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Ida Dominijanni
Alle urne con il burqa
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Da il manifesto del 12 ottobre 2004. Una riflessione sugli avvenimenti recenti (elezioni in Afganistan, reazioni alle morte delle vittime italiane nell'attentato di Taba), come al solito dalla parte delle donne

La fotografia di una afghana che alle prime elezioni «libere» del paese inserisce la scheda nell'urna col burqa addosso fa piazza pulita dell'impetuoso fiume di parole che tre anni fa, da destra e da sinistra, accreditò la guerra all'Afghanistan come guerra di liberazione delle donne dal patriarcato islamico, stabilendo fra libertà femminile e procedure democratiche un nesso che non esiste e che oggi la realtà si incarica infatti di smentire. Aveva piuttosto ragione la protagonista di Viaggio a Kandahar di Mohsen Makhmalbaf, quando scetticamente si chiedeva se in Afghanistan siano i governi a imporre la legge del burka o una cultura che sottosta a qualunque alchimia politica a imporla ai governi. Ennesima ferita nella presunzione occidentale dell'onnipotenza democratica esportabile. Eppure non basta mai.

Contro la l'ennesimo e insopportabile orrore dell'altra foto della settimana, quella del massacro all'Hilton di Taba, e contro l'ennesima e insopportabile ripetizione del video dell'orrore, quello della decapitazione di Kenneth Bigley, di nuovo si levano appelli allo scontro di civiltà. Le risposte nazionali al terrorismo internazionale non funzionano, scrive giustamente Paolo Garimberti su Repubblica, ma solo per arrivare alla conclusione che invece quello che funzionerebbe sarebbe l'unità di tutti gli occidentali, unica ciambella di salvataggio dei valori universali. E così siamo al punto di partenza: a contrastare l'attacco fondamentalista all'universalismo occidentale ribadendo che l'unico universalismo possibile è quello occidentale e che l'occidente è l'unico bastione dell'universalismo.

Sotto le guerre delle religioni e dei valori intanto scorre il fiume della comune umanità e dei comuni sentimenti. Sabrina e Jessica Rinaudo erano andate a Taba a riposarsi e divertirsi e ne avevano diritto. A poca distanza da Taba, a Sharmel Sheik, centinaia di turisti italiani, narrano le cronache, continuano a riposarsi e divertirsi scansando quello che è successo poco più in là. Minuscole strategie di sopravvivenza: l'occidente è anche questo, insensate formule di vacanze uguali e seriali, tutti irregimentati nei pacchetti aereo più villaggio più spiaggia più gita folkloristica nel deserto, ma lasciamo perdere. Resta il fatto che il terrorismo non solo colpisce nel mucchio, ma mira diritto all'immaginario. Niente più vacanze spensierate, niente più oasi sul Mar Rosso per staccare dallo stress del nordest e del nordovest. Altro che geopolitica e geostrategia: i giochi si fanno sulla vita quotidiana. A che serve moltiplicare e multilateralizzare le alleanze e le truppe occidentali, contro un gioco così? Il virus terrorista costringerebbe la politica a inventare strategie immunitarie di cui non si vede idea alcuna all'orizzonte.

C'è andata di mezzo ancora una volta una coppia di giovani donne. Saltata in aria, pare, per mezzo di un'altra donna, la kamikaze che avrebbe dato il via all'azione del commando. Ennesima e dolorosa conferma che lo scontro di civiltà si è infiltrato anche nell'immaginazione di un «continuum femminile» capace di vincere sulla distruttività maschile. L'immaginario maschile in compenso continua a fare sulle donne i suoi giochi. Altri appelli si levano prerché la solidarietà e il pubblico cordoglio per Jessica e Sabina siano pari a quelli per le due Simone. Saranno non solo pari ma superiori. Stavolta le due vittime sono vittime davvero, tutte vittime senza residui. Non parleranno, non usciranno dalle righe, non pretenderanno di dire la loro sui governi e sui terroristi. Sono morte e murate più che dietro un burqa, e anche i più cinici benpensanti troveranno le lacrime per piangerle.

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