombro, lo stoccaggio, lo smistamento; ricettacolo di margini di profitto a monte e deposito di rifiuti a valle.

Dietro gli apparati di questo sistema, dietro le leggi e le procedure che sostengono e concretizzano la sua essenza autoritaria e produttiva, Milano "cresce" sul piano urbanistico riconsegnando territori e volumi nelle mani della speculazione finanziaria, dell'immobiliarismo e del commercio, mentre si trasforma sempre di più in una macchina sociale che stravolge definitivamente assetti sociali e vivibilità. In sinergia con le altre istituzioni locali (Regione e Provincia) il governo metropolitano rimodula, definisce e consolida privatizzazioni di sanità, servizi, infrastrutture e reti di modernizzazione, secondo criteri di mercato, di profitto e di controllo sul territorio, sulle dinamiche sociali e sui suoi stessi abitanti. La vita sempre più frenetica, caotica e irrespirabile ne fa un luogo di sfruttamento totale, dove tempo di lavoro e tempo di non lavoro si sovrappongono e si compenetrano irreversibilmente. Una ristrutturazione e una trasformazione iniziate molti anni fa, giunte ormai ad un punto avanzato e soffocante che bisogna cercare di fermare ed invertire. E per tentare di modificare il processo di mutazione, apparentemente irreversibile, di questa città, bisogna comprendere i meccanismi della macchina sociale in atto e i modi per incepparla e fermarla.

La necessità di un approccio sistemico

I fattori reali che costituiscono nel loro sistema di relazioni il territorio reale sono connessi in modo che una modifica in un punto condiziona la modifica di tutti gli altri. Favorire un polo di attrazione periferico con un centro commerciale produce congestione del traffico, quindi richiede la formazione di nuove strade, parcheggi etc; al tempo stesso, stimola l’apertura di altre valvole commerciali.

E se il territorio è un sistema, anche le azioni che lo trasformano devono essere viste in modo sistemico per mantenerne la coerenza nel tempo - come per fronteggiare i dissesti delle catastrofi "naturali". In questo senso l’uso del territorio e le sue trasformazioni devono essere governate nel loro insieme attraverso un approccio sistemico. E non c'è un metodo moderno ed efficiente da inventare per governare sistematicamente: c'è già, ed è propriamente quello della pianificazione territoriale e urbanistica.

Sovrapposizione tra PGT ed Expo 2015

Emerge una continuità logica tra Concept Masterplan della città dell'Expo e Documento di Piano del PGT. Seguendo fin dai primi stentati passi la tragica operazione Expo - che fissa a modo suo e fuor di retorica una scadenza precisa per il territorio - la Rete No Expo ha descritto questo logo, questo strumento di marketing, come motore del mercato immobiliare, come catalizzatore di certi interventi infrastrutturali, come drenaggio di ricchezza dal pubblico al privato - tolto il fumo del tema espositivo.

Alla luce delle analisi del PGT emerge come i due strumenti siano sfacciatamente sovrapponibili al punto che l'uno sembra la traduzione dell'altro nel senso che il PGT svuotato è per l'appunto ciò che spiana la via all'assalto alla diligenza per lo scoccare dell'ora fatale del 2015.

Nessuno scenario successivo al 2015 viene per altro contemplato.

Il Concept Masterplan di Expo

A settembre 2009, con la presentazione del Concept Masterplan (tipico documento evanescente di indirizzo di tre paginette), l’operazione Expo è entrata nella fase pre-esecutiva, sempre che crisi e scarsità di soldi non facciano saltare del tutto “il grande evento salvifico”. La rinuncia a padiglioni, torri e l’utilizzo parziale dei padiglioni fieristici di Rho costituiscono sicuramente una vittoria parziale per chi ha contrastato da subito Expo, ma non spostano il problema. Non è la realizzazione di un Expo "diffuso", "sostenibile", magari "bello", o "rosso", a cambiare i termini del problema. Neppure il Concept Masterplan dice nulla rispetto agli accordi con i proprietari dell’area del sito Expo (Fiera e Cabassi) ed è in tal senso complementare al PGT perché passa la palla ad altri tavoli, sicuramente non pubblici, per definire progetti e soddisfare i diversi interessi in gioco (Euromilano, Fiera, Banche, Ligresti, Compagnia delle Opere). Nel vuoto del Masterplan, che rispetto al dossier di candidatura si limita a parlare del sito Expo e delle opere “di facciata”, brillano perle di fanta-urbanistica come le vie d’acqua (20 km di canali tra la Darsena e Rho, ripresi infatti dal PGT, costosi e inutili) o reiterati progetti come quello di Boeri sullo sfruttamento delle cascine per attività ricettive - aree che vengono definite vuote mentre in realtà comprendono 70 cascine vive, attive, come Torchiera, o Monluè fino all'anno scorso, dove ci sono contadini e attività agricole, o dove vivono rom. Cascine che subiranno l’impatto delle grandi opere tangenziali e autostradali che il Masterplan ribadisce (laddove invece fa sparire una linea metropolitana, alla faccia della sostenibilità) e che non possono sicuramente convivere con l’agricoltura periurbana che i promotori di Expo vorrebbero rivalutare. Si scrive nel Masterplan che mancano i soldi, ma non si rinuncia a investire su opere "pubbliche" destinate solo a servire Fiera ed Expo, mentre il trasporto pubblico locale collassa. Si lascia intendere di volare alto con visioni di tavoli, orti, uccellini e fiori profumati per nascondere la realtà di un Expo che, come il PGT, è funzionale ai privati, ai costruttori, per definire gli interventi concreti. Come fa Euromilano, ossia Legacoop e Banca Intesa, per l’area del villaggio Expo a Cascina Merlata, con residenze, alberghi, parcheggi pullman, zone commerciali: una città nella città. E i servizi? E le connessioni sociali con il territorio circostante? Ad Aprile 2010, il Masterplan diventerà il piano definitivo di Expo 2015, ma nel frattempo, sul territorio, cantieri, alberghi e richieste edilizie su aree vanno avanti come se i proprietari sapessero già cosa Masterplan e PGT consentiranno. Alla faccia di chi crede alla svolta ambientalista del PGT e ad una Moratti buona contro un cattivo Ligresti palazzinaro.

Fermare il PGT!

Così come l'unica exit strategy per salvare la città, il territorio e quel poco di pubblico che rimane è l'uscita dall'operazione Expo, parimenti la prima conclusione che si impone come proposta urgente a partire dalle presenti analisi è: fermare il PGT!

Come si è visto dal metodo, questo PGT è scritto dai soggetti a cui si rivolge: privati, proprietari di terreni e immobili, costruttori che determineranno gli assetti futuri del territorio all'interno delle logiche di mercato. Senza vincoli, liberi di "approfittarsi" delle risorse.

E non parliamo per forza del privato delinquenziale che già spadroneggia (come da recenti inchieste) ma anche del miglior privato possibile senza soluzione di continuità, essendo racchiuso questo destino nel gioco stesso dei poteri contrattuali svincolati. Alla precarizzazione del lavoro si affianca quella del territorio e dei servizi, l'aumento delle relative tariffe e la diminuzione della loro qualità e sicurezza seguendo il contenimento dei costi, infine l'aumento di consumo di suolo e l'edificabilità selvaggia come ultima spiaggia.

E' un PGT che rispecchia il volto degli agenti economici che lo scrivono. Così tutta la partita del territorio riguarda la democrazia: chi decide? E la prima alternativa a questo modello di città desertificata è una città; e la prima alternativa a questo PGT è un PGT, una politica del territorio con un approccio sistemico alle persone, un PGT deciso da qualcun altro, cioè da tutti gli altri, dalle persone, dai Soggetti Reali. E la prima urgenza è fermare questo PGT.

PROPOSTE ALTERNATIVE PER UN’ALTRA CITTÀ POSSIBILE

In conclusione, vogliamo soltanto accennare qui a quali potrebbero essere i tratti di un'altra città possibile, una città possibile partendo proprio da ciò che viene sottratto da questo documento di non governo del territorio.

Un’altra città significa un altro modo di viverla e di trasformarla, calibrando il tutto con e per le donne e gli uomini che la vivono, la abitano e la attraversano quotidianamente.

Un’altra città è caratterizzata da una dimensione democratica intesa come partecipazione diretta e solidale nella gestione del patrimonio comune, delle risorse e della vita collettiva.

Un’altra città deve contrapporre al PGT un Progetto, collettivo e orizzontale, di Autogoverno dei Territori che la compongono.

Un progetto che veda emergere dentro la macchina del PGT, che sta scaldando i motori e sta tessendo la rete del profitto speculativo e del disciplinamento sociale, una forza sociale che possa fermarla costruendo una dimensione metropolitana alternativa di lotta e di socialità.

La città della solidarietà

- dei diritti e della libera circolazione

- dell’accoglienza e della cittadinanza

- delle culture e della loro autodeterminazione comunicante

La città del welfare metropolitano

- del diritto al reddito diretto e indiretto

- dei servizi sociali pubblici, gratuiti e di qualità

- del diritto alla casa e all’abitare dignitoso e sufficiente

La città dei saperi autogestiti

- della salvaguardia della scuola pubblica

- della libera creatività e della sua libera diffusione

- dell’autoproduzione culturale e artistica

La città della qualità ambientale

- dello stop al consumo speculativo di suolo

- del diritto alla mobilità per tutti contro traffico e inquinamento

- dell’aumento del verde pubblico e dei parchi

La città del conflitto

- del protagonismo politico e sociale dei soggetti, individuali e collettivi, che la abitano, la vivono e la attraversano quotidianamente

- dell’autodeterminazione dal basso delle scelte e dei progetti

- delle lotte autorganizzate e delle vertenze territoriali e metropolitane

La città delle reti di lotta e autogoverno territoriale

- delle reti politiche e sociali di confronto e di lotta a partire dai bisogni e dai diritti negati

- delle reti territoriali e metropolitane di solidarietà e di vertenzialità

- delle reti dell’autogestione, dell’autorganizzazione e dell’autoproduzione culturale

[Appendici omissis]

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg