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Barbara Spinelli
Angela Merkel una borghese piccola piccola
4 Luglio 2010
Articoli del 2010
Anche in Germania “la partitocrazia e il pensiero corto” hanno il sopravvento; ma da noi è ancora peggio. La Stampa, 4 luglio 2010

Joachim Gauck era l’uomo del momento giusto, per la successione di Horst Köhler alla presidenza della Repubblica in Germania. Per aver conosciuto la paura quando era un pastore dissidente nella Germania comunista, sapeva quel che significa pensare con la propria testa, resistere, imboccare la stretta via della solitudine. Assieme a Havel, Gauck è uno dei rari dissidenti che non solo ha combattuto il totalitarismo comunista ma ha saputo guardare dentro se stesso, e intuire quello che può fare, di ogni uomo, un conformista o un ideologo, a seconda delle necessità e delle circostanze. Per dieci anni, fra il 1990 e il 2000, aveva diretto un’istituzione essenziale per la riunificazione tedesca e la rinascita della democrazia in Germania Est: l’autorità che archivia e mette a disposizione del pubblico gli atti della Stasi (servizi di sicurezza e spionaggio dell’Est). Ho conosciuto Gauck personalmente, prima e dopo l’89, e non lo ricordo alla ricerca di facili consensi. La tempesta della Ddr lo aveva fatto crescere, la più complessa tempesta della democrazia non l’aveva rovinato. Ambedue gli hanno dato speciali antenne, e uno speciale senso dell’umorismo. Nella breve campagna presidenziale parlava molto della crisi economica, e della paura che tornava ad affliggere gli animi («Sì, là fuori c’è da aver paura!»). Ed evocava l’insurrezione che nell’89 aveva infranto a Berlino muri e paure («Anche i tedeschi sono dunque capaci di far rivoluzioni!»).

Probabilmente sono questi i motivi per cui i tedeschi, se avessero potuto eleggere direttamente il capo dello Stato, lo avrebbero senza esitazione votato in massa. La Germania, capace di forza inaudita ma non di rivoluzioni, aveva un nuovo simbolo. Anche la stampa lo favoriva, anche i presidenti che più hanno lasciato tracce di sé, come Richard von Weizsäcker e Roman Herzog, avevano chiesto che sul nome di Gauck si formasse una vasta maggioranza, e che comunque i deputati votassero in piena libertà, senza badare alle discipline di apparati e schieramenti.

È strano come la partitocrazia e il pensiero corto abbiano infine avuto il sopravvento, lasciando cadere una personalità come Gauck e aprendo la strada alla nomina di un uomo certo onesto ma non eccezionale come Christian Wulff, ex presidente democristiano della Bassa Sassonia. È strano come sia stata un’altra cittadina dell’Est, Angela Merkel, a incaponirsi e battersi perché venisse affossato il candidato più apprezzato dai tedeschi e dalle loro teste pensanti. Ancor più strano è l’ignominioso connubio che si è creato, al momento del voto in Parlamento, fra il Cancelliere e la Linke, la formazione che raggruppa i fuoriusciti socialdemocratici di Lafontaine e l’ex partito comunista dell’Est. Un connubio non nuovo nella storia, che l’Italia dei governi Prodi ha conosciuto bene.

Solo in apparenza tuttavia l’affossamento di Gauck è una storia di stranezze e anomalie. Sono decenni che l’Europa non riesce a selezionare personaggi di spicco, e questa paralisi dell’immaginazione ha, almeno in Germania, radici al tempo stesso molto antiche e molto tedesche. Da un lato è il fastidio suscitato in ogni potente da personalità troppo forti, che non rientrano nei parametri partitici e sono una minaccia per lo status quo e i discorsi dominanti: in linguaggio moderno, non s’iscrivono del tutto né a destra né a sinistra. Appartengono non ai partiti, ma alle grandi occasioni. Nel quinto libro delle sue Storie, Erodoto sintetizza in una metafora l’arte di governo che il tiranno di Mileto, Trasibulo, insegna al giovane tiranno di Corinto: fai come se ti trovassi in un campo di grano - dice - taglia le spighe troppo alte!

Ma è anche una storia tedesca quella che abbiamo davanti, e per esser precisi una storia tedesco orientale. Difficile dire chi sia stato più stupido, ottuso, miope: se Angela Merkel o la Linke, che fino all’ultimo si è rifiutata di spostare il proprio voto su Gauck. Fatto sta che entrambi gli attori sono eredi della vecchia Germania comunista: un Paese che non ha avuto la possibilità di mutare e ripensare la propria storia, dopo la caduta del nazismo; che ha mantenuto e congelato il vecchio rapporto tedesco con l’autorità. In particolare, ha preservato quella meschinità pedante e filistea che opportunisticamente cerca rifugio in un suo nido protetto, pur di non correre pericoli personali e non osare il coraggio e l’isolamento. È lo spirito piccolo borghese che i tedeschi attribuiscono allo Spiesser: lo Spiesser non osa mai nulla d’ardito ma per convenienza si adatta, non cerca la verità ma si contenta di bugie, di frasi fatte, se necessario di dogmi indiscussi. Per parlare con Gauck, può divenire al tempo stesso un conformista e un ideologo, per paura o tornaconto.

La Merkel non ha una vita di dissidente alle spalle, e lo si vede. Il suo respiro e il suo sguardo sono corti e il raggio dei suoi interessi breve e egocentrico. Il momento che traversa è pieno di imprevisti precipizi, e rifugiarsi nel nido è la cosa che preferisce, se mantenere il potere è a questo prezzo. Meglio occuparsi di elezioni locali, piuttosto che pensare responsabilmente alla Grecia e al destino dell’Europa e dell’euro. Meglio far fuori un possibile concorrente come Wulff e promuoverlo a capo dello Stato, piuttosto che dare alla Germania un grande presidente. Meglio correre in Sudafrica e godere della vittoria tedesca ai quarti di finale, piuttosto che correre per una bella vittoria nel mestiere politico che è il suo. Lo Spiesser non pensa mai in grande, ma sempre in piccolissimo. Tina Hildebrandt e Elisabeth Niejahr sulla Zeit scrivono che la Merkel è incapace sia di imboccare la strada del coraggio sia di imboccare la strada della paura: l'unica cosa che sa fare è non imboccare strada alcuna. Günter Bannas sulla Frankfurter Allgemeine scrive che la Merkel segue il vento, non avendo una propria consistenza: «L’euro non sarebbe mai nato, se fosse stata lei cancelliere negli anni di Kohl. Mai avrebbe avuto il coraggio, che ebbe Gerhard Schröder nel suo partito, di imporre la riforma dello stato sociale e del diritto del lavoro che va sotto il nome di Agenda 2010».

Eppure la Merkel avrebbe trionfato, se avesse avuto un po’ d’immaginazione e non si fosse annidata nelle sue sparagnine aritmetiche di potere. È vero, erano stati i socialdemocratici e i Verdi a proporre la candidatura Gauck, aggiudicandosi per primi la mossa migliore e più inventiva. Ma Gauck è uomo difficilmente classificabile, e la Merkel avrebbe potuto metterci sopra il suo stampiglio, trasformando l’ex dissidente in un figlio dell’era Kohl: figlio riottoso, perché incontrollabile quando Kohl cadde in disgrazia, ma pur sempre figlio. La Merkel sarebbe divenuta di nuovo popolare, e avrebbe acquisito un’indipendenza verso il partito che ora, dopo la faticosa elezione di Wulff, ha finito col perdere. Ha scelto l’apparato contro il bene comune, la partitocrazia contro il parere di gran parte dell’opinione pubblica. Anche in questo è stata spiessig.

L’Europa barcollante ha oggi una persona così, alla propria testa. Ha una Germania che economicamente si trova a esser guida dell’Unione, ma che politicamente non sa pensare che in piccolo, assediata da conformismi e da calcoli avari. In realtà sono molti oggi i piccoli personaggi, in Europa. Le spighe più alte non mancano (l’ex premier belga Guy Verhofstadt, il tedesco Cohn-Bendit) ma la preoccupazione dei potenti è di reciderle se solo oltrepassano un poco la media. Quanto alla sinistra tedesca, la sua strada si fa impervia. Assieme ai Verdi, i socialdemocratici hanno dato prova di grandezza e fantasia, proponendo un personaggio per loro non comodo come Gauck. Ma l’alleanza con le sinistre postcomuniste, e con la loro radicale stupidità, diventa sempre più difficile ed è un regalo del tutto immeritato ai democristiani e alle destre.

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