Sono passati oltre vent’anni dalla creazione del parco regionale dell’Appia Antica, fortissimamente voluto da Antonio Cederna e previsto fin dal Piano regolatore del 1962. Circa 3.500 ettari di verde ricco di archeologia attorno alla «regina delle strade» romane sono sotto tutela, dal territorio di Marino fino alle Mura Aureliane. Anni fa la giunta regionale aggiunse altri 1.500 ettari, ma il consiglio non ne ha mai discusso. Il parco ha 45 dipendenti, tra cui una dozzina di sorveglianti, e un bilancio francescano. Valeva la pena istituire questa riserva urbana? Adriano La Regina, l'ex sovrintendente archeologico che ha tutelato Roma per un trentennio, è a capo del parco e dice che sì, «ne è valsa la pena». È stato evitato lo scempio attuato in ogni altra parte periferica della città, sono al sicuro preziose aree verdi seminate di importanti testimonianze del passato. Sono stati perfino creati nuovi spazi per la fruizione pubblica, tenuto conto che i terreni del parco sono in massima parte privati.
Ma cosa c’è che non va, allora? La Regina non riesce a vedere negli amministratori locali l’impegno che meriterebbe un vero e proprio bacino culturale mondiale com’è il parco. L’area è attraversata da un intenso traffico come se non fosse «speciale», non c’è neppure una Ztl. Le violazioni ai vincoli spesso non vengono sanzionate, i soldi arrivano col contagocce. Il parco è vissuto come una semplice area protetta, da difendere. Ma non da valorizzare con un impegno corale, di tutte le amministrazioni. Insomma, «sembra che basti che ci sia, ma non c’è l’intenzione di farlo fiorire facendolo diventare un esempio per tutto il mondo. Forse — dice mesto La Regina — non ci si rende conto di cosa rappresenta in termini culturali ».
Negli anni in cui «valorizzare» un bene pubblico significa solo metterlo a reddito, si capisce la distrazione e il disinteresse generale per la «fioritura» di un parco che difficilmente può fare cassa per superare le spese. Il valore del parco dell’Appia Antica è incommensurabile e non passa attraverso i ticket che si potrebbero vendere. Perché dunque non «valorizzarlo» come si deve, con un grande progetto che chiami a raccolta politica, amministrazioni, cultura, finanza. Ma per carità, un progetto onlus. Niente equivoci.