Il manifesto, 26 settembre 2014
Nella notte tra il 22–23 settembre qualcuno, qualcuna di noi ha ricevuto questo sms: «Oggi alle 10.30 con il tricolore Anpi… a Ponte Garibaldi fiori per Carla Capponi e Sasà Bentivegna. Vergogna. Solo il Tevere ha accolto ieri le loro ceneri…».
Ciò che era nell’aria da tempo è avvenuto. Ma come? Cerchiamo invano una cronaca. Un Tevere limaccioso inesorabilmente deserto è comparso per qualche secondo sul Tg Lazio del giorno 23, fuori campo la voce del sindaco Marino recitava che Roma non avrebbe mai dimenticato i due protagonisti della Resistenza romana…Le ceneri di Carla Capponi (morta nel 2000) e del suo compagno Sasà Bentivegna (morto nel 2012) erano custodite dalla figlia Elena nella sua casa di Zagarolo (Roma) in attesa di una degna sepoltura.
Si è capito ben presto dal «No» del Cimitero acattolico di Testaccio, su cui Elena contava per esaudire un desiderio dei genitori, che trovare una degna sepoltura per i due gappisti non sarebbe stata un’impresa semplice. Passi da parte delle autorità locali ne sono stati fatti, ma evidentemente privi di quel convincimento interiore necessario per portare a compimento il riconoscimento di un merito che nel clima politico di questi ultimi anni, una sorta di disagio crescente lo creava.
In soccorso dello scoramento di Elena si era mosso all’inizio dell’estate il Museo di via Tasso offrendo ospitalità alle ceneri, finché non si fosse trovata la sede definitiva per la sepoltura. L’Anpi di Roma da parte sua aveva proposto che i due protagonisti della Resistenza romana fossero accolti nel monumento dedicato ai caduti per la Liberazione di Roma…
I vincoli burocratici, l’inerzia che caratterizza da noi ogni procedimento amministrativo divengono un utile alibi quando un’azione è meglio rimandarla: «queta non movere»… Elena, alla fine l’ha capito, e ha dato corso a quella che definiva «la seconda scelta» dei suoi genitori: le loro ceneri affidate alle acque del Tevere.
Nulla sappiamo di come ciò sia avvenuto. Forse quei papaveri rossi che Carla tanto amava saranno stati gettati nel Tevere insieme a ciò che restava di lei, della sua luminosa bellezza, che i meno giovani tra noi ben ricordano….Già negli anni del compromesso storico Carla cominciava a creare imbarazzi: il suo coraggio ardente, il suo indomito antifascismo vissuto «con cuore di donna» suscitava nei comizi l’entusiasmo dei giovani (e lo sgomento palpabile dei segretari delle sezioni del Pci, preoccupati delle reazioni degli scout, i nuovi invitati).
Il clima politico stava cambiando. La cultura sempre più accreditata della non violenza rendeva difficile difendere l’azione dei Gap dall’accusa di terrorismo, sostenere la sua collocazione tra gli atti di guerra, considerare via Rasella un atto di eroismo, uno scatto di dignità contro la ferocia nazifascista sulla popolazione romana che l’aveva determinato.
Carla Capponi fu medaglia d’oro della Repubblica, parlamentare del Pci eletta con un vastissimo consenso, riconosciuta protagonista di quella Resistenza che tuttavia, benché condivisa da donne e uomini di diverse tendenze e idealità uniti nella lotta al fascismo, era divenuta nei decenni sempre più patrimonio rivendicato dalla sinistra.
Furono le forze di sinistra a battersi per il rispetto e l’attuazione dei principi costituzionali, le amministrazioni di sinistra a tenere vivo nei decenni l’esempio di chi aveva dato la vita per la democrazia nel nostro paese. Ma proprio questa fedeltà rischia di essere travolta nel folle volo compiuto dal Pci nella sua corsa verso il «nuovo», un «nuovo» che è sfumatura delle differenze, annullamento di tutto ciò che può rendere meno piatto il presente…
Gli eroi della Resistenza acquistano il sapore di un reperto oleografico: sono da conservarsi in una teca, come i gioielli di famiglia, da tenere da conto, ma rimasti fuori moda. Battersi per una degna sepoltura di Carla e Sasà avrebbe comportato riportare a galla recriminazioni mai sopite, schierarsi in una difesa a tutto campo di valori riconosciuti come attuali… I nostri governanti, i nostri amministratori non se la sono sentita. Questa è la verità. Ha detto bene il presidente dell’Anpi di Roma: «Le ceneri dei due protagonisti della Resistenza romana finite nel Tevere, sono un buco nero per la democrazia»
Per conoscere la reale storia di Via Rasella e comprendere la colossale mistificazione che fu costruita per falsificare la storia e convincere gli italiani che la Resistenza era stata il succedersi di vigliacchi eccidi compiuti dai "comunisti badogliani" , si vedano le informazioni fornite da Repubblica e riprese e integrate da eddyburg da il 6 febbraio 2006 e il 9 febbraio 2006. Qui sotto un'immagine del giornale che, due giorni dopo l'eccidio delle Fosse Ardeatine, invitava i partigiani a presentarsi