Alta velocità e binari unici
di Giovanni Valentini
UN ALTRO incidente ferroviario, l’ennesimo scontro fra due treni nella nebbia, ci costringe purtroppo ancora una volta alla triste e dolorosa contabilità delle vittime e dei feriti. Ma contemporaneamente richiama tutti, governanti e governati, politici e cittadini, amministratori e amministrati, all’inventario delle responsabilità, delle decisioni e delle scelte individuali o collettive. Guasto tecnico o errore umano, toccherà agli inquirenti accertare in concreto le colpe e le omissioni del disastro che ha tolto la vita ieri a tredici persone come noi, mentre viaggiavano in treno sulla linea Bologna-Verona.
Prima o poi, qualcuno dovrà stabilire se il tirante di uno scambio maledetto era stato piegato o meno ed eventualmente da chi, come e quando. Se un segnale rosso era acceso o spento; se è stato rispettato oppure no. Quello che più importa, tuttavia, è la condizione generale di sicurezza - o meglio, di insicurezza - in cui quel tratto di strada ferrata, come molti altri in tutta la Penisola, è rimasto per tanto tempo fino a oggi.
In un’epoca sempre più progredita e tecnologica, scandita ormai dall’"alta velocità" e non solo ferroviaria, dove i treni più moderni volano a dieci o venti centimetri da terra, la sola idea del "binario unico" risulta tanto anacronistica quanto inverosimile e inquietante. Ma come si fa ancora a concepire, nel XXI secolo, in un Paese fra i più industrializzati del mondo, nel cuore di quella Padania che spesso viene evocata come un totem della civiltà, come si fa a tollerare una tale strozzatura, un imbuto, un budello, proprio nel centro nevralgico di una rete su cui transitano ogni giorno centinaia di convogli carichi di persone e di merci? E com’è possibile, nell’era dei telefonini, degli sms, dei messaggini futili e frivoli, che un capostazione, un capotreno o un macchinista non abbia in dotazione uno strumento così semplice per comunicare in caso di necessità o d’emergenza?
Da pochi mesi sotto la guida di un nuovo presidente che - per ironia della sorte - viene proprio dalla cultura informatica, come Elio Catania, già amministratore delegato dell’Ibm per l’Europa, le nostre povere Ferrovie dello Stato sembrano consegnate ancora all’iconografia del Far West, del treno a vapore, delle locomotive sbuffanti e sferraglianti, delle carrozze sporche e malandate. Qualche punta di modernità e di eccellenza, tipo Eurostar o Pendolino, viene sistematicamente diluita in una mistura di incuria e arretratezza. Quando, per paradosso, non diventa il benchmark in negativo, il metro di paragone per misurare appunto la vetustà dell’intera rete ferroviaria, materiale rotabile - come viene chiamato - e rotaie, treni e binari, scambi e stazioni.
C’è evidentemente un "gap", una distanza troppo grande fra i cantieri dell’alta velocità in corso d’opera e i "binari unici" in attesa di essere raddoppiati, come quello fra Bologna e Verona. E anzi, vorremmo sapere quanti altri ne esistono nel resto della Penisola. Si può capire, e in qualche misura anche apprezzare, lo slancio e lo sforzo per adeguare le ferrovie italiane a quelle degli altri paesi europei. Ma in una scala di priorità forse sarebbe più opportuno cominciare dal basso, dalle linee a più alta intensità di traffico, dai treni dei pendolari e dai treni merci, anche per non continuare a pagare un prezzo troppo alto in termini di sicurezza, di incolumità o addirittura di vite umane.
In una visione complessiva del trasporto pubblico, il treno è o dovrebbe essere il perno di un sistema nazionale più efficiente, più affidabile, più economico e anche più ecologico. Una risorsa per decongestionare il traffico privato automobilistico e in particolare quello delle merci, sempre più penalizzato dalle normative europee anti-inquinamento. Per ragioni antiche, invece, in Italia è ancora un mezzo sottosviluppato e sottoutilizzato, il simbolo di un "Jurassic Park" ferroviario che ospita mostri preistorici pronti a divorare i passeggeri.
E’ quantomeno di cattivo gusto, se non proprio inopportuno e fuori luogo, ingaggiare in simili circostanze polemiche di ordine politico. Ma è stato ieri il ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, a lanciare per primo il sasso accusando i governi di sinistra di aver rallentato in passato il potenziamento della rete. I governi precedenti, tutti i governi, anche quelli formati e guidati dagli antenati dell’attuale maggioranza, in qualche caso rappresentati addirittura da alcuni esponenti di questo stesso centrodestra, sono corresponsabili più o meno in ugual misura del degrado in cui versa il nostro sistema ferroviario.
L’accusa di Lunardi, tuttavia, assomiglia molto a quelle dell’ex ministro Tremonti sul presunto "buco" prodotto dal centrosinistra nei conti pubblici e rischia allo stesso modo di diventare un boomerang. Siamo ormai oltre la metà della legislatura, il centrodestra governa (o sgoverna) da tre anni e mezzo, dispone in Parlamento di una maggioranza sufficientemente ampia per imporre la sua agenda, il suo ordine del giorno, i suoi provvedimenti. Dalle elezioni del giugno 2001, dunque, c’è stato tutto il tempo per raddoppiare il "binario unico" Bologna-Verona e gli altri che ancora aspettano di essere adeguati.
Nell’irresponsabile e improduttiva esaltazione delle "grandi opere", piuttosto, il governo Berlusconi ha perseguito finora obiettivi propagandistici, disseminando prime pietre a cui seguiranno chissà quando le seconde e inaugurando ponti o autostrade già avviati da tempo. Fin dal suo show elettorale in tv, con tanto di lavagna e carta geografica dell’Italia, il presidente del Consiglio s’è preoccupato più di annunciare nuovi progetti che di realizzare vecchie necessità. E questo, spiace dirlo oggi, vale anche per l’ultimo disastro ferroviario.
Il disastro annunciato
di Giorgio Bocca
CHI ha previsto, sull’impatto del grande maremoto, che questo sarà l’anno dei disastri sembra confermato nel suo pessimismo dalle notizie che giungono da Crevalcore, una piccola stazione ferroviaria sulla linea Bologna-Verona: un treno merci si è scontrato a velocità sostenuta con un interregionale: i morti sono 13 e moltissimi i feriti. Unica ma non sufficiente spiegazione del disastro, il tirante danneggiato di uno scambio che doveva spostare il merci su un binario, di deviata. Mentre si lavora per liberare dalle lamiere contorte le vittime, fra cui i quattro macchinisti dei due treni, è già iniziato fra i politici lo scambio dolente quanto deludente delle giustificazioni.
Il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi non ha dato prova di grande fantasia: «Questo governo - ha dichiarato - ha fatto della sicurezza stradale e ferroviaria una delle questioni centrali. Il raddoppio della linea ferroviaria Bologna-Verona è inserito nella legge obiettivo, i relativi progetti sono già approvati, i finanziamenti già stanziati. Tuttavia in passato i governi di sinistra hanno rallentato il potenziamento delle reti».
Ha subito risposto l’eurodeputato Pierluigi Bersani dirigente dei Ds «anche di fronte alle tragedie il ministro Lunardi non esita a tirare in ballo i governi di sinistra».
Sembrano più convincenti le dichiarazioni dei ferrovieri: «Il numero dei guasti e degli incidenti ferroviari che coinvolgono le linee locali è in continuo aumento, noi abbiamo l’impressione di essere di fronte a una tragedia annunciata e a precise responsabilità». Una certezza non una impressione è la politica usuale in Italia ma anche in altri paesi avanzati della coperta corta tirata da tutte le parti per coprire i bisogni reali e soprattutto le ambizioni di chi governa. Non occorrono indagini specializzate per scoprire che la manutenzione ferroviaria sulle linee minori è largamente sproporzionata alle spese folli e spesso truffaldine per l’alta velocità, l’ultimo mito inventato per sfondare tutte le previsioni di spesa.
Una volta bastavano e avanzavano le guerre per mettere a tacere i controllori della spesa pubblica, adesso il ventaglio si è allargato a tutti i miti di massa, sportivi, filantropici, patriottici. Basta passare sull’autostrada Milano-Torino parallela alla nuova linea dell’alta velocità per vedere quale immane spreco di cemento, di scavi, di opere inutili si vada facendo. Ma per le ferrovie normali, per quelle del viaggiatore comune si va avanti a consumo di mezzi antiquati. I macchinisti muoiono ma le locomotive sono antiquate, mancano di estintori, con finestre piccole dalle quali non si può scappare. Il presidente del comitato dei pendolari di Crevalcore ricorda che i lavori per il raddoppio della linea Bologna-Verona sono in corso dal 1988 e sarebbero dovuti finire l’anno seguente e invece i cantieri si sono riaperti solo il mese scorso.
Senza il raddoppio i treni merci o gli accelerati devono dare il passo ai treni veloci sistemandosi in uno dei tratti di devianza a doppio binario. Ma siamo al governo e alla finanza delle grandi opere e quattordici morti e settanta feriti non fermeranno certo la politica della coperta stretta da tirare dalle parti delle inaugurazioni ufficiali con fanfare, taglio di nastri e televisioni.
Toccherà alla generazione successiva capire quanto è costato tirare la coperta e chiedere commissioni di inchiesta inutili od orientate.