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Vittorio Emiliani
Ai turisti non piace il cemento. Così l’Italia rischia grosso
15 Agosto 2009
Articoli del 2009
La cementificazione del territorio causata da condoni e deregulation mette in pericolo proprio la risorsa che dichiara di incentivare: il turismo di qualità. Da Il Tirreno, 31 maggio 2009 (m.p.g.)

Negli ultimi quindici anni all’Italia sono riusciti alcuni autentici capolavori. I governi hanno tolto fondi ai Comuni incoraggiandoli, in pratica, a "spingere" la sola edilizia di mercato al fine di rattoppare i bilanci.

Gli enti locali hanno autorizzato fra 1995 e 2006 ben 3,1 miliardi di metri cubi di nuove costruzioni, tra residenziali (il 40 per cento) e non. E però, nel contempo, si è acuita la mancanza di alloggi non di mercato, cioè a fitto medio-basso essendo stata compressa a uno scandaloso 0,6-0,7% la quota nazionale di edilizia sociale, quella per i più deboli. Così, sette anni di "boom" edilizio hanno paradossalmente creato una vera emergenza-casa e ferito il paesaggio (grande risorsa nazionale e locale) anche in regioni splendide, Veneto in testa che ha il record di "costruito" e di suoli liberi "mangiati" (oltre 100 chilometri quadrati), con una produzione di cemento e un numero di cave da primato (quasi 600).

IL FAR WEST EDILIZIO

Sull’Annuario dell’Istat 2009 si può leggere che "la coperura dei piani territoriali di coordinamento (competenza delle Province) è quasi completa al Centro-Nord, con le significative eccezioni del Veneto e del Lazio, mentre è quasi assente nel Mezzogiorno". Inoltre il Codice per il paesaggio del 2008 (Settis/Rutelli) è stato congelato dal governo Berlusconi che ha proposto il rinvio della sua entrata in vigore, e quindi l’avvio della co-pianificazione paesaggistica Stato-Regioni, al 2011.

Proprio mentre infuria una sorta di far west edilizio e paesaggistico. Molte Regioni, Toscana in testa, hanno scaricato sui Comuni la tutela del paesaggio con risultati altamente negativi. Sempre l’Istat ci dice che ormai quartieri, case, ville, fabbriche, fabbrichette, capannoni, ipermercati si susseguono senza tregua lungo la pedemontana tra Veneto e Lombardia, una splendida collina ormai distrutta.

UN CONDONO TIRA L’ALTRO

L’effetto dei due condoni edilizi (1994 e 2004, firmati Berlusconi) è stato spaventoso e ancora non se ne conosce fino in fondo l’impatto sul territorio. Sempre l’Istat osserva però che "nel triangolo veneto-lombardo-romagnolo l’edificato invade il territorio extra-urbano". O occupandolo tout court, oppure frazionando le coltivazioni al punto che diventano "enclavi intercluse tra le aree edificate". Di fatto non più libere anch’esse (e non più agricole).

L’EFFETTO PIANO CASA

Ora c’è il Piano casa che, come effetto-annuncio, ha già ridato fiato all’abusivismo presentandosi coi suoi "premi" in cubature (sul già costruito) come una sorta di "condono preventivo". La Conferenza Stato-Regioni, presieduta dal governatore dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani, ha bloccato il progetto governativo rivendicando alle Regioni alcune competenze e cercando di migliorare quel primo documento. Il braccio di ferro è ancora in corso. Risulta cancellata in toto la norma che consentiva al proprietario di cambiare la destinazione d’uso, per esempio di un magazzino in una serie di appartamenti, senza limiti di sorta, purché all’interno di quelle mura. Errani sta cercando di strappare un altro risultato importante e cioè il rinvio dell’attuazione del Codice per il paesaggio non al 2011 bensì alla fine di quest’anno, accompagnato da una norma che consenta di finanziare il potenziamento delle Soprintendenze territoriali competenti.

UNDICI REGIONI ALL’ARREMBAGGIO

Mentre a Roma è in corso questa complessa e decisiva partita, ben undici Regioni sono partite per conto loro (in testa il Veneto, la più massacrata dall’edilizia di ogni genere, da cave e altro, e la Toscana, con più limiti) varando o predisponendo piani-casa regionali comunque ispirati alla "filosofia" dei premi del 20 per cento e altro a quanti costruiscono o a quanti demoliscono e ricostruiscono in modo ecologico (più 30 per cento di cubatura). È dell’altro ieri il blitz della Campania, con aumenti fino al 50 per cento. Una corsa sfrenata che ci dice come ormai questo Paese rischi di frantumare la propria unità rinunciando in partenza a leggi-quadro nazionali.

AREE PROTETTE IN PERICOLO

Sono in pericolo pure le aree protette e i centri storici. Non in Toscana dove li si vuole salvaguardare, ma nella grande e già ben cementificata Lombardia, il cui assessore regionale alla pianificazione territoriale Davide Boni (Lega Nord) ha dichiarato che autorizzerà interventi di demolizione/ricostruzione anche nei parchi (già in pericolo sono il Parco Milano Sud e quello del Ticino) e nei centri storici. E le Soprintendenze? Per lui i tempi delle verifiche e delle concessioni non sono garanzia di oculatezza e di trasparenza, ma solo "burocrazia", mentre "la crisi non permette altri ritardi".

I DANNI COLLATERALI

L’ossessione è, secondo l’indicazione di Berlusconi, ridare slancio all’edilizia. Già, ma quale? Quella che serve alla domanda di giovani coppie, immigrati, ceti più deboli, anziani soli?

O quella che serve agli interessi dei costruttori? Quella che si può recuperare nei quartieri già edificati, invecchiati e da ristrutturare? Oppure quell’altra che si mangerà con cemento&asfalto altre decine di migliaia di ettari di terreni agricoli e che ci ha posto in testa alle classifiche del consumo di suolo in Europa? E poi come la mettono con l’articolo 9 della Costituzione secondo cui "la Repubblica", cioè anzitutto lo Stato, "tutela il paesaggio"?

Un’ultima notazione: si vogliono rilanciare insieme l’edilizia (purchessia) e il turismo (di qualità), due cose che fanno palesemente a pugni. Se roviniamo ulteriormente i nostri paesaggi (che contengono tutto, centri storici, castelli, siti archeologici, natura, ecc.), avremo sempre meno turismo qualificato. Ora, il Prodotto interno lordo dell’edilizia supera di poco il 10 per cento del totale nazionale. Quello del turismo gli è inferiore di un punto o poco più, e muove una occupazione ben più diffusa. Anche in termini strettamente economici non sarebbe il caso di prestare attenzione a questi dati evitando politiche cieche e individualistiche del tipo quand le bâtiment va, tout va, vecchie e stravecchie in tempi di new, soft e green economy?

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