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Francesco Erbani
Alla Biennale uno spazio senza star
12 Settembre 2008
Articoli del 2008
Questa sezione della Biennale Architettura sembra interessante: vale la pena di visitarla. La Repubblica, 11 settembre 2008

Fra le luci sfavillanti e le installazioni visionarie della Biennale Architettura si apre lo spazio drammaticamente concreto de «L´Italia cerca casa / Housing Italia», allestito da Francesco Garofalo nel Padiglione italiano alle Tese delle Vergini e promosso dalla Parc (la Direzione generale del ministero dei Beni culturali). Qui il volo dell´architettura diventa più radente: niente star, niente bizzarrie compositive, niente bei gesti assimilabili alla moda. Visitando il Padiglione si sente rimbalzare il paradosso di questi anni, quello per cui più case si costruiscono più ce ne vorrebbero. I dati li propone Garofalo, architetto romano e professore a Pescara, introducendo il catalogo della mostra (che verrà edito da Marsilio): il bisogno di case è acuto e stringe alla gola milioni di persone (più di centomila, per esempio, nella sola Roma), eppure non si è mai costruito tanto in Italia come in questo decennio, 350 mila appartamenti nel solo 2007, un trend che non ha eguali neanche nel dopoguerra, quando occorreva dare un tetto a chi l´aveva avuto distrutto dalle bombe. «Quella dell´abitare è la questione centrale della nostra cultura architettonica», sintetizza Garofalo.

La mostra è divisa in tre sezioni. Si guarda al passato, alle politiche per l´abitazione attuate nel Novecento. Al presente, a un mercato dell´edilizia dominato dalla finanza e dai mutui. E al futuro, con l´esposizione di dodici progetti di altrettanti studi italiani, in prevalenza animati da giovani architetti: accanto ai più esperti Andrea Branzi (classe 1938) e Italo Rota (nato nel 1953), ecco Marco Navarra (1963) e Beniamino Servino (1960), Mario Cucinella (1960) e Luca Emanueli (1961), insieme agli studi Albori, Baukuh, Cliostraat, IaN+, Salottobuono e al gruppo Stalker/Osservatorio Nomade.

La prima sezione racconta l´edilizia popolare in Italia dagli anni Trenta al suo esaurirsi, alla fine degli anni Ottanta. Un atlante sistemato nella grande sala rettangolare del Padiglione (disegnato da Mario Lupano e curato da Maristella Casciato) assembla su 350 metri quadrati di parete le immagini di un pezzo fondamentale dell´architettura novecentesca. È la storia di insediamenti che ancora resistono nel paesaggio opaco di molte periferie italiane, svettando in mezzo alla banalità dei palazzi di speculazione privata – sono i palazzi dell´Icp, Istituto case popolari, poi diventato Iacp, oppure dell´Incis, che erano destinati agli impiegati dello Stato, o, ancora, dell´Ina-Casa. Le ultime istantanee riguardano i grandi complessi degli anni Sessanta e Settanta, edificati sulla spinta di manifestazioni di piazza e di lotte operaie. Fu uno sforzo enorme da parte dello Stato. Nacquero lo Zen a Palermo, le Vele a Napoli, a Roma Corviale e il Laurentino 38. Molte città videro ergersi nelle cinture periferiche grappoli di torri grigie, disegnate in modo elementare eppure dotate di personalità architettonica e di una monumentalità che i progettisti ritenevano adeguati a una classe operaia sempre più consapevole di sé. A Roma, racconta Giovanni Caudo, autore del saggio presente nel catalogo Dalla casa all´abitare, i piani di edilizia popolare prevedevano alloggi per una popolazione pari a quella dell´Umbria, 712 mila stanze su più di 5 mila ettari. I risultati, in molti casi, furono controversi. Enormi spazi inutilizzati. Servizi scarsi e scadenti. Manutenzione inesistente. E, soprattutto, una lontananza dalla città che aveva l´aspetto dell´esclusione sociale. La discussione fra gli storici dell´architettura è tuttora aperta e cerca di districarsi fra luoghi comuni demonizzanti, come se quegli edifici fossero la quintessenza del disagio che affligge le periferie, la sola sua causa.

Quella stagione è comunque chiusa, nonostante l´intervento pubblico nell´edilizia sia stato in Italia di molto inferiore alla media dei paesi europei.

La seconda sezione della mostra è occupata dal video che mette in immagini il testo di Caudo Dalla casa all´abitare (regia di Maki Gherzi, animazione di Kalimera). Caudo spiega il paradosso delle tante case costruite e della tanta gente che non trova casa. I valori immobiliari sono tremendamente lievitati negli ultimi anni e soltanto ora, dopo la crisi dei subprime americani, gli aumenti si sono arrestati. Crescono i mutui e le famiglie sono sempre più indebitate. Il mercato è di fatto l´unico a fornire abitazioni, prevalentemente da acquistare (in Italia, a differenza degli altri paesi europei, il 73 per cento delle famiglie vive in appartamenti di proprietà). Ma al mercato non accedono le fasce più deboli e neanche strati del ceto medio (single, precari, giovani coppie, studenti, lavoratori in trasferta). L´affitto è anche fattore di dinamismo e una città in cui questo mercato è risicato ne risente: è difficilissimo, per esempio, per ricercatori o artisti stranieri trovare a Roma una sistemazione temporanea. «Le case sono diventate di carta», spiega Caudo, «sono merce di transazioni finanziarie e lo stesso sta accadendo per le città, un tempo luogo principale delle trasformazioni, dall´economia industriale a quella dei servizi».

La soluzione del paradosso non viene indicata in un ritorno all´edilizia popolare. Caudo segnala come molti paesi europei puntino sull´affordable housing, le case accessibili, né solo private, né solo pubbliche, che sorgano in aree già urbanizzate, ma inutilizzate. L´invito è dunque lanciato alla politica, ma anche alla cultura architettonica, «che sembra essersi appiattita sul mercato imperante e sulle domande di spettacolarizzazione».

I progetti esposti (la cura è di Gabriele Mastrigli) sono "materiali per la riflessione". Ma già il titolo che li raggruppa bandisce gli effetti speciali: «La casa per ciascuno». La gran parte di essi propongono il riuso di volumi già esistenti, evitando di consumare territorio. Lo studio Albori di Milano vorrebbe recuperare la struttura incompiuta della stazione ferroviaria di San Cristoforo a Milano, progettata da Aldo Rossi. Andrea Branzi, invece, immagina una "casa madre", un complesso che tiene insieme residenza e lavoro, ma non solo: è una specie di co-housing integrale, di coabitazione fra specie umana e animale. Mario Cucinella indaga su una casa da 100 mila euro di 100 metri quadrati a zero emissioni di CO2. Lo studio IaN+ suggerisce un ritorno della residenza nel centro di Roma, ricostruendo l´interno di alcuni edifici di cui resterebbero intatte le facciate. Marco Navarra, architetto che vive a Caltagirone, studia i modi di abitare degli immigrati ed è anche un sostenitore del repairing cities, le città che si riparano senza espandersi (ha appena pubblicato un volume sulle esperienze compiute al Cairo): per la Biennale ha messo a punto delle soluzioni di abitazioni e di servizi per la comunità tunisina di Mazara del Vallo. Il gruppo Stalker, invece, ha analizzato le tecniche costruttive dei Rom ed ha realizzato con loro, nel campo Casilino 900 di Roma, una casa in legno, grande 70 metri quadrati. Beniamino Servino, architetto casertano, ha disegnato un edificio sospeso su piloni, una casa-viadotto che si contrapponga all´immensa città diffusa spalmata fra Napoli e Caserta.

I progetti esplorano vari temi. E offrono soluzioni più a portata di mano o più lontane, proponendosi come ipotesi di studio: ma il concetto dell´abitare li attraversa tutti, come pure l´idea che l´architettura non può fare a meno di cercare un riscontro sociale. «È una sfida architettonica», insiste Garofalo, ricordando che non a caso le tre principali riviste dell´architettura italiana si intitolino Abitare, Casabella e Domus.

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