Aeroporti che passione. In Italia quasi ogni provincia ne può contare almeno uno. E chi non ce l'ha freme ardentemente per averlo. Costi quel che costi, tanto paga lo Stato. E che importa se si alza appena un volo al mese, vuoi mettere il prestigio di avere uno scalo sotto casa? Prestigio certo, ma soprattutto tanto business.
C'è una legge italiana, vecchia di quindici anni, che parla chiaro: sotto i 600mila passeggeri l'anno lo Stato può mettere mano al portafogli e aiutare alla costruzione o alla riqualificazione di una struttura aeroportuale. Così, dal 1993 ad oggi, gli investimenti si sono moltiplicati: oltre 2,5 miliardi di euro, divisi tra fondi dello Stato (550 milioni), fondi Ue (500 milioni) e fondi delle singole regioni (200 milioni).
Per giustificare la nascita di un nuovo aeroporto, dicono gli esperti, c'è bisogno almeno di un traffico di un milione di passeggeri annui. E in Italia solo 21 (il 20% del totale) rispondono a questa esigenza. Il traffico aereo nazionale si concentra infatti esclusivamente su cinque grandi poli. Il più grande è quello di Milano (Malpensa, Linate e Orio al Serio) che solo lo scorso anno ha fatto viaggiare 36,5 milioni di persone. Segue Roma (Fiumicino e Ciampino) con 34,6. Più distanti il sistema dei due scali di Venezia-Treviso (7,6 milioni), Catania (con 5,3) e Napoli (5,2).
Gli altri 80, dunque, potrebbero tranquillamente chiudere e nessuno se ne accorgerebbe. Come l'aeroporto di Taranto-Grottaglia che nel 2007 ha visto salire a bordo appena 16 passeggeri. Uno scalo civile costato oltre 100 milioni di euro, tra finanziamenti della Regione e dell'Unione europea, ma che di civile ha ben poco, visto che la destinazione unica è Seattle e a viaggiare, oltre i pochi tecnici, sono le fusoliere del nuovo Boeing costruito dall'Alenia e destinate al mercato statunitense. Sempre in Puglia, a Foggia, c'è un altro areoporto che gli esperti dell'Enac (l'ente nazionale aviazione civile) definiscono «assolutamente inutile» per via degli appena 6.714 biglietti strappati al check-in in un anno e che non giustificano i 3,1 milioni di euro spesi per il suo ammodernamento.
La regione a detenere il record di aerostazioni è la Sicilia, ben sei. Ma il numero è destinato ad aumentare. Perché nell'isola della rete ferroviaria ad un unico binario non sono sufficienti gli scali già esistenti di Palermo (91,5 milioni di euro stanziati fino al 2013 per interventi di ammodernamento), Trapani (scalo militare che da poco si è aperto al turismo di massa grazie ai 20 milioni di euro stanziati da qui a fine anno), Catania (prediletta dai viaggiatori low-cost con un investimento di 140 milioni), Comiso (l'ex base dei missili Cruise che a giugno aprirà i battenti, costo 40 milioni per una previsione di 3.000 passeggeri annui), Lampedusa e Pantelleria. Ne serve un settimo, Agrigento dice di averne «assoluto bisogno» e Totò Cuffaro si è dato subito da fare riuscendo a mettere sul tavolo 35 milioni di euro. Ne mancherebbero altrettanti per completare l'intera opera, ma intanto i lavori sono partiti. Ed Enna e Messina? Anche loro hanno chiesto uno scalo cittadino e la Regione si è detta disponibile.
Salendo per lo stivale la situazione cambia poco. Nel Lazio, ad esempio, dove si è da poco conclusa una gara fratricida tra Viterbo e Frosinone per la realizzazione di uno nuovo scalo che dia un po' d'ossigeno a Ciampino, sempre più congestionato dai voli low-cost. Le due città sono risultate idonee e così, salomonicamente, si è dato l'ok ad entrambe. Si sale ancora e arriviamo ad Ampugnano, 15 km da Siena, dove, tra le proteste dei comitati cittadini, sta per essere rispolverato un vecchio areoporto militare degli anni '30. L'obiettivo è trasformarlo in uno scalo faraonico, multi-pista e molto hi-tech, che punta, nel 2020, a far viaggiare oltre 500mila persone. «Utopia», dicono gli esperti, ma intanto Monte dei Paschi e Comune hanno già trovato i 70 milioni necessari per posare il primo mattone. Dalla Toscana all'Emilia Romagna, dove si pensa seriamente ad ampliare l'aerostazione di Parma (nel 2007 appena 120mila passeggeri), decisione che ha fatto andare su tutte le furie gli altri due scali della regione, quello di Forlì e Rimini (città che distano appena una cinquantina di chilometri) che vorrebbero più soldi per l'ampliamento delle loro piste.
Anche nel profondo nord la concorrenza è spietata. Tra Milano e Venezia c'è un aeroporto ogni 40 chilometri: Biella, Cuneo, Malpensa-Linate, Brescia, Bergamo, Belluno, Verona, Vicenza, Trento, Padova, Treviso, Trieste e Venezia. Con «chicche» da Guinness dei primati come lo scalo di Vicenza in cui decollano appena sei aerei la settimana, meno di uno al giorno. O peggio a Biella dove si alzano in volo dodici apparecchi l'anno. Tutto questo mentre - paradosso tutto italiano - l'Alitalia è in piena agonia.