«il manifesto, 7 settembre 2017
STUPRI, TORTURE, SCHIAVISMO:
DENUNCIA-SHOCK SULLA LIBIA
di Michele Gonnella
«Stati d'accusa. La presidente internazionale dell’ong Msf Liu: «L’Italia e l’Europa vogliono essere complici»
«Quello che ho visto in Libia è l’incarnazione della crudeltà umana al suo estremo». Joanne Liu, presidente internazionale di Medici senza Frontiere, strappa il velo dell’ipocrisia, della realpolitik del ministro Marco Minniti, invocata come panacea da prestigiosi commentatori e fini analisti, sui respingimenti in Libia ad opera dei libici ma con il valido contributo, di soldi e di retorica, dell’Italia e dell’Europa. Lei lo chiama «ultra cinismo».
Ma sono le immagini e le storie che racconta di uomini e donne stipati e massacrati nei lager libici, picchiati, schiavizzati, torturati «per il solo crimine di desiderare una vita migliore» – la delegazione di Msf è appena tornata dalla Libia dove ha visitato i centri di detenzione ufficiali, proprio quelli finanziati dall’Italia con il plauso europeo – «storie che mi tormenteranno per anni», dice Liu, più della lettera-appello indirizzata da Msf al primo ministro italiano Paolo Gentiloni e agli altri leader europei, che non riescono più a nascondere la realtà.
Tripoli, donne profughe nelcentro di detenzione dopo la cattura
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Ciò che la canadese Joanne Liu chiama con parole prive di equivoci: «complicità» con i criminali, cioè con «un modello di business che trae profitto dalla disperazione». Parole che, paradossalmente, hanno provocato commenti stizziti o minacciosi a difesa del governo soprattutto dall’opposizione di destra, da Calderoli a Romani. Nella conferenza stampa di ieri a Bruxelles – e nel video-messaggio diffuso sui social dall’Ong che non ha firmato il codice Minniti – c’è la spiegazione, documentata, di questo giudizio e delle ragioni dell’appello all’Europa a mettere in campo immediatamente un’altra strada, quella delle «vie legali e sicure» per accogliere e non inprigionare questa umanità africana in fuga.
Il premier Gentiloni ha risposto a stretto giro che si «augura» che «gli sviluppi che abbiamo avuto in queste settimane con le autorità libiche ci consentano di avere la possibilità di chiedere, e forse anche ottenere, condizioni umanitarie che sei mesi fa neanche ci sognavamo di chiedere».
L’Europa dal canto suo risponde con non meno stridente coscienza «delle condizioni inaccettabili, scandalose e inumane». «Non siamo ciechi e sordi», ribatte puntuta la portavoce della Commissione, Catherine Ray, ricordando lo stanziamento di 142 milioni di euro per assistere organizzazioni internazionali come l’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni in Libia. E annunciando inoltre come la Commissione Juncker stia cercando di realizzare un meccanismo per «monitorare» l’uso dei fondi europei per addestrare la Guardia costiera libica.
A tutta questa fumoseria fa da contraltare la crudezza delle condizioni di detenzione verificate dalla delegazione di Msf. «Quando sono entrata in un centro di detenzione a Tripoli – inizia Liu – c’era una guardia, enorme, che ha spalancato la porta e ha ricacciato la gente indietro con un bastone. Un mare di persone magre, emaciate, trattate come fossero animali». «Sussurravano “Tirateci fuori da qui”. Ho ho potuto solo dire loro: “Vi sento”». E ancora: «Una donna incinta era svenuta perché costretta a stare in piedi per ore su un piede solo, sotto il sole. Mi ha detto: “La mia storia non è neanche la peggiore”. E mi ha confidato di un’altra donna incinta stuprata nella stanza accanto a quella dove è stato rinchiuso il marito dopo essere stato picchiato davanti a tutti nel cortile». Poi c’è il ragazzo arrivato in Libia dalla Guinea per studiare e lasciato talmente senza cibo nel centro da rischiare la vita per malnutrizione. «Non riusciva a guardarmi in faccia mentre mi parlava e gli scendevano le lacrime».
Msf ha scelto di visitare solo i centri di detenzione del governo di Tripoli i Detention Centres for Illegal Migration, dove l’ong ha accesso. «L’Unhcr – Jan Peter Stellem di Msf – riferisce di circa 40 centri di detenzione ufficiali, ma ci sono molti campi illegali. In questo momento lavoriamo in 8 centri di detenzione: siamo stati anche in altri, ma a volte il controllo cambia e allora bisogna rinegoziare l’accesso al centro».
La gestione dei miliziani libiche invece – come risulta anche da inchieste giornalistiche – non si può mettere in discussione.
UN URLO
CONTRO LA COMPLICITÀ
di Tommaso Di Francesco
La lettera d’accusa al piano migranti dell’Italia e dell’Ue inviata da Joanne Liu e da Loris De Filippi, rispettivamente, presidente internazionale e responsabile italiano di Medici Senza Frontiere (Msf), sia a Bruxelles che al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni – che negli stessi minuti vantava da Lubiana: «I risultati sull’immigrazione si vedono nel senso della riduzione degli sbarchi e dei flussi» – non appartiene a quelle rivelazioni che possono passare inascoltate. Perché gridano, urlano una verità ormai incontrovertibile.
Il titolo infatti di questo nuovo rapporto della Ong – la stessa che il «Codice Minniti» ha messo all’indice mentre salvava vite umane nel Mediterraneo – potremmo sintetizzarlo con le stesse parole di Msf: «I governi europei complici nell’alimentare il business della sofferenza in Libia».
Accusa Joanne Liu, reduce da un viaggio-inchiesta in Libia di una settimana fa: «Il dramma che migranti e rifugiati stanno vivendo in Libia dovrebbe scioccare la coscienza collettiva dei cittadini e dei leader dell`Europa» che invece, «accecati dall’obiettivo di tenere le persone fuori dall'Europa, con le politiche e i finanziamenti europei stanno contribuendo a fermare i barconi in partenza dalla Libia, ma in questo modo non fanno che alimentare un sistema criminale di abusi».
Perché «la riduzione delle partenze dalle coste libiche – denuncia Msf – è stata celebrata come un successo nel prevenire le morti in mare e combattere le reti di trafficanti, ma sappiamo bene quello che succede in Libia. Ecco perché questa celebrazione è nella migliore delle ipotesi pura ipocrisia o, nella peggiore, cinica complicità con il business criminale».
Ecco gli abusi testimoniati: «Nei centri di detenzione di Tripoli le persone sono trattate come merci da sfruttare. Ammassate in stanze buie e sudicie, prive di ventilazione, costrette a vivere una sopra l’altra. Gli uomini ci hanno raccontato come a gruppi siano costretti a correre nudi nel cortile finché collassano esausti. Le donne vengono violentate e poi obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere liberate. Tutte le persone che abbiamo incontrato – accusa la lettera- dossier di Msf – avevano le lacrime agli occhi e continuavano ripetutamente a chiedere di uscire da lì».
È la conferma del primo reportage televisivo di Amedeo Ricucci per la Rai di un anno fa, di quello della Reuters di questa estate, dei duri giudizi di Angelo Del Boca e Alex Zanotelli, del viaggio a Sabhrata dell’Associated Press (e di questi giorni della Frankfurter Allgemeine) che ha svelato come le milizie di quella città (e delle altre, costiere e non), istruite, finanziate e armate dai nostri servizi, cambino casacca. Diventando da trafficanti le milizie di controllo della disperazione dei migranti, gestendo volta a volta, viaggi micidiali a mare, traffici di esseri umani, torture, stupri e centri di detenzione.
Ma che il j’accuse di Medici Senza Frontiere non può stavolta essere nascosto e tacitato nel silenzio del potere e dei media contigui, viene anche dalla stessa Commissione europea, già in imbarazzo per quei reportage.
«I centri d’accoglienza in Libia sono prigioni – dice la Commissaria Ue al commercio Cecilia Malmstroem già in Libia nel 2016 – e le condizioni in effetti sono atroci»; e anche Catherine Ray, portavoce di Federica Mogherini (Mister Pesc) ammette: «Siamo consapevoli, le condizioni di detenzione sono scandalose e inumane», ma l’Ue vuole «cambiare quelle condizioni» è per questo che «Unhcr-Onu e Oim vengono finanziate con 180milioni di euro». Si danno la zappa sui piedi e non se ne accorgono.
La risposta a questo patto criminale è stata finora in Italia una vergognosa esaltazione dell’emergente ministro degli interni Marco Minniti che sarebbe stato capace di convincere la cosiddetta Libia. Ma quale? Se quello Stato non esiste più e che sono almeno quattro le parti in cui è divisa dopo la guerra della Nato, con interposti conflitti tra centinaia di clan e fazioni armate.
Una capacità di convinzione appoggiata col «patto di Parigi» anche da Germania, Francia e Spagna. Che, per tenere lontano il misfatto occidentale, autorizzano in Libia, in Ciad e in Niger l’istituzione di un sistema concentrazionario di lager purché i disperati non arrivino in Europa. Con l’aggiunta della «coperta di Linus» di un presunto controllo dei diritti umani da parte dell’Unhcr e dell’Oim.
Per una fase temporale che semplicemente dimentica di rispondere a questa domanda: che fine fa adesso quel milione di migranti e profughi intrappolati in Libia, in cammino nei deserti e senza più vie di fuga? L’importante è che la loro tragedia sia nascosta nella sabbia.
Minniti, manco a dirlo, ammirato a manca e più ancora a destra come astro nascente, ha trovato in quella occasione una schiera di inaspettati elogiatori: Gabanelli, Travaglio, Gramellini, ecc… E guai a criticarlo. Il presidente del Pd Matteo Orfini ha tuonato: «Chi lo critica è una sinistra salottiera»; e gli «antimperialisti» Pierferdi Casini e Nicola Latorre hanno addirittura subodorato l’ingerenza Usa per il petrolio libico. Siamo davvero curiosi di sapere che cosa dirà ora questo stuolo militante di ammiratori sulla pelle altrui.