Nell’eddytoriale del 7 giugno proponi un’attualizzazione dell’Antigone e del suo conflitto. Te ne propongo un’altra, che mi viene in mente quando penso al conflitto tra Oriente e Occidente che ha invaso i nostri giorni. (Il bello dell'ermeneutica sui classici antichi è che gli autori non protestano mai; e così, dopo Hegel, Kierkegaard, Hoelderlin, Heidegger, Lacan e Derrida, anch'io sull'Antigone).
Tutti i filoni interpretativi hanno un tratto comune: giocano sull' antinomia Creonte / Antigone. Così Creonte è il nomos, la polis, la cultura, l'ordine logico apollineo, mentre Antigone è il ghenos, la natura, il dionisiaco.
Allora continuiamo e veniamo ai nostri giorni: Creonte è l'Occidente che cerca di ridurre a norma, di dettare delle regole (l'isonomia come sola garanzia contro il disordine del caos primigenio) alle forze ctonie (per questo femminili...), orientali. Creonte siamo noi europei, adesso, e com'esso cerchiamo di contrapporci a forze che riteniamo retrograde e irrimediabilmente "incivili". Antigone sono gli altri, l'elemento selvaggio orientale, che comporta, fra l'altro il disprezzo della vita, la morale che si pone prima e davanti alla politica.
E' stato detto che Antigone è anche tragedia del linguaggio: fra Antigone e Creonte non c'è alcuna comunicazione reale: nessuno ascolta le ragioni dell'altro. Falliti i tentativi di mediazione (Emone, Tiresia, gli anziani del coro), l'esito finale è irrevocabilmente determinato: lutti e rovine...una tragedia... greca, appunto.
"Un classico è tale perchè non finisce mai di dirci quello che ha da dire" (Italo Calvino).