«La follia che si consuma a Firenze è una metafora perfetta dell’illogicità delle grandi opere inutili, pensate non per risolvere problemi reali, ma per aprire flussi finanziari nei confronti di imprenditori amici».Il Fatto Quotidiano online,, 27 novembre 2016 (c.m.c.)
L’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della sera del 22 novembre scorso ha portato finalmente alla ribalta nazionale la vicenda, davvero surreale, del progetto di Passante ferroviario Alta Velocità di Firenze. Che cos’è questa infrastruttura, la più grande che si vorrebbe realizzare in città? Sarebbe una linea sotterranea di collegamento tra le tratte AV che, da nord e da sud, arrivano a Firenze; è composta da un doppio tunnel di circa sette km e una stazione interrata 25 metri sotto il livello del suolo, completamente scollegata dal restante trasporto ferroviario.
Opera estremamente impattante e dalle difficoltà di realizzazione enormi, tanto che lo scavo dei tunnel non è nemmeno iniziato per il problema di smaltimento delle terre di scavo e dai rischi enormi di cedimenti e danni per parecchie migliaia di appartamenti e alcuni monumenti come la Fortezza da Basso.
Il progetto risale ai tempi del denaro facile. La scelta di scendere con la ferrovia nel sottosuolo non è dovuta agli scarsi spazi in superficie ma ad una decisione presa dalla classe politica toscana per attrarre risorse miliardarie in città. Un primo progetto prevedeva il potenziamento delle linee esistenti, ma nel frattempo a Bologna avevano ottenuto oltre un miliardo di finanziamento per realizzare un sottoattraversamento AV. Forse per invidia, certamente per appetiti inconfessati, anche Firenze volle i suoi tunnel e i suoi miliardi che poi sarebbero andati a finanziare le cooperative amiche (infatti la gara fu vinta da Coopsette, nel frattempo fallita, oggi l’appalto è passato Condotte SpA di Caltagirone).
I cantieri furono aperti nel 2009 addirittura senza avere i permessi per lavorare: furono imposti alla città da una cinica volontà per far trovare i cittadini davanti al fatto compiuto. Iniziò da allora la litania dell’«ormai è troppo tardi per tornare indietro». Le critiche dei comitati cittadini, supportati da ricercatori e dall’Università, dimostrarono invece le insormontabili difficoltà ad andare avanti, ma le orecchie della politica rimasero accuratamente serrate davanti agli appelli al buon senso.
Oggi, a oltre 20 anni dalla proposta del progetto e 7 anni dopo l’apertura del cantiere, i nodi vengono al pettine e le difficoltà, unite all’aumento vertiginoso dei costi, hanno indotto le FS a ripensare a tutto. All’inizio dell’estate il sindaco di Firenze Dario Nardella – membro di primo piano con l’ad delle Ferrovie Renato Mazzoncini, renziano fedelissimo – disse che il progetto di sottoattraversamento della città sarebbe stato accantonato e che le FS avevano un progetto di potenziamento delle linee di superficie.
Immediatamente e con una virulenza insospettata la vecchia guardia del Partito Democratico toscano, all’interno del quale era nato e prosperato lo sperpero dovuto al progetto, fece muro e iniziarono trattative di scambio tra le due correnti del partito: all’ala renziana sta molto a cuore la costruzione di un inceneritore e soprattutto del nuovo aeroporto intercontinentale di Firenze, all’ala del vecchio Pci interessa molto lo scavo dei tunnel.
Da quel momento è cominciata una girandola di ipotesi le più fantasiose: tunnel di qua, tunnel di là, stazioni sotterranee, per finire con un tunnel senza stazione. Anche i cittadini più disinteressati hanno cominciato a chiedersi quale tarlo rodesse le meningi dei nostri politici che erano arrivati all’assurdo di voler scavare senza nemmeno una fermata in città. Consci della illogicità delle proposte si è passati ad abbandonare la megagalattica stazione sotterranea progettata da Norman Foster per approdare ad una “miniFoster”, una stazione più piccola senza i 30.000 m2 di centro commerciale previsto. L’illogicità permane perché lo scavo iniziato non è per una mini-stazione, ma per una struttura interrata di tre piani, ciascuno di circa 20.000 m2.
Ma l’apoteosi dell’insensatezza è dovuta al fatto che, nonostante si voglia abbandonare la realizzazione della megastazione, i lavori fervono in quel cantiere come mai si è visto in tutti questi anni: i cantieri sono sempre stati semideserti e addirittura si arrestarono, nel 2014, durante le due inchieste che la magistratura avviò sul progetto con accuse pesantissime di truffa, corruzione e infiltrazioni mafiose.
All’improvviso, in occasione delle dichiarazioni di Nardella di voler abbandonare la stazione, i cantieri si sono riempiti di lavoratori e in pochi mesi si sta realizzando il solaio del primo piano con strutture in acciaio che saranno difficilmente riutilizzabili; centinaia di lavoratori si affannano in turni serrati lavorando anche di domenica per un’opera che non sarà mai né finita, né utilizzata.
Proprio nelle ultime ore c’è stato un accordo tra Rfi, il costruttore e i sindacati confederali perché i cantieri vadano avanti fino a febbraio «per garantire il lavoro a 50 operai che erano a rischio licenziamento». Questo assurdo ricatto si aggiunge alla lista sterminata delle incongruenze Tav: ci sono i cantieri infiniti di una tranvia di cui non si vede la fine che sono ormai una barzelletta in città perché sempre vuoti, ci sono i poveri terremotati che, se sapessero come vengono sperperati tanti soldi in opere da demolire, avrebbero molto da dire a tutti questi protagonisti dello spreco. Ci si chiede cosa si aspetta a dire stop e fermare questa emorragia finanziaria: le FS, che sono il committente dell’opera, tacciono e lasciano andare, idem il governo e le istituzioni locali.
La follia che si consuma a Firenze è una metafora perfetta dell’illogicità delle grandi opere inutili, pensate non per risolvere problemi reali, ma per aprire flussi finanziari nei confronti di imprenditori amici. D’altronde la seconda inchiesta sul Tav fiorentino (detta “Sistema”) e quella attuale aperta sui lavori del Terzo Valico (detta “Amalgama”) lo spiegano bene: sono enormi problemi che aspettano risposte politiche che non arriveranno mai dalle attuali maggioranze. Non è un problema di mele marce, ma di un frutteto in putrefazione.