Un candidato sindaco di un paesino dell’isola, vista mare, ha affermato in campagna elettorale che lui, se lo avessero eletto, avrebbe antropizzato gli uffici del comune e l’intera giunta. E ha spiegato, per gli elettori meno istruiti, che antropizzare, secondo lui, significava “umanizzare”. E così, siccome esiste un po’ di giustizia, si è giocato l’elezione e non antropizzerà mai un bel nulla salvo, forse, sé stesso.
Antropizzare significa lasciare il segno dell’uomo sul Creato. Fatto sta, però che, a causa degli urbanisti i quali fanno un uso sfrenato di questa parola, il verbo antropizzare si sta diffondendo e assume significati molteplici, alle volte inventati come nel caso del candidato sindaco antropomorfico. E qualche raffinato parla di impatto antropico oppure di forza antropica o di energia antropica ecc.ecc.
Anche nell’isola si antropizza l’antropizzabile.
Un bell’esempio è costituito dalla giunta antropica di Narbolia che per antropizzare intende, con ossessiva costanza che dura anni, costruire qualsiasi cosa oppure distruggere qualsiasi cosa. Tanto, sempre antropizzazione è.
Guardate cosa vogliono fare della costa di Santa Caterina di Pittinurri. Alberghi per i golfisti che accorrono affascinati dalle diciotto buche del campo di Is Arenas. Il responsabile della srl Is Arenas, dice che con le diciotto buche si richiamano dodicimila vacanzieri l’anno, la bellezza di settecento turisti per buca, tutti di prima scelta, i quali verrebbero qua per le buche e il mare accuratamente antropizzato. I turisti non vanno, per una loro regola, in posti poco antropizzati e più buche e alberghi trovano, più numerosi là si affollano. Così l’srl Is Arenas antropizza una pineta immensa, considera una procedura europea di infrazione come un “fastidio” antiantropico e vuole antropizzare sempre di più, ossia usurpare con i mattoni un luogo perfetto ma senza difesa dagli affaristi d’oltremare e dai camerlenghi locali. La stessa stoffa antropologica dei camerlenghi che avevano già servito, anni fa, i “filosofi” dell’industria nell’isola i quali hanno condannato un’intera generazione all’incertezza del lavoro, alla sofferenza di uno stipendio sfuggente come un’apparizione. Anche quei sapienti antropizzavano l’isola, e i loro maggiordomi li definivano filantropici.
Così oggi abbiamo un’industria che deturpa il golfo detto degli Angeli, antropizzati, ciminiere spente e licenziamenti dappertutto. E cercando nuova ricchezza dissipiamo in un attimo – curvi davanti alla prima srl che arriva – il tesoro enorme dell’intatto che ancora ci resta.
Che delicatezza nel verbo antropizzare. Si evita, con una parola, di usare sinonimi duri, poco eleganti come, ad esempio, distruggere, speculare, arricchirsi in pochi, dissipare il patrimonio naturale che possediamo. Un intero dizionario sgradevole riunito in un solo vocabolo elegante e snello che dice tutto.
L’isola, dal capo di sopra sino a quello di sotto, si antropizza e si conduce da sola al patibolo, contenta di stringersi il cappio da sola.
Narbolia è uno dei comuni che sarebbe ricco se solo si fermasse a riflettere. L’srl Is Arenas vuole costruire sulle sue coste, dove non si deve. Tutto qua è il succo. L’srl Is Arenas vuole antropizzare le coste di Narbolia. Non comprende, il sindaco di quel comune, che l’unico patrimonio in suo possesso, l’unico vero valore economico durevole, l’unico diamante di famiglia non può essere svenduto in un folle saldo. E’ chiaro: se conserva il paesaggio intatto, come per i diamanti, il valore risiederà tutto nella sua purezza e aumenterà.
Ma non c’è nessuna speranza.
Ad Oristano il temerario consiglio comunale ha detto sì ad una struttura turistica che si chiama spiritosamente “Su mattoni”. Ora, chiamare un’opera architettonica “su mattoni” è, almeno, un segno di franchezza. Spiega qual è l’orientamento vero della giunta il cui ago magnetico è rivolto in una sola direzione: cemento per tutti. E’ bastata una variante goliardica al Puc ( che ci vuole? ) e ora si costruiranno 500 posti letto, campi da gioco, una cosiddetta area spettacoli. Beh, si può già immaginare quanto sarà bello “Su mattoni”. Non c’è valium o alcol che lo renderanno sopportabile. Non ce lo invidierà neppure il più disperato degli uomini. La trasformazione dell’isola in una Rimini dei poveri è un segno raccapricciante di un declino dei costumi e, soprattutto è un impoverimento definitivo e irreversibile.
Chi è stufo di Rimini viene nell’isola perché gli hanno detto che ci sono acque terse e spiagge intatte. Viene e cosa trova? Un luogo che si chiama “Su Mattoni”. Un luogo antropizzato dalla giunta umoristica di Oristano che vorrà antropizzare anche il Sinis perché così è solo un deserto senza case e senza mattoni. E poi, questo Sinis, produce troppo poco e potrebbe dare molto di più che quattro uccelli, stagni con zanzare e qualche muggine.
Ogni sconcezza verrà definita come un segno di antropizzazione e la raffinata parola farà fare una bella figura al sindaco che la pronuncia. E’ una parola da tenere d’occhio. Hanno antropizzato il Poetto, Villasimius, Chia, la Gallura intera, la Costa Verde, monti e lagune, isole e arcipelaghi. Antropizzano tutto quello che trovano.
Per antropizzarci completamente ci manca di antropizzare l’amore che è ancora troppo naturale, troppo lasciato al caso: bisogna umanizzarlo, organizzarlo e renderlo fruttuoso. Bisogna investire sull’amore, è necessario un amore efficace e antropizzato, appunto. Ma siamo già sulla buona strada e chi ben inizia, si sa, è a metà dell’opera. Tra poco, questione di mesi, qualche giunta proporrà un villaggio color confetto dedicato al turismo sessuale che colpevolmente curiamo troppo poco ed è ancora rudimentale dalle nostre parti. E chissà come questo luogo di svago verrà battezzato. Migliaia di posti letto con letti di ogni tipo e a meno di due chilometri dalla costa.
Così nell’isola, già antropologicamente prostituita da anni, si concluderebbe il processo sottile dell’antropizzazione totale. Se porta turisti va bene anche il turismo sessuale. Tanto, chi ha dato via la propria terra e la propria memoria può dare via anche tutto il resto. Purché ci antropizziamo in fretta e la facciamo finita.
Articolo pubblicato da la Nuova Sardegna domenica 17 luglio 2005